Dinora Corsi-Matteo Duni (a cura di), Non lasciar vivere la malefica. Le streghe nei trattati e nei processi (secoli XIV-XVII), University Press, 2008

Dinora Corsi-Matteo Duni (a cura di), Non lasciar vivere la malefica. Le streghe nei trattati e nei processi (secoli XIV-XVII), University Press, 2008


Abstract: Un volume denso e ricco di prospettive storiografiche, quello curato da Dinora Corsi e Matteo Duni. A tre anni dal convegno fiorentino, temi e prospettive della ricerca storica nell'ambito del fenomeno della stregoneria, della sua interpretazione e repressione, emergono con grande fascino e chiarezza. Alcuni tra i principali studiosi del fenomeno hanno consegnato al dibattito storiografico pagine di rara intensità, presentate con sapienza ed equilibrio dai curatori, offrendo alla vasta platea di studiosi del settore uno strumento avvincente e aggiornato. Un bilancio di cui è manifesta la necessità, che consentirà anche agli studiosi in formazione di approcciare al tema con consapevolezza e originalità. Accostarsi al volume è reso dunque agevole dalle premesse dei curatori, e dall'equilibrato saggio introduttivo di Matteo Duni, che prospettando un bilancio degli ultimi anni di investigazioni scientifiche (che hanno visto tra l'altro l'apertura nel 1998 dell'archivio del Sant'Uffizio, e ancor più recentemente la pubblicazione on-line del censimento degli archivi inquisitoriali italiani), illumina le ipotesi di ricerca più feconde, suggerendo nel contempo prudenza nell'avventurarsi in interpretazioni datate, che anche questo volume aiuta ad abbandonare.

Un volume denso e ricco di suggestioni, quello curato da Dinora Corsi e Matteo Duni. A tre anni dal convegno fiorentino, temi e prospettive della ricerca storica nell’ambito del fenomeno della stregoneria, della sua interpretazione e repressione, emergono con grande fascino e chiarezza. Alcuni tra i principali studiosi del fenomeno hanno consegnato al dibattito storiografico pagine di rara intensità, presentate con sapienza ed equilibrio dai curatori, offrendo ai ricercatori uno strumento avvincente e aggiornato. Un bilancio di cui è manifesta la necessità, che consentirà anche agli studiosi in formazione di avvicinarsi al tema con consapevolezza e originalità. Accostarsi al volume è reso agevole dalle premesse dei curatori, e dall’equilibrato saggio introduttivo di Matteo Duni, che prospettando un bilancio degli ultimi anni di investigazioni scientifiche (che hanno visto tra l’altro l’apertura nel 1998 dell’archivio del Sant’Uffizio e ancor più recentemente la pubblicazione on-line del censimento degli archivi inquisitoriali italiani), illumina le ipotesi di ricerca più feconde, suggerendo nel contempo prudenza nell’avventurarsi in interpretazioni datate, che il volume aiuta ad abbandonare. Il libro si divide in tre parti: le norme, i trattati e i processi, la trasmissione/possessione. I contributi, provenienti principalmente da studiosi italiani, con le eccezioni di Stuart Clark, José Pedro Paiva e Tamar Herzig, abbracciano un vastissimo campo di studi sulla stregoneria e la sua persecuzione, aprendo nuovi campi d’indagine e ridiscutendo temi e concetti a lungo ritenuti assodati. Ad esempio il contributo di Giovanni Romeo, che a quasi vent’anni dal noto studio Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controriforma, riconsidera le sue tesi rispetto alla limitata ampiezza della persecuzione della stregoneria. Un’ampiezza di cui offre una visione d’insieme chiara ed efficace anche José Pedro Paiva, il maggior esperto dell’Inquisizione portoghese, che esaminando i processi celebrati dai tribunali di Coimbra, Lisbona ed Évora, rinnova un’opinione già espressa da altri studiosi, ma non per l’area in questione, imputando la recrudescenza della persecuzione negli anni 1710-1760 all’affermarsi della professione medica.

Un’ipotesi quest’ultima, sostenuta anche in un altro saggio presente nel volume, quello di Michaela Valente, che prendendo in esame i trattati di critica alla caccia alle streghe, da Johann Wier a Balthasar Bekker, ricorda le convinzioni espresse da Francis Bacon nel 1605, nel suo Advancement of Learning, che aveva ipotizzato una competizione tra i medici e tutti coloro che a vario titolo si interessavano di medicina. Si profila dunque, nelle diverse testimonianze, un approccio al vasto tema delle conoscenze scientifiche in relazione alla persecuzione della magia e della stregoneria, già discusso e dibattuto con particolare attenzione da altri noti studiosi come Adelina Sarrion Mora, Angel Alcalà, e da José Pardo Tomàs, che nel suo Ciencia y censura: la Inquisicion espanola y los libros cientificos en los siglos 16 y 17 (Madrid, 1991) e nel saggio intitolato Diablos y diabluras en la literatura de secretos, pubblicato in un altro volume collettaneo recente, El diablo en la edad moderna (a cura di Maria Tausiet e James Amelang, Madrid, 2004), sosteneva l’ipotesi della necessità manifestata dalle gerarchie ecclesiastiche di non divulgare le nuove conoscenze scientifiche, di cui il Diavolo era il detentore per eccellenza, altrimenti sarebbe venuto meno il ruolo protettivo e disciplinante della Chiesa. Le infinite capacità del Diavolo, ampiamente descritte in tutti i manuali inquisitoriali, sono tra l’altro l’oggetto del contributo di Stuart Clark che, proprio nella capacità del demonio di ingannare la vista (potendo egli modificare l’oggetto guardato, il mezzo attraverso cui lo si guarda o la stessa percezione visiva), individua una delle principali questioni che influenzarono i processi per stregoneria.

Un’influenza determinata, come la storiografia ha ampiamente dimostrato, da una quantità di motivi variabili da regione a regione, tanto da indurre uno dei maggiori studiosi della caccia alle streghe, Brian Levack, a proporre la divisione dell’Europa in cinque macro-aree, ognuna distinta dalle altre da alcuni tratti comuni che determinarono l’asprezza o meno del fenomeno. E tra i tanti fattori che contribuirono all’insorgere dei processi, la presenza di figure intellettuali di altissimo livello, come quella di Heinrich Kramer, della cui presenza in Italia e dell’influenza che egli esercitò per trasmettere lo stereotipo della strega d’oltralpe ne riferisce Tamar Herzig, in un lungo saggio che coglie alcuni tratti essenziali della personalità dell’autore del Malleus Maleficarum e del suo pensiero, compresa la sua fervente adorazione per le sante vive italiane. E proprio la vita di alcune sante emerge nel saggio di Dinora Corsi, e del loro tentativo di vestire l’abito sacerdotale; un tentativo represso nelle accuse di stregoneria. L’autrice presenta, con questo contributo, i primi risultati di una ricerca tesa ad investigare le funzioni piuttosto che le credenze delle accusate di stregoneria, nel passaggio dalle illusioni citate nel Canon Episcopi e rese con il creditisti nei processi, alle concrete imputazioni dei processi tardo medievali in cui il lessico seguì i mutamenti concettuali indicando le accusate con il verbo fecisti. Sembra emergere dunque il tema della discretio spiritum, che ricompare poi nel contributo di Guido Dall’Olio sull’uso strumentale della possessione diabolica; un uso raro e non privo di pericoli, che poteva tuttavia porre al riparo l’imputato da accuse più gravi, se egli fosse stato giudicato posseduto.

Sempre di possessione parla Vincenzo Lavenia, in alcune tra le pagine più belle dell’intero volume, in cui descrive la “lunga possessione” nel monastero di Santa Grata a Bergamo, aggiungendo al rigore storiografico un’ironia tagliente e una sapienza descrittiva che avvicina il lettore alle vicende e alla sorte delle presunte indemoniate. Una piacevolezza letteraria che si ritrova anche nel contributo della medievista Chiara Frugoni, che illustra la storia e le numerose edizioni latine del testo, di origine greca, della leggenda di Teofilo e della sua sottomissione al Diavolo, inserendo peraltro un importante corredo iconografico.

La dimensione locale della stregoneria, colta con puntualità da Maria Grazia Nico Ottaviani nella disamina della legislazione statutaria umbra, ed in particolare attraverso alcuni processi perugini, dal tardo medioevo alla prima età moderna, si fonde nel volume con tematiche di più ampio respiro, come l’emersione degli elementi di demonologia e demonolatria in uno dei testi rinascimentali di maggior impatto nel dibattito sulla realtà delle streghe, la Strix di Giovanfrancesco Pico della Mirandola, che Alfredo Perifano presenta con chiarezza e originalità. Colpisce anche la commistione tra cultura dotta e cultura popolare, che si alternano e spesso si intersecano nei contributi dei vari autori, offendo quella “descrizione densa” che Marina Montesano evoca nel saggio dedicato all’incontro dei motivi stregonici nel folklore e nella cultura scritta.

Dar conto dell’estrema ricchezza di questo volume, e del pensiero scientifico che anima le ricerche di tutti gli studiosi e le studiose che hanno contribuito, è compito assai difficile. Certamente, negli anni a venire, il libro di Dinora Corsi e Matteo Duni sarà un imprescindibile riferimento bibliografico.