Ripensando alla mia Storia. Le ragioni di un percorso #6


Abstract: Con questo numero il Giornale di Storia inaugura la sezione dal titolo «Ripensando la mia Storia. Le ragioni di un percorso» che ospiterà le testimonianze di coloro che amano e che scrivono di Storia. Abbiamo chiesto a un nutrito gruppo di storici e di studiosi che in passato hanno collaborato con il Giornale di descriverci quale è stata l’opera artistica o letteraria, l’avvenimento personale, ma anche l’incontro, che ha avuto un particolare valore nel loro percorso formativo e culturale.
Vorremmo proseguire l’iniziativa proponendo ai nostri lettori di scriverci inviando alla posta di redazione le proprie testimonianze, le pagine più belle e significative verranno pubblicate nei prossimi aggiornamenti all’interno di questa sezione.

Autobiografia di una “strana” passione per le ricerche sull’Inquisizione

 

1. Non mi è possibile indicare una precisa lettura, un documentario, un film o un particolare episodio della mia vita che rappresentino il momento critico per cui ho scelto di dedicare gran parte dei miei studi – e del mio vissuto – alle ricerche sull’Inquisizione o più in generale sul disciplinamento e repressione dei dissidenti, degli emarginati o delle classi subalterne nel corso della storia moderna. Si tratta di un percorso intimo, articolato, contraddittorio e a volte doloroso, soprattutto se inteso come un vissuto personale in perenne tensione con le diverse realtà quotidiane. In età matura, ancora liceale, la lettura di un saggio monografico sulla Donazione di Sutri (nel manuale di storia Desideri, l’età moderna) e de I benandanti di Carlo Ginzburg ha sicuramente segnato in modo importante la mia “svolta” scientifica, così come tutte le ricerche che questo studioso ha condotto negli anni successivi. Volendo ripercorrere una retrospettiva culturale o di vita, senz’altro sono molteplici le circostanze, le esperienze che mi hanno portato a elaborare un senso critico della realtà vissuta: il fatto di essere stato l’unico “maschietto” in una famiglia di quattro donne, per esempio, mi ha permesso precocemente di toccare con mano sia la sensibilità femminile che la cultura maschilista sottesa alla nostra società. Ricordo, da ragazzino, le visite fatte con mia madre al campo Rom sotto casa; lei spesso andava per acquistare oggetti d’uso domestico a prezzi molto bassi – come fosse Porta Portese o Piazza Vittorio –, tutti la salutavano con affetto e stima, mentre io mi ritrovavo in mezzo a camper e roulotte a frugare fra gli oggetti recuperati (erano tempi in cui tutti dicevano che gli zingari rubavano i bambini e fuori dalla scuola regalavano le caramelle drogate!). Penso ai nostri vicini di casa, una famiglia ebrea, i Terracina, che litigavano sempre fra di loro – dalla mia casa si sentivano delle urlatacce –, ma ogni sabato ci regalavano il pane azzimo caldo avvolto in un panno come segno di amicizia. Dall’altra, il mio pensiero non può che andare a mia nonna, contadina-sarta del Sud, a cui ho voluto un bene immenso, ma che ogni Natale ci costringeva a baciare la statuetta di Gesù e a cantare, portando in mano una candela accesa per tutta casa. La processione domestica, la cera bollente che mi cadeva sulle mani ha reso possibile la comprensione dell’intimo senso del martirio o degli auto da fé. Così come la messa domenicale che mio padre rendeva obbligatoria, in età ancora infantile – anche se già palesemente secolarizzato – i giorni destinati alla sua tutela (i miei genitori erano separati: il sabato e la domenica era il turno paterno); l’unica distrazione che mi era concessa durante il rito era la lettura di Famiglia cristiana, fortunatamente in quegli anni la rivista comprendeva un inserto dedicato alle vignette (censurate) di Benito Jacovitti, da lì in poi sarebbe diventato una mia passione. Potrei andare avanti all’infinito, il cinema parrocchiale – che però mi ha fatto conoscere i film di Bud Spencer e Terence Hill – o i boy scout, dove mi iniziarono a discriminare per la mancata presenza assidua alla messa, ma sempre in prima linea quando si trattava di campeggio o di escursioni in mezzo alla natura.
2. Ma parliamo di cose un po’ più serie: nella ricca libreria di mia madre che attraversa tutto il corridoio di casa, un particolare libro era collocato proprio davanti alla mia camera da letto, si trattava de Lo specchio della magia di Kurt Seligmann (ristampa del 1987 con le Edizioni Casini). La passione per l’esoterismo in età adolescenziale è cosa ormai nota, tuttavia la lettura, la sera prima di andare a dormire, in quel periodo della mia vita, di un testo non propriamente scientifico, ma utile per acquisire i primi rudimenti delle categorie storiche legate al mondo della magia, quali l’interpretazione dei tarocchi, la lettura della mano o l’alchimia e i materiali ad essa correlati, ebbe senz’altro un forte impatto su i miei futuri interessi storici. Poi ci fu la scoperta di Luis Buñuel, dei suoi film, e fu un incontro casuale. Io e il mio grande amico, oltre che compagno di classe, Michele Martino (collaboratore della traduzione del libro che ho curato di Christopher Black, Storia dell’Inquisizione in Italia, 2013) iniziammo a frequentare, da sedicenni, una sala d’essai, il cinema Azzurro Scipioni gestito da Silvano Agosti: ricordo i sedili d’aereo al posto delle poltrone, una genialità! Le proiezioni erano molto ricercate e spesso si poteva incontrare il regista al termine di un suo film o di un documentario per poter discutere (così fu dopo la proiezione di D’amore si vive, 1984), ma, in quel clima di passione per il cinema d’autore, fummo folgorati da L’angelo sterminatore di Buñuel. Da quel momento in poi divenne una malattia, consumammo tutte le pellicole in circolazione di Buñuel, per poi innamorarci della Via lattea; visto e rivisto per non so quante volte – nonostante la durata del film –, proposi al professore di religione (sacerdote) del mio Liceo la proiezione in classe per una discussione collettiva. L’iniziativa venne ignorata, d’altra parte io frequentavo l’ora di attività facoltativa. Di recente ho avuto l’occasione di leggere un bellissimo saggio di Francesco Mores sulla genesi e sulle vicissitudini che attraversarono la produzione cinematografica di Luis Buñuel su questi particolari temi, e ancora oggi mi sento in debito con questo grande intellettuale e artista (F. Mores, Il fascino discreto della messa nera, in L’Inquisizione tra storia e Immaginario, a cura di G. Ancona, Arbor Librorum Edizioni, Trieste, 2010, pp. 85-97. Colgo l’occasione per ringraziare Giuliana Ancona per avermi fatto dono del volume).
Prima di trasferirmi a Bologna per iniziare gli studi di Storia moderna all’Università, infine, ebbi la fortuna di trovare, sempre nella libreria del lungo corridoio di casa di mia madre, un libro che ha segnato in modo indelebile non solo i miei interessi scientifici, ma la mia percezione del mondo e della vita: Sud e magia di Ernesto De Martino. In seguito a quella lettura, seguì, chiaramente, l’interesse per le altre ricerche dell’antropologo, come La terra del rimorso, che rimangono punti essenziali della mia formazione personale. Poi, con l’Università, inizia un’altra storia, come è normale che sia; ho incontrato docenti, colleghi e studenti con cui sono cresciuto sul piano scientifico e umano, ma dentro il cuore porto sempre con me la triste ironia di Jacovitti, la narrativa poetica di Buñuel, e, non a caso, sono residente in un piccolo paesino del Salento, nella mia amata terra del rimorso.