Francesco Germinario, Fascismo e antisemitismo. Progetto razziale e ideologia totalitaria, Laterza, 2010



Francesco Germinario, Fascismo e antisemitismo. Progetto razziale e ideologia totalitaria, Laterza, 2010
Abstract: «Osservando l'attuale dibattito storiografico sul fascismo non è difficile rinvenire due linee di tendenza. La prima è quella che lo storico attualmente più avvertito del fenomeno fascista, Emilio Gentile, ha definito quale "defascistizzazione del fascismo" intendendo con questa il tentativo di "togliere al fascismo gli attributi che gli furono propri e che ne caratterizzarono l'individualità storica". L'obiettivo di questa tendenza consiste nel dare vita ad una "rappresentazione alquanto indulgente, se non proprio benevola, dell'esperienza fascista: una vicenda più comica che tragica, una sorta di istrionica farsa di simulazione collettiva, recitata per venti anni dagli italiani". Come è noto questa rappresentazione ha riscontrato una rapida quanto diffusa traduzione nel dibattito politico italiano, con i conseguenti e inevitabili riflessi nella percezione pubblica del fenomeno fascista.
Il secondo aspetto è stato il lievitare progressivo, specie nell'ultimo ventennio, di una larga messe di studi e ricerche, ormai sempre più difficile da padroneggiare, concernenti l'antisemitismo fascista».

«Osservando l’attuale dibattito storiografico sul fascismo non è difficile rinvenire due linee di tendenza. La prima è quella che lo storico attualmente più avvertito del fenomeno fascista, Emilio Gentile, ha definito quale “defascistizzazione del fascismo” intendendo con questa il tentativo di “togliere al fascismo gli attributi che gli furono propri e che ne caratterizzarono l’individualità storica”. L’obiettivo di questa tendenza consiste nel dare vita ad una “rappresentazione alquanto indulgente, se non proprio benevola, dell’esperienza fascista: una vicenda più comica che tragica, una sorta di istrionica farsa di simulazione collettiva, recitata per venti anni dagli italiani”. Come è noto questa rappresentazione ha riscontrato una rapida quanto diffusa traduzione nel dibattito politico italiano, con i conseguenti e inevitabili riflessi nella percezione pubblica del fenomeno fascista. Il secondo aspetto è stato il lievitare progressivo, specie nell’ultimo ventennio, di una larga messe di studi e ricerche, ormai sempre più difficile da padroneggiare, concernenti l’antisemitismo fascista».

I problemi evocati da Francesco Germinario nella prima pagina del suo saggio sarebbero sufficienti per riempire interi volumi e il solo accennare ad essi ci porterebbe molto al di là dello spazio consentito ad una recensione. E anche limitandoci al secondo aspetto, che poi è quello sviluppato nel corso del lavoro, sono molte le prospettive possibili – che giustificano la fioritura di studi sulla via italiana all’antisemitismo – specie se si finisce col fare un confronto con i diversi contesti nell’Europa tra le due guerre.

Germinario cerca allora di fare il punto, offrendo al tempo stesso una sua interpretazione e ponendo delle domande. Se i risultati espressi dalla storiografia più avvertita hanno certo aiutato recentemente a fare luce sulle vicende dell’antisemitismo fascista, uscendo in parte da una serie di luoghi comuni che sembravano ormai cristallizzati, è altrettanto vero che – aggiunge l’autore – si rischia di cadere in una sorta di equivoco, concentrando nel momento dell’introduzione delle leggi razziali, e quindi dell’antisemitismo di stato, il nocciolo dell’intera storia del Ventennio, quasi che «fino ad allora il fascismo non fosse stato tale, costituendo, la scelta politica e culturale operata in quell’anno, il condensato del regime fascista».

E così, prosegue Germinario, si finisce sulla strada di identificare antisemitismo e fascismo con la conseguenza, come minimo, di sottovalutare ciò che era stato il fascismo negli anni precedenti il 1938. Si tratta di una sottolineatura condivisibile alla quale l’autore aggiunge una considerazione relativa al fatto che – sembra di capire – le leggi razziali furono la logica conseguenza di tutto quanto avvenuto precedentemente, «dall’epoca d’oro dello squadrismo» alla guerra d’Etiopia. Fondamentale appare la necessità di rispondere ad alcune domande attorno le quali si sviluppa l’intero ragionamento del libro: accertato che – a suo modo di vedere – razzismo e antisemitismo costituiscono il «punto di approdo dell’ideologia fascista», con l’adozione di una politica antisemita da parte del regime, si verificarono delle modifiche nel sistema ideologico fascista? E, ancora, «quale rapporto intercorre fra il progetto fascista di nazionalizzazione totalitaria delle masse, ossia di una loro fascistizzazione integrale, elaborato già negli anni precedenti il 1938, e l’adozione della cultura politica antisemita? In che senso l’antisemitismo influisce sull’ideologia fascista, al punto di suggerire l’idea che esso, piuttosto che un elemento ideologico aggiunto – se non preesistente già agli inizi del movimento fascista, come sostenuto dai propagandisti del regime – si declini addirittura come un elemento caratterizzante dello scarto di ideologia che si realizza appunto dal 1938?».

L’ipotesi storiografica che guida un po’ tutta la ricognizione di Germinario è che il fascismo abbia fatto ricorso all’antisemitismo quale potente motore aggiunto del processo di costruzione del sistema totalitario e che, di conseguenza, l’introduzione dell’antisemitismo comporti alcune importanti modifiche nel precedente corpus ideologico fascista, a cominciare dal concetto di nazione – un concetto attorno al quale ruotava gran parte dell’ideologia del fascismo – tanto da riformulare quel medesimo sistema ideologico in una chiave esplicitamente antisemita. In conclusione, scrive Germinario, «il vento gelido dell’antisemitismo non lascia immune il sistema ideologico fascista, costringendolo invece a rivedere paradigmi teorici e definizioni concettuali, in un rapporto, ideologico prima che politico, sempre più stretto con il nazismo».

Fino alla svolta della metà degli anni Trenta razzismo e antisemitismo non rientravano nell’agenda politica del regime e chi cerca di sostenere il contrario – a nostro modo di vedere – confonde il significato dei termini razza e stirpe con qualcos’altro. Ancora nel 1937 «Critica Fascista» e il gruppo di Giuseppe Bottai (l’una e l’altro se non espressione di una vera e propria ortodossia di regime – accanto a «Gerarchia» – certo tra le voci più influenti) definivano il razzismo «roba da caverne» riferendosi, tra l’altro, alla Germania. Le cose, insomma, non sono come sembrano allo storico distratto o a chi agisce per partito preso. Giocare con le parole e citare frammenti sparsi di testi di legge e discorsi non porta lontano, a meno che non si voglia più o meno consapevolmente alimentare una pseudostoria da programma divulgativo, buona per un facile intrattenimento televisivo da prima serata, ma nulla più.

La parte discutibile del lavoro di Germinario può essere individuata nel suo fare riferimento solo fugacemente agli altri protagonisti della guerra contro gli ebrei che non sono solo Giovanni Preziosi o Julius Evola (tra l’altro per anni praticamente degli emarginati) ma figure del mondo cattolico, con in testa i gesuiti de «La Civiltà Cattolica». E qui non si tratta di riproporre la discussione sulle differenze (vere o presunte è come noto una questione di punti di vista) tra antigiudaismo e antisemitismo, ma di fare luce su di un problema centrale nel più ampio contesto dei rapporti tra Stato e Chiesa durante tutta la parabola del regime. La documentazione disponibile dal settembre 2006 presso l’Archivio Segreto Vaticano permette di vedere le cose da una differente prospettiva, al tempo stesso ridimensionando alcuni aspetti dell’intera vicenda e introducendone altri che non possono essere ignorati.

Quando Germinario en passant scrive della «opposizione della Chiesa alle leggi razziali» non fa che riproporre uno dei più tenaci argomenti ripetuti all’infinito ancora oggi. Perfino il gesuita Giovanni Sale, difensore delle ragioni della Santa Sede di fronte all’orrore dell’antisemitismo italiano, è costretto a riconoscere nel suo recente e documentato lavoro (Le leggi razziali in Italia e il Vaticano) che è imbarazzante per lo storico cattolico valutare l’atteggiamento della Chiesa al momento della svolta antisemita. Né appare convincente un altro argomento che sembra farsi strada, e cioè quello dell’opposizione alla parte della legge riguardante i «matrimoni misti» tra un cattolico e un ebreo convertito al cattolicesimo «come appiglio giuridico» per poter – in un secondo tempo – contestare l’intero apparato anche ideologico della norma stessa, argomento questo che si sgretola di fronte alla realtà delle cose all’indomani della caduta del fascismo nell’estate del 1943.

A leggere le pagine del libro di Germinario sembra che regime e Santa Sede vivano in pianeti diversi, che il fascismo e un certo mondo cattolico agiscano in universi paralleli, che gli unici protagonisti della lotta contro gli ebrei siano stati Evola, Farinacci, Interlandi, Preziosi e tutti coloro che, tra antisemitismo “biologico”, “spirituale” e “nazionale” cercavano di trovare con urgenza una formula italiana all’antisemitismo capace di distinguerlo (tra una contraddizione e l’altra, aggiungiamo noi) da quello nazista. Quasi che il fascismo viva in una realtà a parte e che la guerra contro gli ebrei non abbia alcun legame con la storia culturale, ideologica e religiosa italiana. Ora, è vero che l’autore sin dal titolo dichiara di occuparsi appunto (e solo evidentemente) di fascismo e antisemitismo ma certo questo non giustifica il fatto di eludere un problema di fondo che al contrario, a parere di chi scrive, risulta essere centrale.

La documentazione vaticana (messa a confronto con altra da tempo disponibile) e quindi i fondi relativi al papato di Achille Ratti, Pio XI, ci restituiscono l’immagine di una relazione organica, quasi simbiotica, tra Stato e Chiesa lungo tutta la parabola del regime fascista. Gli argomenti in discussione, trattati settimanalmente dal duce con uomini quali il gesuita Tacchi Venturi (formalmente semplice “fiduciario del papa”, di fatto vera figura chiave nelle relazioni tra Vaticano e fascismo) vanno dall’educazione dei giovani alla moralità, dagli attriti tra PNF e azione cattolica ai rapporti con la Germania, dall’abolizione della festa del XX settembre agli esiti della Conciliazione e tanto altro ancora, con un Mussolini sempre pronto ad ascoltare e ad agire in senso favorevole ai desiderata della Santa Sede tanto che appare evidente (e in alcuni casi francamente sorprendente) il fatto che molto della prassi politica fascista sia in realtà la risultante di una pressione che arriva da oltre Tevere.

Le carte, specie quelle più recenti, raccontano fatti diversi anche su un altro punto centrale sviluppato nel libro, quello della relazione con l’alleato nazista. Se, scrive Germinario, alla fine si arriva in Italia alla realizzazione del «processo di nazificazione» (affermazione questa assai discutibile) inteso tra le altre cose quale compimento del progetto totalitario fascista, ancora una volta i documenti d’archivio parlano d’altro – almeno riguardo la fase preparatoria – e cioè di una discussione serrata con gli emissari (ufficiali e ufficiosi) della Santa Sede non solo sui rapporti con la Germania ma anche su temi quali l’emarginazione degli ebrei dalla vita politica, culturale ed economica italiana, destinata a trasformarsi – quanto e se al di là degli intenti dei protagonisti è tutto da chiarire – in una conditio sine qua non per i drammatici sviluppi successivi.

Ce n’è abbastanza, crediamo, per lasciare salotti e biblioteche, libri e riviste, e ricominciare a fare quello che lo storico dovrebbe sempre fare (naturalmente dopo aver letto le analisi dei colleghi e tenendone giustamente conto): andare in archivio e confrontarsi serenamente con i documenti, specie quando, come in questo caso, ce ne sono di nuovi.