Herman H. Schwedt, Die Anfänge der Römischen Inquisition. Kardinäle und Konsultoren 1542 bis 1600, Herder, 2013



Abstract: La riorganizzazione dell'Inquisizione romana del 1542, è da tempo oggetto di studi e riflessioni, nel tentativo, da parte degli studiosi, di comprendere l'impatto che questo dicastero ebbe nella religiosità collettiva, nella cultura e nelle dinamiche sociali della penisola italiana. Lo stato dell'arte degli studi è indubbiamente a un ottimo livello, basti pensare ai quattro volumi curati da Ugo Baldini e Leen Spruit, Catholic Church and Modern Science (2009) sulla censura delle scienze naturali classiche o al Dizionario storico dell'Inquisizione (2010), diretto da Adriano Prosperi che analizza anche l'Inquisizione spagnola e portoghese; i dieci volumi del Centro Tedesco di Ricerca (2005-2010) sulla censura romana dei libri e il progetto a lungo termine diretto da Hubert Wolf, Römische Inquisition und Indexkongregation (2005-2010), che allo stato attuale ha prodotto diversi volumi sull'attività e sul personale della Congregzione dell'Indice e del Sant'Uffizio per il periodo che va dal 1700 al 1917. A queste opere di ampio respiro si aggiungono monografie che rappresentano un punto di riferimento per gli studi sull'Inquisizione romana, come L'Inquisizione nell'Italia moderna (2002) di Giovanni Romeo o Tribunali della coscienza (1996) di Adriano Prosperi o l'intera ricostruzione storica dell'Inquisizione medievale e romana di Andrea Del Col (2006). Analogamente hanno visto la luce importanti edizioni di fonti, come il processo contro il cardinale Giovanni Morone a cura di Massimo Firpo e Dario Marcatto (1981-2011). Tuttavia, la storia della neo istituita Inquisizione romana – per quanto riguarda il primo periodo di attività – a buon ragione è stata spesso proposta come una storia di processi, da quello citato contro Giovanni Morone alla condanna a morte di Pietro Carnesecchi. I meccanismi che regolarono l'attività iniziale della commissione cardinalizia, nominata il 21 luglio con la bolla Licet ab initio, per combattere il diffondersi delle correnti eterodosse nella penisola italiana non sono ancora molto chiari. Il che trova una spiegazione nell'assenza di gran parte delle fonti dirette sui primi anni di attività dell'Inquisizione romana, dovuta all'incendio doloso dell'edificio che custodiva la documentazione, presso la Ripetta sul Tevere, in seguito alla morte di Paolo IV Carafa (agosto 1559).

La riorganizzazione dell’Inquisizione romana del 1542, è da tempo oggetto di studi e riflessioni, nel tentativo, da parte degli studiosi, di comprendere l’impatto che questo dicastero ebbe nella religiosità collettiva, nella cultura e nelle dinamiche sociali della penisola italiana. Lo stato dell’arte degli studi è indubbiamente a un ottimo livello, basti pensare ai quattro volumi curati da Ugo Baldini e Leen Spruit, Catholic Church and Modern Science (2009) sulla censura delle scienze naturali classiche o al Dizionario storico dell’Inquisizione (2010), diretto da Adriano Prosperi che analizza anche l’Inquisizione spagnola e portoghese; i dieci volumi del Centro Tedesco di Ricerca (2005-2010) sulla censura romana dei libri e il progetto a lungo termine diretto da Hubert Wolf, Römische Inquisition und Indexkongregation (2005-2010), che allo stato attuale ha prodotto diversi volumi sull’attività e sul personale della Congregzione dell’Indice e del Sant’Uffizio per il periodo che va dal 1700 al 1917. A queste opere di ampio respiro si aggiungono monografie che rappresentano un punto di riferimento per gli studi sull’Inquisizione romana, come L’Inquisizione nell’Italia moderna (2002) di Giovanni Romeo o Tribunali della coscienza (1996) di Adriano Prosperi o l’intera ricostruzione storica dell’Inquisizione medievale e romana di Andrea Del Col (2006).

Analogamente hanno visto la luce importanti edizioni di fonti, come il processo contro il cardinale Giovanni Morone a cura di Massimo Firpo e Dario Marcatto (1981-2011). Tuttavia, la storia della neo istituita Inquisizione romana – per quanto riguarda il primo periodo di attività – a buon ragione è stata spesso proposta come una storia di processi, da quello citato contro Giovanni Morone alla condanna a morte di Pietro Carnesecchi. I meccanismi che regolarono l’attività iniziale della commissione cardinalizia, nominata il 21 luglio con la bolla Licet ab initio, per combattere il diffondersi delle correnti eterodosse nella penisola italiana non sono ancora molto chiari. Il che trova una spiegazione nell’assenza di gran parte delle fonti dirette sui primi anni di attività dell’Inquisizione romana, dovuta all’incendio doloso dell’edificio che custodiva la documentazione, presso la Ripetta sul Tevere, in seguito alla morte di Paolo IV Carafa (agosto 1559).

Herman H. Schwedt, con questo ultimo volume – frutto di anni di ricerche – cerca di colmare le lacune accennate proponendo una ricostruzione prosopografica (1542-1600 ca.) di tutto il personale che afferiva alla Congregazione della Santa Romana Inquisizione, dagli eminenti cardinali a tutte quelle figure “marginali” come i notai, i consultori, gli assessori o i soci del Commissario generale, che prendevano parte alle sedute settimanali. Il libro è organizzato in modo estremamente chiaro, rendendo molto agile la consultazione e i lavori di approfondimento: corredato da un’articolata introduzione bilingue (tedesco-italiano), suddivisa in otto paragrafi, l’autore ricostruisce le principali tappe che portarono alla fondazione dell’Inquisizione romana; spiega quale tipo di fonti ha utilizzato per acquisire i dati prosopografici; offre una panoramica sulla storiografia tedesca e italiana – con i diversi obbiettivi ideologici del passato – sul tema e, infine, fornisce una leggenda al lettore per consultare le schede redatte che compongono l’intero volume.

Una peculiarità della ricerca di Hermann Schwedt consiste sicuramente nelle diverse possibilità di lettura che essa offre, un libro che sottende degli “strati” interpretativi: si può consultare “semplicemente” per acquisire dati cronologici, nomine, riferimenti bio-bibliografici o archivistici e, allo stesso tempo, – tenendo ben presenti i punti evidenziati nell’introduzione – è possibile comprendere la morfologia che nell’arco di alcuni decenni assunse un dicastero come l’Inquisizione romana, destinata a durare per secoli. Il processo di burocratizzazione che caratterizzò la Congregazione del Sant’Uffizio a partire dal XVII secolo, ormai noto agli studiosi, getta infatti le sue basi nei primi decenni della neo istituita Congregazione attraverso il graduale innesto di prassi e di “funzionari” con specifiche competenze, nominati ad personam, pro tempore o a vita.

Ne è testimonianza, ad esempio, l’importanza che assunse il Commissario generale, «perno per l’ordine dei domenicani all’interno del Sant’Ufficio (p. 28)», a cui spettava il compito di coordinare e dirigere il personale delle inquisizioni locali e stilare l’ordine del giorno delle sedute, soppiantando di fatto il Maestro del Sacro Palazzo, teologo del papa e anch’egli per tradizione domenicano, che rimase membro della Congregazione, ma con poteri ridotti. Lo stretto legame che si instaurò fra il nuovo dicastero romano e l’ordine dei predicatori è confermato, inoltre, dall’incarico ex officio di consultore del Sant’Uffizio al maestro generale dei domenicani, che non trova un corrispettivo con i francescani, Ordine dei quali appartenevano sin dal medioevo molti inquisitori. Basti pensare che dei 244 membri, schedati da Schwedt, che a vario titolo collaborarono con l’Inquisizione romana fra il 1542 e il 1600, ben 103 provenivano dall’ordine dei predicatori. Fra questi vi sono delle figure che diverranno stabili nel Seicento, ma che nei primi anni di vita della Congregazione del Sant’Uffizio compaiono in modo subalterno, in particolare i soci o assistenti del Commissario generale, istituiti da Michele Ghislieri, futuro papa Pio V, nel 1551, rimanevano in carica non oltre i due anni, per poi essere promossi a importanti investiture, come vescovi o inquisitori nelle sedi locali del centro-nord della penisola italiana. L’aspetto dinamico dei primi anni di lavoro della commissione cardinalizia sottende alcune riflessioni che si evincono sia dalle schede prosopografiche che dalle tematiche discusse nell’introduzione del volume: se l’Inquisizione romana dovette rodare i propri meccanismi per diventare uno strumento di controllo stabile ed efficiente è pur vero che questa iniziale precarietà delle prassi e del personale era dovuta, molto probabilmente, alla natura provvisoria con cui era stata istituita la commissione cardinalizia del 1542. Come ricorda Schwedt, soffermandosi sul testo della Licet ab initio, e sottolineando l’assenza – inizialmente – di strumenti economici adeguati per operare nel lungo periodo, si dovette aspettare la riforma della Curia di Sisto V nel 1588, con lo smembramento del collegio cardinalizio in congregazioni, per avere una configurazione istituzionale destinata a durare nei secoli. Non a caso, la natura provvisoria con cui era stata istituita la congregazione cardinalizia attraverso la bolla Licet ab initio, concepita per combattere l’imminente emergenza ereticale nella penisola italiana, sarà uno dei principali temi critici nei confronti dell’Inquisizione romana del Seicento, dentro e fuori la Chiesa: emblematico, in questo senso, il duro attacco del cardinal Giovanni Battista De Luca, collaboratore di papa Innocenzo XI, alla Congregazione del Sant’Uffizio, e a tutto il personale che vi afferiva, nel 1680 (Dell’uso de’ patentati e ministri del S. Offitio nello Stato Ecclesiastico, Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, St. St., H 5-f, cc. 495r-505v). De Luca, scrive Agostino Lauro nella sua opera sul giureconsulto venusino, non esitò a dichiarare seccamente che «il tribunale del Sant’Officio “non era precisamente necessario”, come non lo era stato per oltre dodici secoli. Ne constatava l’esistenza di fatto, ma non lo apprezzava; ne riconosceva la funzione svolta, ma ne rifiutava la necessità attuale; ne comprendeva il ruolo temporaneo, ma non ne condivideva la perpetuità inviolabile; vi si sottometteva per convenienza, ma non ne gradiva l’egemonia, né come istituzione storica, né come strumento temporale di un sistema teologico (A. Lauro, Il Cardinale Giovanni Battista De Luca. Diritto e riforme nello Stato della Chiesa, Napoli, Jovene Editore, 1991, p. 577).

Le origini di questo abuso perpetrato nei secoli da parte di una ristretta cerchia di cardinali intransigenti è inscritta anche nei curricula vitae studiati da Schwedt per esporre le prosopografie, adeguatamente lette e contestualizzate nel breve e lungo periodo. Tuttavia, per quanto riguarda gli aspetti più tecnici della ricerca, assumono un particolare rilievo le tabelle dedicate al personale “collaterale” che lavorava al fianco dei cardinali inquisitori, come appunto i soci del Commissario, i consultori, gli avvocati dei rei, gli assessori o i notai, di cui si sa poco o nulla. Grazie a queste schede Schwedt fornisce al lettore una serie di dati che comprendono il contesto familiare, nel senso ampio del termine, in cui si colloca il futuro membro dell’Inquisizione, la formazione accademica, le nomine e i titoli – non solo all’interno della Congregazione del Sant’Uffizio – che gli vengono conferiti, le coordinate archivistiche relative alle attività inquisitoriali, eventuali pubblicazioni e la bibliografia di riferimento.

Lo studioso, per la stesura di queste tabelle, si è avvalso di varie tipologie di fonti, privilegiando tuttavia tre fondi in particolare: la serie dei Decreta Sancti Officij, i Juramenta e i Privilegia, tutti custoditi nell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il primo fondo, la serie dei Decreta, senz’altro è quello più importante – e di complessa consultazione – in quanto consiste nelle trascrizioni notarili dei verbali, estremamente sintetizzati, delle sedute settimanali dei cardinali inquisitori e di tutto il personale presente, a partire dal 1548. Si tratta di una serie documentaria che testimonia l’attività “quotidiana” della congregazione cardinalizia su ogni fronte, da quello economico-amministrativo a quello prettamente repressivo, e, a buon ragione, recentemente è stata oggetto di particolare attenzione da parte degli studiosi. Schwedt, ad esempio, lì dove non è possibile reperire una precisa nomina datata di un futuro membro del Sant’Uffizio, sfrutta l’elenco delle presenze trascritte nei Decreta, arrivando a stabilire, con un margine d’errore irrisorio, il periodo in cui prende inizio la sua attività. Si tratta dunque di un lavoro meticoloso che sottende una lunga ricerca d’archivio e sicuramente offre diversi spunti di analisi: dalle informazioni biografiche su personaggi meno noti che afferivano all’Inquisizione romana, alla visione d’insieme che, come si è detto, permette di comprendere come questa commissione di sei cardinali del 1542 consolidi le proprie posizioni in Curia, divenendo uno dei centri più importanti di potere nella Chiesa di Roma nei secoli a venire. Il volume, inoltre, sottende ulteriori potenziali, si può considerare un testo aperto, un “work in progress”, in quanto per molte di quelle figure di cui non si conoscono bene la formazione e la carriera ecclesiatico-inquisitoriale, offre le informazioni essenziali per poter intraprendere ulteriori approfondimenti e proseguire le ricerche negli archivi.