Niall Ferguson, Ventesimo secolo, l’età della violenza. Una nuova interpretazione del Novecento, Mondadori, 2008



Niall Ferguson, Ventesimo secolo, l’età della violenza. Una nuova interpretazione del Novecento, Mondadori, 2008
Abstract: In The War of the World (trad. it. Ventesimo secolo, l'età della violenza. Una nuova interpretazione del Novecento) lo storico Niall Ferguson intende presentare una nuova interpretazione del XX secolo discostandosi principalmente dalla teoria del "secolo breve" di Eric Hobsbawn e proponendo una nuova periodizzazione, che trascuri i limiti cronologici classici dell'inizio della prima guerra mondiale e del crollo dell'Unione Sovietica.

In The War of the World (trad. it. Ventesimo secolo, l’età della violenza. Una nuova interpretazione del Novecento) lo storico Niall Ferguson intende presentare una nuova interpretazione del XX secolo discostandosi principalmente dalla teoria del “secolo breve” di Eric Hobsbawn e proponendo una nuova periodizzazione, che trascuri i limiti cronologici classici dell’inizio della prima guerra mondiale e del crollo dell’Unione Sovietica.

Ferguson inserisce i due conflitti globali del Novecento all’interno di un unico arco cronologico ampliato, definito nel testo la guerra del mondo o la guerra dei Cinquant’anni, indicando queste due date: il 1904, anno in cui i giapponesi sferrano il primo attacco contro il dominio europeo in Oriente, e il 1953, anno della fine della guerra di Corea, dopo la quale si traccia una divisione analoga alla cortina di ferro presente in Europa dal 1947-48. Negli anni successivi ha inizio un nuovo conflitto, di cui l’autore non scorge tutt’oggi la fine, la terza guerra mondiale.

All’interno di questa proposta interpretativa, l’autore individua a sostegno della sua tesi momenti di frattura alternativi o quantomeno essenziali rispetto alle interpretazioni classiche: il 1979 è considerato un anno di svolta di importanza pari se non superiore al 1989. La visita di Deng Xiaoping a Washington nel gennaio del 1979, che apre il mercato americano alle esportazioni cinesi e dà impulso all’industrializzazione cinese con una crescita annuale a un tasso prossimo al 10% senza intaccare il potere del PCC, e la rivoluzione fondamentalista islamica in Iran, che fornisce nuova linfa ai sentimenti antioccidentali in fermento nel mondo islamico, resi più incisivi a livello globale dall’espansione demografica in Medio Oriente.

Questa rottura rispetto alla periodizzazione classica del “secolo breve”, si fonda su fattori interpretativi alternativi attraverso cui riconsiderare la storia contemporanea e in particolare le ragioni dei conflitti del XX secolo, da cui parte il declino dell’Occidente: l’instabilità insita nell’assimilazione e nell’integrazione tra le popolazioni, la pericolosa diffusione del “meme” che classifica come stranieri alcuni esseri umani, il carattere incendiario della mescolanza etnica nelle terre di confine, la volatilità cronica della vita economica del XX secolo, le accanite ostilità tra i vecchi imperi multietnici e gli Stati-impero dalla vita breve.

Al termine della guerra dei Cinquant’anni, caratterizzata da una successione di collisioni dirette tra gli imperi della Terra, consumate nelle zone “calde” agli estremi del continente eurasiatico, Ferguson, contrariamente ai sostenitori dell’idea di una lunga pace dettata dalla cristallizzazione degli equilibri con il confronto bipolare, individua l’inizio del terzo conflitto mondiale, quale evento reale e sanguinoso combattuto nel Terzo Mondo.

Lo spostamento del conflitto in teatri inediti e più remoti risponde a tre motivazioni principali: in primo luogo, il drastico calo delle probabilità di assistere a nuovi conflitti etnici nelle zone di confine occidentali e orientali dell’Eurasia; in secondo luogo, la volatilità economica che mette in moto la guerra del mondo, subisce un arresto nel corso degli anni Cinquanta e Sesssanta, lasciando spazio ad una espansione economica e ad una crescita pro capite senza precedenti; in terzo luogo, il declino e il disfacimento degli imperi coloniali.

Eccezionalità e continuità rappresentano i termini chiave del testo di Ferguson, il quale riconosce in essi l’essenza del Novecento, probabilmente più che per ogni altro periodo della storia.

Lo storico rintraccia l’eccezionalità in due aspetti essenziali del XX secolo: in primo luogo, il mutamento delle condizioni con cui le società occidentali hanno combattuto la guerra; in secondo luogo, il modo in cui i leader di paesi all’apparenza civili riuscirono a liberare gli impulsi omicidi e più primitivi dei propri cittadini. L’istinto omicida associato alla tecnologia sofisticata è un fattore distintivo del Novecento.

Confrontandosi con il secolo delle ideologie, dei totalitarismi, dei più sanguinosi conflitti della storia e infine del trionfo dell’Occidente, lo storico Niall Ferguson intende, con un’originale quanto affascinante interpretazione, liberarsi della visione classica della storia del Novecento per proporre una prospettiva, che concede spazio agli elementi di continuità e non a quelli di rottura in modo da poter meglio comprendere i problemi globali attuali.

I fattori di continuità consistono nel lungo processo che conduce al declino dell’egemonia occidentale in Oriente, dove all’inizio del secolo il controllo coloniale garantiva un dominio pressocché assoluto degli imperi europei, grazie ad una superiorità politico-economico-militare rispetto ad eventuali opposizioni all’influenza straniera. Alla fine del Novecento la situazione, secondo Ferguson risulta decisamente mutata: non solo il dominio coloniale si ormai sgretolato da decenni, ma le nazioni asiatiche tendono a promuovere uno sviluppo economico non solo fortemente concorrenziale sul mercato mondiale, ma soprattutto un modello di sviluppo che da un lato poggia sul capitalismo e il libero mercato, ma è associato a sistemi politici del tutto estranei alle democrazie parlamentari occidentali.

Nonostante l’autore intenda sostenere un’interpretazione del Novecento alternativa soprattutto rispetto al “secolo breve” di Eric Hobsbawn, la struttura del testo presenta una sproporzione tra la parte dedicata ai due conflitti mondiali – circa 500 pagine – e l’ultimo capitolo – circa 50 pagine – quasi una conclusione dedicata alla seconda metà del XX secolo.

Se in merito alla guerra dei Cinquant’anni Ferguson si sofferma su vicende anche trascurabili in una sintesi di ampio respiro, ad esempio la minuziosa descrizione dei massacri e degli aneddoti sui protagonisti, nella parte dedicata al periodo del confronto bipolare e agli ultimi anni del secolo egli enuclea la tesi della terza guerra mondiale ancora in corso senza opportunamente analizzare alla luce di questa inedita prospettiva la complessità delle vicende relative ai decenni postbellici. Questa profonda discrepanza tra le due parti induce il lettore a considerare il testo principalmente una sintesi della prima metà del Novecento, foriera di spunti di analisi tanto plausibili quanto discutibili.

Il titolo originale The War of the World evidenzia l’attenzione che l’autore dedica agli anni relativi ai due conflitti mondiali, inserendoli in un progetto più ampio di revisione interpretativa del Novecento soffermandosi brevemente anche sui decenni successivi.

La nuova periodizzazione proposta dall’autore contrasta con l’organizzazione complessiva del testo in quanto appare indispensabile una maggiore attenzione ai decenni conclusivi del XX secolo se si intende sostenere una data di frattura alternativa al 1989.

La tesi di Ferguson, il quale individua nel Novecento un progressivo declino dell’egemonia occidentale in Oriente, evidente soprattutto con la crescita economica dei paesi asiatici, non considera la coeva ascesa, specialmente a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta dell’interdipendenza economica, del post-territorialismo economico, del controllo post-coloniale e transnazionale messa in atto dalle economie occidentali.

Il tentativo riuscito di Ferguson di fornire un’analisi originale e alternativa degli anni relativi ai due conflitti mondiali si inserisce in un disegno più ambizioso e indiscutibilmente affascinante a cui però l’autore non presta altrettanta attenzione, lasciando priva dei dovuti sostegni un’impegnativa proposta interpretativa.

The War of the World resta sospeso tra una originale e ben strutturata sintesi dei conflitti mondiali e delle loro cause e un’azzardata ipotesi interpretativa, che coinvolge il Novecento nel suo complesso. L’idea di Ferguson di prestare maggiore attenzione ai fattori di continuità più che a quelli di svolta e di frattura si spiega con la volontà dell’autore di comprendere e spiegare il presente.

Con tutti i suoi limiti The War of the World rappresenta una delle prime espressioni della volontà di alcuni studiosi di conoscere quali elementi abbiamo ereditato dal Novecento, invece di analizzare i suoi aspetti peculiari, e quali momenti del secolo scorso hanno maggiormente contribuito alla definizione del contesto attuale.