Non solo uomini. Il razzismo delle universitarie fasciste nelle pubblicazioni di Elena Cortellese Platania

Non solo uomini. Il razzismo delle universitarie fasciste nelle pubblicazioni di Elena Cortellese Platania

Abstract: Il saggio presenta i primi risultati di una ricerca finalizzata a ricostruire la presenza delle studentesse all’interno del mondo universitario durante il Ventennio, con particolare attenzione all’organizzazione dei Gruppi universitari fascisti. In questa sede l’attenzione è posta sulla figura della vincitrice dei Littoriali femminili di Trieste del 1939 Elena Cortellese Platania, dirigente della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci) e autrice di una monografia dal titolo «I compiti della donna nella colonizzazione italiana». Lo studio degli scritti della giovane scienziata ci permette di approfondire gli sviluppi teorico-culturali del razzismo fascista anche in relazione alla posizione del cattolicesimo italiano, e al contempo riflettere sul ruolo riservato alla donna dal regime fascista.

È trascorso oltre un quindicennio da quando nel 2003 Luca La Rovere ha dato alle stampe il primo libro interamente dedicato alla storia dei Gruppi universitari fascisti. A questo volume, che ha avuto il pregio di affrontare per primo il tema dell’organizzazione fascista nella sua interezza ricostruendo una vicenda storica che attraversa tutto il Ventennio, si deve il definitivo superamento di una stagione storiografica durante la quale, complice anche l’eredità generazionale di chi tra gli studiosi aveva percorso il lungo viaggio attraverso il fascismo di zangrandriana memoria, era prevalsa la teoria secondo la quale l’intera compagine studentesca, e più in generale la generazione nata e cresciuta durante gli anni del fascismo, fosse rimasta impermeabile al regime dominante convertendosi poi, quasi naturalmente, al pensiero e all’azione antifascista. La lettura precedente, prendendo in esame sia le riviste che i momenti principali di aggregazione studentesca quali i Littoriali, aveva finito per ridurre il peso dell’attività fascista all’interno degli atenei italiani, sia per ciò che concerne l’impegno del regime nel fascistizzare le giovani generazioni e le stesse università, sia definendo come semplici comparse gli studenti nel progetto totalitario fascista.

La sottovalutazione del ruolo avuto dagli universitari negli anni del regime nel partecipare all’elaborazione formale dei temi più cari al fascismo, così come nell’intervenire direttamente a favore dell’applicazione dell’ideologia totalitaria, ha inoltre contribuito a sminuire il regime stesso e la sua capacità di portare a termine la via italiana al totalitarismo anche attraverso la formazione e l’alta cultura.

L’idea di un quanto mai fantomatico spazio di autonomia lasciato agli studenti dal regime è stata ulteriormente ridimensionata attraverso ricerche più recenti che hanno saputo mettere in luce la reale partecipazione degli universitari all’azione e alla propaganda fascista, anche grazie all’analisi di cruciali passaggi nella storia del regime. Ci basti ricordare il ruolo degli universitari fascisti nell’eliminazione dell’associazionismo studentesco preesistente, la gestione di tutti gli spazi aggregativi e il controllo dell’attività dei docenti, e, infine, l’accelerazione imposta a partire dal 1935 quando il razzismo prima, e l’antisemitismo poi, sono stati il maggior bacino di prova dell’attecchimento dell’ideologia del regime negli atenei e della loro effettiva fascistizzazione.

Va inoltre sottolineato come, nello specifico della legislazione razzista, la diffusa tesi di una scarsa partecipazione all’elaborazione e poi all’applicazione delle scelte del regime da parte dei più giovani sia a lungo andata di pari passo con la lettura del 1938, lettura diffusa che ancora oggi fatica ad essere demolita nella narrazione non specialistica, come portato di un antisemitismo “all’italiana” di importazione tedesca, frutto esclusivo dell’alleanza con il nazismo.

Abbiamo già dimostrato in altra sede, facendo riferimento al tema specifico dell’antisemitismo dei Guf, come la promulgazione delle leggi razziali sia stata uno dei passaggi chiave di un processo iniziato nella prima metà degli anni Trenta in grado di tenere insieme la lotta al borghesismo, intrapresa dal fascismo sin dalle sue origini, e l’autonomia di pensiero dei giovani universitari capaci di un’elaborazione formale tesa a colpire un nemico, identificato con l’antifascismo, l’anticristianità e il bolscevismo, che si tradusse in azioni dirette contro gli ebrei dentro e fuori le aule universitarie. Così come si è adeguatamente riflettuto sull’importanza della guerra di Etiopia che segnò i giovani universitari dando loro la possibilità di partecipare al dibattito interno al paese, all’elaborazione del razzismo coloniale e alla sua propaganda. Un processo di avvicinamento al razzismo e di costruzione dell’imperialismo fascista che ritraeva la superiorità italiana e che nell’arco di pochi anni aveva avuto «la funzione di accelerare l’azione di pedagogia politica volta a riformare il carattere degli italiani».

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