Antoine Vitkine, Mein Kampf. Storia di un libro, trad. it. di Giovanni Zucca, Cairo editore, 2010



Antoine Vitkine, Mein Kampf. Storia di un libro, trad. it. di Giovanni Zucca, Cairo editore, 2010
Abstract: Autobiografia, programma politico, "Bibbia del Nazismo", utopia, libro maledetto e demoniaco: queste, ed altre ancora, sono le valenze assunte dal Mein Kampf di Adolf Hitler. Il giornalista e documentarista francese Antoine Vitkine ripercorre, infatti, nel suo studio le fasi della circolazione e della ininterrotta fortuna del Mein Kampf, sottolineando la persistente esigenza di fare i conti con questo libro e con la sua storia passata e presente.

Autobiografia, programma politico, “Bibbia del Nazismo”, utopia, libro maledetto e demoniaco: queste, ed altre ancora, sono le valenze assunte dal Mein Kampf di Adolf Hitler. Il giornalista e documentarista francese Antoine Vitkine ripercorre, infatti, nel suo studio le fasi della circolazione e della ininterrotta fortuna del Mein Kampf, sottolineando la persistente esigenza di fare i conti con questo libro e con la sua storia passata e presente.

All’indomani del fallito putsch di Monaco, detenuto nella prigione di Landsberg, in Baviera, durante il 1923, Hitler si dedica alla scrittura dell’opera, compiendo un’operazione di comunicazione personale ad uso interno al movimento völkisch, dove la frammentazione e le iniziative di altri esponenti nazisti come Gregor Strasser, minano la sua autorità e linea politica. Quando viene pubblicato per la prima volta nel 1925 dalla casa editrice nazista Eher-Verlag, in due tomi, il Mein Kampf costituisce nella strategia hitleriana è la base del rilancio dell’azione hitleriana, aggirando i limiti legali imposti all’azione nazionalsocialista. Da un lato, Hitler non può parlare in pubblico fino al 1927, dall’altro il NSDAP viene dichiarato illegale a seguito del tentato putsch.

La diffusione interna dello scritto hitleriano si intreccia strettamente alle vicende politiche dei nazionalsocialisti, registrando un boom di vendite soprattutto dal 1930 in poi, quando, a seguito della crisi economica mondiale, l’affermazione a livello nazionale della NSDAP appare ormai inarrestabile. La visibilità del Mein Kampf costituisce dunque un sensibilissimo termometro dell’ascesa nazionalsocialista e del conseguente sgretolamento della repubblica di Weimar e delle sue istituzioni. La classe politica ed intellettuale weimariana infatti sottovaluta il radicalismo dei propositi espressi da Hitler nella sua opera, considerandoli con imperdonabile miopia alla stregua di una mera propaganda delirante, senza prendere sul serio il concreto progetto politico esposto nelle pagine dello scritto.

Peraltro, lo stesso autore, giunto al potere nel 1933, vuole evitare che i tedeschi esaminino troppo attentamente e da vicino le idee esposte nel suo scritto e ne propone una diffusione parziale e controllata. Da un lato, secondo il Führer, il Mein Kampf è un’opera che si rivolge soltanto ai nazisti convinti, ed ai giovani che devono essere indottrinati alla fede nazionalsocialista. Dall’altro lato, consapevole del desiderio di pace della maggioranza del popolo tedesco, Hitler a livello pubblico cerca di atteggiarsi ad alfiere del pacifismo, avvalorando, anche durante la guerra gli scopi difensivi della sua azione di fronte all’aggressione delle potenze occidentali e dell’Unione Sovietica, in antitesi all’esaltazione della guerra totale condotta nel suo libro.

Nella stessa direzione, Hitler promuove una circolazione censurata del Mein Kampf anche all’estero, fatta salva la possibilità di capi di stato e di governo e dei maggiori leaders politici di accedere in modo immediato ad edizioni integrali dello scritto, grazie ai servizi amministrativi e di traduzione degli stati. Alla fine del 1933, due case editrici di Inghilterra e Stati Uniti ottengono infatti dalla Eher-Verlag il diritto di pubblicare l’opera, debitamente censurata dei passaggi relativi all’espansionismo militare hitleriano.

In Francia, indicata nel Mein Kampf quale nemico giurato della Germania, Hitler riesce addirittura ad impedire, grazie alla causa civile intentata e vinta dalla Eher-Verlag, l’ulteriore diffusione della traduzione integrale dell’opera, pubblicata senza permesso dall’editore Fernand Sorlot, pur non potendo evitarne una cospicua circolazione clandestina. Comunque, nel corso degli anni Trenta, il Führer, con una mirata strategia di dichiarazioni e discorsi pubblici, blandisce con successo gran parte della classe dirigente e dell’opinione pubblica francese, che preferisce credere alle sue intenzioni pacifiche, piuttosto che dare ascolto alle ben diverse enunciazioni contenute nel Mein Kampf.

Inoltre, non va trascurato che l’iniziativa editoriale di Sorlot, per quanto assunta col concorso segreto della Lega Internazionale contro l’antisemitismo (LICA), proprio in relazione alla successiva adesione dell’editore al regime collaborazionista del maresciallo Pétain, rappresenta una spia indicativa dell’ambiguità largamente presente negli ambienti culturali della destra francese di fronte al Mein Kampf. Pur dissentendo dalle pagine antifrancesi dell’opera, quest’ultima ne condivide infatti temi fondamentali quali l’antisemitismo, l’antiliberalismo e l’antimarxismo.

L’edizione italiana viene realizzata da Valentino Bompiani nel 1934 su incarico di Mussolini, in una fase politica piuttosto complessa tra Italia e Germania, per via della questione austriaca. In primo luogo, Bompiani pubblica soltanto il secondo volume dell’opera, relativo alla dottrina ed al progetto politico nazionalsocialista, aggiungendovi però il capitolo più razzista del primo volume intitolato “Popolo e razza”. In secondo luogo, ne affida la traduzione all’ebreo italiano di convinzioni fasciste Angelo Treves. In circostanze ben diverse invece Bompiani pubblicherà anche il primo volume del Mein Kampf all’inizio del 1938, nell’ambito dunque della ormai consolidata alleanza dell’Italia fascista con la Germania, e della svolta antisemita del regime, suggellata di lì a poco dalla proclamazione delle leggi razziali.

Soltanto lo scoppio della guerra muta radicalmente la percezione del Mein Kampf nelle potenze occidentali che si contrappongono ad Hitler. La Bibbia del nazismo diviene oggetto di nuove edizioni, finalmente integrali, rivolte all’opinione pubblica, a sostegno dello sforzo bellico antitedesco in Inghilterra (1940), dell’entrata in guerra degli Stati Uniti a partire dal 1939, e della resistenza del Comitato francese di liberazione nazionale, insediato in esilio ad Algeri (1943).

A Norimberga nel 1945-46 il Mein Kampf diventa una prova essenziale dei crimini nazisti per poi rapidamente smaterializzarsi dall’ambito tedesco. La Repubblica Federale Tedesca mantiene il divieto emanato dalle autorità di occupazione di riprodurre e distribuire l’opera integrale, affidandone la relativa applicazione al Land della Baviera, anche con riguardo alla diffusione estera del Mein Kampf. Lo scritto hitleriano, di cui tra il 1933 ed il 1945 i tedeschi hanno posseduto ben 12 milioni di copie, diviene dunque nel secondo dopoguerra un tabù, una presenza scomoda che va nascosta, taciuta, dissimulata, rimossa ma che, proprio per questo, persiste nella forma di un fantasma, non ancora pienamente affrontato a livello di memoria ed identità storico-spirituale collettiva dalla società tedesca.

All’estero, invece, il Mein Kampf mostra una vitalità editoriale di dimensioni addirittura mondiali. Soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, senza soluzione di continuità, l’opera costituisce un punto di riferimento significativo nell’affermazione degli emergenti nazionalismi extraeuropei, in Asia, Africa, America Latina, in virtù del suo ultranazionalismo e della sua ferma opposizione ai valori liberal-democratici della civiltà occidentale. Anche recentemente, in questa direzione, risultano estremamente indicativi, per l’ampia circolazione registrata, sia il caso dell’India, sia quello degli oltranzistici movimenti nazionalisti che hanno preso piede negli stati, dell’ex Unione Sovietica, con particolare riguardo a Russia ed Ucraina.

Ancora più profondo e consolidato appare il legame instaurato dal Mein Kampf con il mondo arabo. Fin dagli anni Trenta, i rapporti tra nazisti e nazionalismo arabo sono stati particolarmente significativi in direzione anti-inglese, antifrancese ed antiebraica. Emblematica a tal riguardo risulta la grande diffusione registrata dal Mein Kampf già nel 1939, in Palestina, Libano ed Egitto, dove i tedeschi miravano ad una insurrezione anticoloniale dei popoli arabi.

Nel secondo dopoguerra, poi questo rapporto viene corroborato dall’arrivo nel mondo arabo di molti ex nazisti, implicati nella Soluzione Finale (Aloïs Brunner, Aloïs, Moser, Wilhelm Farmbacher, Bernhard Berner, ecc.) che guadagnano molti proseliti all’antisemitismo propugnato nello scritto hitleriano. Anche oggi, la consonanza dell’antisionismo sviluppato nel Mein Kampf con le pulsioni antiebraiche ed anti-israeliane di larga parte del nazionalismo del mondo islamico, viene confermata dal picco di vendite che l’opera ha fatto registrare nel 2007 in Indonesia, il più grande paese musulmano del mondo, con ben quindicimila copie.

Altro caso eclatante della diffusione del Mein Kampf, infine, è rappresentato dalla Turchia, dove risulta tra i libri più venduti. In modo crescente, diversi esponenti delle classi dirigenti e dei gruppi militari infatti si avvicinano al tradizionale antiamericanismo ed antisionismo dell’estrema destra e degli integralisti islamici, trovando nell’opera hitleriana argomenti spendibili per saldare, nel segno dell’ultranazionalismo, l’identità culturale e politica del giovane stato turco.

Lo studio di Vitkine mostra dunque la straordinaria circolazione del Mein Kampf, invitando, attraverso la vivace analisi proposta, a tenere ben aperta la riflessione su questo controverso e problematico testo.