Ripensando la mia Storia. Le ragioni di un percorso #7: Di fronte a Pierrot


Abstract: Arricchiamo la sezione, «RIPENSANDO LA MIA STORIA. LE RAGIONI DI UN PERCORSO» con un nuovo contributo.
ABBIAMO CHIESTO A UN NUTRITO GRUPPO DI STORICI E DI STUDIOSI CHE IN PASSATO HANNO COLLABORATO CON IL GIORNALE DI DESCRIVERCI QUALE È STATA L’OPERA ARTISTICA O LETTERARIA, L’AVVENIMENTO PERSONALE, MA ANCHE L’INCONTRO, CHE HA AVUTO UN PARTICOLARE VALORE NEL LORO PERCORSO FORMATIVO E CULTURALE.
VORREMMO PROSEGUIRE L’INIZIATIVA PROPONENDO AI NOSTRI LETTORI DI SCRIVERCI INVIANDO ALLA POSTA DI REDAZIONE LE PROPRIE TESTIMONIANZE, LE PAGINE PIÙ BELLE E SIGNIFICATIVE VERRANNO PUBBLICATE NEI PROSSIMI AGGIORNAMENTI ALL’INTERNO DI QUESTA SEZIONE.

Di fronte a Pierrot

Ho sotto gli occhi la riproduzione del Ritratto d’adolescente in costume da Pierrot (1922) di Pablo Picasso, appena ammirato nella mostra dedicata al grande pittore, allestita presso le Scuderie del Quirinale di Roma fino al gennaio 2018. Il piccolo quadro fa parte del gruppo di opere composte tra il 1915 e il 1925 e rappresenta il viso di un giovane Pierrot. Avverto che mi trasmette sensazioni visive intrecciate a emozioni e a ricordi che mi consentono e forse mi impongono di parlarne non nella forma istituzionalmente accademica che iscrive il quadro nella storia giovanile della produzione picassiana (ciò che peraltro non sarei in grado di fare), ma mantenendomi entro l’orizzonte di pensieri che mi appartengono, di frammenti di una storia che è mia. Ciò accade non come elemento di una qualsiasi riflessione su Picasso, ma sulla base di una appropriazione a me stesso del Pierrot, che io sento come “cosa mia” perché mi fa parlare, ossia dà corpo di parola al mio pensiero e al mio sentire. Il mio parlare, che ora brevemente deposito in quel che segue, si colloca nella spazio mentale e visivo che sta tra il viso di Pierrot e i miei occhi che lo guardano. Non mi interessa di descrivere o di commentare il ritratto, ma di tentare di dire quel che accade tra me e il ritratto. Non mi sfugge la somiglianza tra gli occhi del ritratto, che devono essere stati quelli del giovane pittore nella sua realtà di adolescente, e gli occhi del suo Pierrot, centro del ritratto, luogo magnetico che attrae lo sguardo dell’osservatore (di quell’osservatore che io sono, non di qualsiasi osservatore: questo allargamento comunque qui non mi interessa), lo interroga, gli chiede di pronunciarsi: di parlare di sé, di far emergere aspetti di sé (di me) che quegli occhi producono grazie alla potenza della malinconia che esprimono. Ecco. La prima, forse la principale, forse la più profonda osservazione che mi sorge nell’animo e a cui sento di voler dare voce è che quegli occhi e quella malinconia che li connota e li fissa in una figurazione potentissima, sono i miei. Pierrot sono io bambino o adolescente e il tramite dell’identificazione sono i suoi occhi tondi e profondi, malinconici, velati da un sorriso appena accennato che nasconde la curiosità inquieta verso le ancora ignote misteriosità della vita a venire, o appena affacciatesi sul palcoscenico di quel che accade nella vita individuale e nella grande storia.

Non so come si costruisce una autobiografia né come se ne definiscono dei frammenti. Né ho in mente di delineare la storia della mia vita adolescente. Accade solo che due fotografie che mi ritraggono e che mi capita di tanto in tanto di rivedere, si affaccino tra i miei ricordi, associandosi spontaneamente al ritratto picassiano di Pierrot. Accade che io avverta una forte vicinanza tra i miei due ritratti fotografici di adolescente e il viso di Pierrot. Constato, come ho detto, che l’analogia tra l’osservatore che io sono, e il quadro, avviene come effetto dell’alone di sensazioni, pensieri, ricordi, che gli occhi di Pierrot sollecitano in me traendone la conferma circolare che la malinconia di quegli occhi costituisce il centro vivo del ritratto, quello che “mi parla e mi fa parlare”. Nelle due mie foto di adolescente sono stato ritratto, presumibilmente da mio padre cha amava fotografare, una volta sulle montagne di Norcia che frequentavamo perché egli vi era nato, e la seconda volta su uno scoglio sul mare emerso sulla spiaggia di Santa Marinella, dove la mia famiglia viveva e dove amavo tuffarmi. In questa seconda foto ho accanto mia madre che mi sollecita con il movimento del suo braccio proteso a rivolgere lo sguardo verso l’orizzonte, indicato senza che si riempia di un qualche oggetto determinato. Osservo il mio sguardo, il mio viso, i miei occhi fotografati con l’attenzione e l’emozione che sento provenire a me sollecitati (forse prodotti) dallo sguardo del Pierrot picassiano, mi accorgo di non aver visto mai prima con tanta emozionata partecipazione la stessa malinconia, la stessa vaga tristezza, la stessa curiosità ansiosa, lo stesso interrogarsi sul futuro che ora vi colgo, e sento che una sorta di sintesi della mia immaginazione, più e prima che del mio pensiero, si è formata. Essa collega in me lo sguardo di Pierrot e il mio sguardo di adolescente fotografato, che in certo senso mi pare ora si sia appropriato di quello, dando vita ad una reciprocità di senso tra il ritratto e la foto. Pierrot di Picasso rimane lui, certamente, il Francesco fotografato in montagna e al mare; è, anch’esso, lui, cioè sono io che scrivo queste osservazioni e traccio queste linee di collegamento. Eppure, qualcosa è accaduto nel corso dell’esperienza che qui sto raccontando, qualcosa che lascia emergere ed esalta, per il tramite del sovrapporsi e fondersi delle malinconie dipinte e fotografate, un elemento che non saprei definire altrimenti se non autobiografico, come se l’esperienza stessa avesse attivato il formarsi di un piccolo frammento della mia storia. E dunque credo di poter dire che la sintesi, il nesso, l’intreccio tra l’osservazione del Pierrot e della sua malinconia, da un lato, e quel che ora vedo meglio di quanto non abbia mai visto nelle mie fotografie di ragazzo malinconico, forse sognante e distratto, dall’altro, in un momento della sua storia di vita, mi regalano un’esperienza autobiografica imprevista. Ma questo segmento di autobiografia è a tutti gli effetti un segmento di esperienza storica, della mia esperienza vitale e storica, perché il mio sguardo animato dal ricordo di un momento (in montagna, al mare) si allarga come accade con le onde di un sasso lanciato in un bacino di acqua perfettamente calmo e mi spalanca il susseguirsi virtualmente infinito di altre immagini della mia vita individuale, e non solo individuale, del tempo in cui ho vissuto, del tempo breve che ha preceduto il momento della foto e del tempo lungo di tutto quello che ne è seguito e che ancora non è concluso. E mi azzardo a dire che ciò che, a partire dalla visita al Picasso giovanile e al suo Pierrot, ho vissuto e ora racconto è qualcosa come un vissuto storico – nel cui senso spero si ritrovi anche la competenza degli storici che fanno la storia, dei professionisti della storia.