Lucia Ceci, L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini (Laterza, 2013)

Lucia Ceci, L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini (Laterza, 2013)


Lucia Ceci, L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini (Laterza, 2013)
Abstract:

Lucia Ceci, L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini (Laterza, 2013)

Quando nel settembre del 2006 l’Archivio Segreto Vaticano ha reso disponibili le carte relative al pontificato di Pio XI-Achille Ratti le aspettative degli studiosi erano molto alte. L’arco temporale, infatti, va dal 1922 al 1939, quasi tutta la parabola del fascismo dunque. La possibilità di indagare “dall’interno” e di utilizzare i documenti delle “stanze segrete” ha permesso e permette ancora oggi – passata l’ondata dei “ricercatori di scoop” e delle iniziative editoriali spregiudicate – di cogliere non solo le sfumature, ma spesso di fare luce su aspetti cruciali del rapporto tra Stato e Chiesa.

Sono quindi passati ormai sette anni ed effettivamente abbiamo avuto modo di leggere alcuni lavori pregevoli, capaci se non di “sconvolgere” fatti acquisiti tramite altre fonti da decenni disponibili, certo di focalizzare meglio per esempio passaggi decisionali che, spesso, ci dicono quanto la prassi politica del regime debba molto ad una continua ed incessante pressione da parte della Santa Sede, persino su aspetti apparentemente marginali ma dal forte impatto simbolico, per decenni derubricati come azione mussoliniana e tutta fascista.

La recentissima pubblicazione del libro di Lucia Ceci nella collana “Storia e Società” (che nell’ambito della collocazione editoriale di Laterza ha un ben preciso significato), la mole del volume (338 pagine) e soprattutto il titolo così impegnativo, autorizzano il lettore ad aspettarsi, proprio in relazione al tempo trascorso dalla disponibilità di nuovi documenti strettamente legati al tema centrale della ricerca, un nuovo “punto di riferimento”, un lavoro con il quale fare i conti nei prossimi anni.

Sorprendentemente, invece, ci troviamo di fronte ad una larga quantità di citazioni dai “grandi classici” della storiografia cattolica, da Scoppola a De Rosa, con una “spruzzata di nuovo”, vedi i relativamente recenti volumi di Sale, Fattorini, Wolf. Nulla di male, naturalmente, ma impostare nella sostanza un lavoro su libri apparsi trenta e quarant’anni fa, limitando drasticamente l’uso delle nuove fonti di archivio in uno studio, lo ripetiamo, dal titolo così impegnativo, lascia quantomeno perplessi. Bisogna trattenere il fiato e arrivare fino a p.183 per trovare la prima nota che cita un documento dell’Archivio Segreto Vaticano, ma la cosa dura una rapida sfogliata di pagine. Poi si riprende con Malgeri, Miccoli, Traniello, Menozzi, Moro. Le statistiche vanno interpretate, ma i numeri sono impietosi: su 338 pagine troviamo 32 citazioni, tutti documenti dell’Archivio Segreto (eccetto uno, se non sbagliamo) e, curiosamente, provenienti dagli stessi 4/5 fascicoli. Il resto sono fonti edite, note agli studiosi dagli anni Cinquanta in poi, tanto che a farne la lista completa verrebbe di pensare ai “vecchi amici e compagni di una vita”.

Lecito allora pensare a nuove interpretazioni, a un modo di fare storia a prescindere dal documento, ad una rielaborazione fatta alla luce di nuove e diverse sensibilità culturali. Ma, francamente, leggere ancora di Don Minzoni, dello squadrismo fascista, della presa del potere, delle tappe centrali che portano all’instaurazione della dittatura fascista è sacrosanta “cosa buona e giusta” in ogni caso; magari, però, senza ripetere quanto abbiamo letto, ahimè, ai “bei tempi dell’università” per non dire del liceo. Siamo insomma dalle parti del “non dimenticare” e certo non in quello della ricerca né tanto meno, per ovvie ragioni, del voler offrire qualcosa di nuovo alla riflessione degli storici e degli studiosi in genere.

Delle aperture filo-cattoliche di Mussolini sin dal 1921 (il famoso discorso alla Camera), dell’azione di governo attuata subito, a poche settimane dalla presa del potere, delle leggi del 1923, degli “incontri segreti” in vista di una auspicata soluzione della “Questione Romana”, dell’allontanamento di Sturzo voluto dalla Santa Sede, dell’abbandono del Partito Popolare al suo destino sapevamo già. Così come nota è la posizione della storiografia cattolica circa l’atteggiamento della Santa Sede al momento della svolta antisemita del 1938, ma su tutto questo le carte vaticane aggiungono nuance, particolari, retroscena che a quanto pare l’Autrice ha deciso di non usare o, molto prosaicamente, non ha visto.

Che ci sia dell’altro ce lo ricorda il più volte citato Giovanni Sale, il buon gesuita e storico, che nel suo lavoro sull’antisemitismo e il Vaticano (2009) sottolinea con grande onestà (pp.89-90) quanto “appare oggi imbarazzante per lo storico cattolico” giustificare con “categorie morali o religiose” la politica “piuttosto prudente” adottata dalla Santa Sede in occasione della svolta antiebraica. Ecco, su questo e su altro – certamente non su tutto – ci si aspetterebbe qualcosa di più sia a livello di fonti che a livello di analisi ma le note stanno lì, a piè pagina, a ricordarci di quanto altri hanno detto decenni fa, e nulla di più.

Forse l’imbarazzo di cui parla Sale ha preso la mano anche all’Autrice; certamente è sentimento più volte provato dal lettore che, crediamo, non pensava di ritrovarsi tra le mani una sorta di “manuale” dei rapporti tra Stato e Chiesa negli anni del fascismo, capace solo di evocare ricordi lontani e spesso il commento a immagini in bianco e nero di qualche vecchio documentario RAI.