Call for reactions: Storia e Storie al tempo del Coronavirus

Call for reactions: Storia e Storie al tempo del Coronavirus

Abstract: Stiamo davvero vivendo un tempo “speciale”, un passaggio d’epoca, una condizione che per la sua straordinarietà verrà – come si suol dire – ricordata nei libri di storia?
Cos’è un’epidemia? Che forme hanno lo spazio e il tempo in una condizione di “quarantena”, di “clausura”?
Come si vive, si lavora, si studia e si scrive, come ci si muove entro confini imposti?
Come cambia la percezione dei bisogni e della necessità, della salute e della malattia, delle libertà individuali e della responsabilità collettiva di fronte al rischio – alla paura – del contagio e alla consapevolezza della eccezionalità?

In questo spazio, in un momento così particolare, per una volta, vorremmo fare una cosa forse insolita per una rivista di storia: osservare il tempo attuale e i fenomeni che lo segnano attraverso sguardi obliqui e non per forza convergenti, allontanando e ravvicinando il punto di osservazione, condividendo interpretazioni, letture, esperienze e questioni di metodo che possano contribuire a riportare le inquietudini e le sollecitazioni del presente sul piano del confronto delle idee.

Call for reactions: Storia e Storie al tempo del Coronavirus

Ergastulum: un laboratorio di ricerca su Istituzioni, Spazi e Pratiche Carcerarie nell’Italia di età moderna e contemporanea

di Francesco Saggiorato

 

“Tempi veramente strani quelli che stiamo vivendo a causa del Covid19…”: è questa una delle litanie che ritornano nei discorsi che siamo soliti sentire o, perché no, anche pronunciare durante questi mesi di emergenza sanitaria, economica, sociale e politica. Il confino domiciliare, sperimentato fino al 4 maggio, ha paralizzato gran parte delle attività produttive, facendo registrare anche un brusco rallentamento della ricerca scientifica nel campo delle scienze umane, la quale, bon gré mal gré, ha visto i suoi luoghi e le sue istituzioni di riferimento chiudere e riorganizzarsi in una forma telematica accidentata. È altrettanto vero però che la quarantena vissuta fino a oggi ci ha indotto a riflettere sulle innumerevoli problematicità e incongruenze, soprattutto di lungo periodo, di cui è pregno il “sistema-paese” Italia e che si accentuano, come in questo momento, nelle fasi di crisi congiunturale.

Una fra tutte la questione carceraria, che a seguito delle rivolte dei detenuti ha suscitato l’interesse dell’opinione pubblica rispetto a problemi di vecchia data, ma mai realmente risolti, quali la salubrità degli spazi di reclusione, il trattamento riservato ai carcerati e il sovraffollamento delle strutture penitenziarie. Una questione che, tuttavia, nei canali di diffusione mediatica resta nella maggior parte dei casi appannaggio di più o meno documentati giornalisti, tralasciando il confronto con il mondo della ricerca storica.

Se l’attualità del dibattito mainstream consente di puntare i riflettori sulle carceri, sulla condizione dei reclusi e sulle forme detentive del presente e del passato, vale la pena allora avvalersi di questa Call for reactions per trattare, seppur brevemente, del percorso “carsico” che ha fatto convergere diversi ed eterogenei profili di ricercatrici e ricercatori attorno a questo oggetto di indagine che appare foriero di sollecitazioni e di linee di ricerca da potenziare. Un percorso che proprio durante questi tempi “strani” di pandemia è sfociato, per la gioia di chi vi scrive, nell’istituzione del laboratorio di ricerca Ergastulum.

 

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Giovanni Battista Piranesi, Frontespizio. Carceri d’invenzione, 1761

 

Il rinnovato interesse storiografico di cui gode la storia delle istituzioni penitenziarie e delle “società carcerarie” nel panorama internazionale, ha condotto negli ultimi vent’anni a ripensare i paradigmi e gli approcci attraverso i quali indagare i luoghi di reclusione e le modalità di trattamento di individui e gruppi sociali privati, in modo temporaneo o permanente, della propria libertà (Antonielli, 2006; Muchnik, 2019). Le contaminazioni con i più recenti filoni della ricerca storica, interessati allo studio della circolazione transnazionale di modelli e pratiche punitive o delle questioni igienico-sanitarie (Prosperi, 2019), hanno consentito di allargare il campo d’indagine mediante l’introduzione di nodi interpretativi volti a ripensare le questioni classiche, legate alle origini della prigione penale e alle riforme carcerarie tra Sette e Ottocento (Petit, 1990). Sono pertanto emersi nuovi interrogativi come le colonie agricole per corrigendi (Di Pasquale & Popova, 2019; Gibson, 2019) oppure alle unità disciplinari dell’esercito in cui venivano incorporati, per via amministrativa o per misura di polizia, libertini e individui devianti o potenzialmente pericolosi. Si pensi appunto alle pratiche risalenti all’antico regime, come gli arruolamenti dei discoli, spaziando fino al reclutamento coatto nelle sezioni disciplinari dei corpi militari tra XIX e XX secolo (Della Peruta, 1988, pp. 36-40; Kalifa, 2009).

 

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Prospetto del Palazzo Lateranense destinato a reclusorio di mendicità, Architetto Giuseppe Camporese, 1811 (in Archives Nationales de Paris, F/16/1040)

 

Un altro nodo centrale, sul quale la storiografia è tornata a riflettere, è costituito dal labile confine tra i lavori pubblici, il lavoro forzato e i lavori di pubblica utilità a cui sono sottoposti gli individui internati. Dalle galere alle darsene dei bagni penali, ma ancora dalle case centrali di detenzione di matrice franco-napoleonica (Caforio, 2017) e alle colonie penali, passando per gli ateliers di carità e le pie case d’industria, il comune denominatore del lavoro dei reclusi ha caratterizzato i luoghi di internamento volti a punire ed emendare gli internati. In questi luoghi, tuttavia, la porosità degli spazi è rivelatrice più che di ermetiche chiusure al mondo esterno, di aperture e contaminazioni tra la società libera e la popolazione dei “ristretti” (De Vito & Lichtenstein, 2015).

Lo studio delle condizioni di vita all’interno degli spazi di reclusione non si può esimere peraltro da una profonda riflessione sulle fonti documentarie, attraverso le quali ricostruire le dinamiche relazionali, di scambio e le forme di “sociabilità” tra personale carcerario e detenuti. In questo senso, le petizioni, così come le suppliche, sono rivelatrici di un sistema di interazioni e interdipendenze tra i soggetti produttori, le amministrazioni deputate al controllo delle strutture detentive e il mondo esterno (Angelozzi, 2012). Benché si tratti di una pratica di scrittura codificata, ricca di artifici retorici a cui facevano ricorso gli attori sociali contemporanei, lo strumento della supplica costituisce per lo storico una fonte preziosa per la storia sociale dei luoghi di internamento, consentendo di fare emergere aspetti e pratiche minute della vita dei reclusi, che invece non traspaiono dalla lettura dei testi normativi e dalla trattatistica coeva.

 

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Pianta della casa di arresto, della casa di polizia municipale e della casa di giustizia di Siena, estratto dal Plan des maisons d’arrêt, de justice et de police municipale de Sienne, Architetto Alexandre Doveri, 20 maggio 1811 (in Archivio di Stato di Siena, Governo francese, Divisione di Polizia, 423).

 

In questi anni, all’apertura internazionale di nuovi cantieri di ricerca sulle forme punitivo-carcerarie ha contribuito anche l’équipe del progetto dell’Università di Roma “Tor Vergata, coordinato da Chiara Lucrezio Monticelli, attraverso la promozione di una serie di iniziative inerenti alla circolazione di pratiche e modelli di detenzione in età moderna e contemporanea. Il progetto di ricerca ha avuto il suo culmine con il convegno internazionale Limits of Confinement. Rome and the Transnational Catholic Model of Prison Treatment in the Nineteenth Century (Roma, 25-27 settembre 2019). Alcuni degli studiosi che hanno partecipato alla conferenza (Maria Romana Caforio, Alessio Collacchi, Francesca Di Pasquale, Chiara Lucrezio Monticelli, Francesco Saggiorato) hanno avvertito l’esigenza di promuovere uno spazio permanete di confronto in cui far confluire i risultati delle ricerche e rilanciare un dibattito più ampio.

Da qui dunque prende le mosse la costituzione del laboratorio di ricerca Ergastulum, il cui scopo è, in primo luogo, di garantire una continuità al cantiere di studi italiano, valorizzando in tal modo i progetti e le ricerche in corso. In secondo luogo però, assecondando la sua vocazione aperta e plurale, il laboratorio Ergastulum intende incrementare gli scambi scientifici con le istituzioni e i gruppi di ricerca internazionali, in modo da porre le basi per il consolidamento di un network accademico dinamico, proiettato verso un approccio transnazionale e comparativo alla ricerca sui temi coercitivo-carcerari.

 

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Prospetto della facciata della casa di arresto, della casa di polizia municipale e della casa di giustizia di Siena, estratto dal Plan des maisons d’arrêt, de justice et de police municipale de Sienne, Architetto Alexandre Doveri, 20 maggio 1811 (in Archivio di Stato di Siena, Governo francese, Divisione di Polizia, 423).

 

Il nome che si è voluto attribuire al laboratorio, Ergastulum, nasce da una sollecitazione che accompagna lo storico nel ripercorrere, lungo le traiettorie della longue durée, l’evoluzione semantica e pragmatica del lemma latino (derivante dal greco ergasterion), che i romani attribuivano agli spazi riservati agli schiavi nelle tenute agricole (Marzano, 2007). I cangianti significati del termine ergastulum attraversano l’età moderna, caratterizzando tanto i luoghi in cui scontare la condanna ai lavori forzati, quanto le carceri dove espletare la pena dell’isolamento (Benedetti, 2012), giungendo fino alla definizione ottocentesca di pena perpetua in regime di segregazione cellulare. La continua trasformazione nel tempo degli istituti di reclusione riflette infatti la tensione tra permanenze e discontinuità, così come tra prassi consolidate, rivolgimenti teorici e ibridazioni di modelli, osservabili in particolare durante i cambiamenti di regime. È da questa prospettiva che i membri del Laboratorio di ricerca Ergastulum si propongono di indagare i mutamenti, tutt’altro che lineari, riguardanti le pratiche, gli spazi e le istituzioni carcerarie nel contesto peninsulare italiano di età moderna e contemporanea.

L’obiettivo del laboratorio di ricerca Ergastulum è di costituirsi come “punto di contatto”, inteso come luogo di incontro, di discussione scientifica e di condivisione dei risultati della ricerca, per tutte le storiche e tutti gli storici che si occupano di studi sulle carceri e sulle forme di internamento. Oltre agli incontri seminariali, che ci si augura possano riprendere a breve anche in presenza, i membri di Ergastulum lavorano alla costruzione di una “Bibliografia sulla storia delle carceri in Italia”, attraverso la quale eseguire una mappatura in costante aggiornamento dei contributi editi sul tema, in modo da offrire alla comunità degli storici e delle storiche un mezzo efficace con cui, da una parte, orientarsi all’interno di un campo di indagine che risulta ancora oggi frammentato e, dall’altra, incoraggiare gli studi sugli spazi carcerari nella penisola.

È questo infine il contributo che chi vi scrive, a nome dei membri del Laboratorio di ricerca Ergastulum, vuole apportare alla riflessione sollecitata dal Giornale di storia: un segnale proveniente dal mondo della ricerca che non resta indifferente di fronte al tempo storico che viviamo, raccogliendo le sfide del presente per interrogare il passato.

 

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Podere delle Tre Fontane, Roma, 14 marzo 1883 (in Archivio Centrale dello Stato, Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, V, b.76). Ringrazio Alessio Collacchi per avere messo a disposizione la foto.

 

Immagine di copertina, Foto di Miguel Á. Padriñán da Pixabay