Call for reactions: Storia e Storie al tempo del Coronavirus


Abstract: Stiamo davvero vivendo un tempo “speciale”, un passaggio d’epoca, una condizione che per la sua straordinarietà verrà – come si suol dire – ricordata nei libri di storia?
Cos’è un’epidemia? Che forme hanno lo spazio e il tempo in una condizione di “quarantena”, di “clausura”?
Come si vive, si lavora, si studia e si scrive, come ci si muove entro confini imposti?
Come cambia la percezione dei bisogni e della necessità, della salute e della malattia, delle libertà individuali e della responsabilità collettiva di fronte al rischio – alla paura – del contagio e alla consapevolezza della eccezionalità?

In questo spazio, in un momento così particolare, per una volta, vorremmo fare una cosa forse insolita per una rivista di storia: osservare il tempo attuale e i fenomeni che lo segnano attraverso sguardi obliqui e non per forza convergenti, allontanando e ravvicinando il punto di osservazione, condividendo interpretazioni, letture, esperienze e questioni di metodo che possano contribuire a riportare le inquietudini e le sollecitazioni del presente sul piano del confronto delle idee.

Call for reactions: Storia e Storie al tempo del Coronavirus

Scrivere Storia, storie, riscrivere la propria storia nella pandemia Covid-19

di James W. Nelson Novoa

 

Scrivo da Lisbona, che ho raggiunto in anticipo e con non poca fatica, la settimana scorsa. Ero stato a Roma dal 2 gennaio come borsista alla British School at Rome. Sarei dovuto rimanere fino a fine marzo e sarebbe stata l’occasione di poter lavorare spensieratamente in archivio a Roma per la prima volta dopo tanto tempo. Dal 2013 le mie soste romane erano tante ma sempre per soggiorni brevi.  Una o due settimane. Ora avevo la possibilità di riconnettermi con la città e con le mie fonti d’archivio.

Per anni mi sono dedicato a spulciare le carte d’archivio alla ricerca di una traccia della diaspora dei cristiani nuovi lusitani nella Città Eterna nel Cinquecento, una collettività d’esuli che arrivarono lungo quel secolo. Ero alla ricerca di storie da raccontare. Tramite fonti notarili, brevi papali, registri parrocchiali, fonti diplomatiche, notizie presenti in manoscritti. Concepivo il mio compito come quello di raccontare e riscattare le vicende di uomini e donne che si muovevano tra fedi, luoghi e lingue. Per questo mio soggiorno avevo progettato d’incentrarmi sul Seicento, per studiare sia i discendenti dei soggetti da me già studiati sia coloro che continuavano ad arrivare a Roma. Per fare ciò dovevo attingere ad una serie di documenti che non avevo ancora preso in considerazione, in modo particolare documenti dell’Archivio Storico Capitolino che riguardavano l’acquisizione della cittadinanza romana e le cariche rionali.

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Call for reactions: Storia e Storie al tempo del Coronavirus – Roma, Archivio Capitolino (foto di James W. Nelson Novoa)

Le condizioni del mio soggiorno non potevano essere migliori. Ospite dell’Accademia britannica nel cuore di Valle Giulia con vitto e alloggio assicurati, avevo solo il piacere di dovermi recare in archivio.  Oltre a ciò potevo usufruire della biblioteca della British School per sette giorni alla settimana. Durante i primi due mesi dividevo il mio tempo tra l’Archivio Apostolico Vaticano, l’Archivio di Stato di Roma, l’Archivio Storico del Vicariato e l’Archivio Storico Capitolino. Verifiche e scoperte. Volevo incentrarmi sulle strategie usate dai cristiani nuovi lusitani per l’ascesa sociale, soprattutto nel campo della committenza artistica ed edilizia, al fine di analizzare la mobilità sociale ed urbana di questi soggetti ed il loro inserimento nel tessuto economico e sociale dell’Urbe nel primo Seicento. Importante sarebbe stato individuare dove avessero scelto di vivere e se c’erano dei quartieri in cui la loro presenza era più forte che in altri.

Ritornare agli archivi significava anche ritornare a luoghi a me cari, riappropriarmi di spazi di una città che mi ha dato tanto nel corso degli anni. Significava anche rivedere colleghi, assistere ad incontri scientifici, entrare di nuovo nei ritmi della vita accademica ed intellettuale romana.

Allo stesso tempo, quasi contemporaneamente al mio arrivo, si è cominciato a parlare di un misterioso virus che sembrava lontano, associato alla Cina. A metà febbraio però sono iniziate ad arrivare notizie preoccupanti dalla Lombardia, il che significava che l’emergenza sanitaria si stava spostando anche in Italia. Marzo sarebbe dovuto essere un mese impegnativo, stracolmo d’incontri scientifici. Ho dovuto assistere invece, impotente, alla cancellazione di varie iniziative. Uno per uno sono saltati seminari, conferenze, workshop. La chiusura delle scuole e degli atenei mi è parso qualcosa di surreale ed ha determinato anche la sospensione di un incontro previsto a Cagliari.  L’ultimo giorno d’apertura degli archivi, il 6 marzo, mi sono recato in Vicariato. In un primo momento è giunta la notizia che bisognava adeguarsi alle normative italiane di distanziamento sociale limitando il contatto tra gli studiosi. L’idea che questo e gli altri archivi potessero chiudere sembrava una follia. Invece è andata proprio così.

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Call for reactions: Storia e Storie al tempo del Coronavirus – Roma, Piazza del Popolo, vista dalla terrazza del Pincio (foto di James W. Nelson Novoa)

Chiusi gli archivi e le biblioteche, mi rimaneva la biblioteca della British School e la città stessa. Ero a Roma per studiare l’insediamento di un gruppo di persone e la loro mobilità. Durante le tre settimane ancora a mia disposizione avrei potuto almeno percorrere i luoghi e i percorsi dei personaggi che stavo studiando, no? Tuttavia sono state varate nei giorni successivi molte restrizioni alla libertà di movimento, per cui la mattina del 9 marzo ho trovato buona parte delle chiese chiuse insieme alla maggior parte delle attività commerciali. La sera stessa tutta l’Italia diventava zona rossa. Se fino a quella data potevo ancora immaginare di rimanere a Roma fino alla fine del soggiorno previsto trascorrendo le mie giornate tra “l’ozio” e lo studio, il nuovo decreto ha segnato una svolta. Tutta Italia è stata blindata. Dalle scale dalla British vedevo passare in continuazione il tram numero otto vuoto. La città è diventata una città fantasmagorica nel giro di pochi giorni. Impossibile anche uscire fuori a fare due passi al parco. A poco a poco i vari stati hanno iniziato a chiudere i propri confini e la possibilità stessa di lasciare l’Italia si è fatta via via più complicata. Avendo un figlio piccolo a Lisbona non potevo però permettermi di rimanere, con l’incertezza di restare bloccato a tempo indefinito.  Dopo svariati tentativi falliti di trovare un volo, sono riuscito infine a rientrare a casa via Germania.

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Call for reactions: Storia e Storie al tempo del Coronavirus – Roma, British School at Rome (foto di James W. Nelson Novoa)

Ora, impossibilitato a fare ricerca negli archivi romani e non avendo avuto il tempo di concludere le mie ricerche, mi trovo ancor più desideroso di lavorare sul filone di ricerca che avevo intrapreso.  Strani tempi questi nostri del Covid-19. Tempi in cui crollano tutte le certezze e l’impossibile diventa reale. Tempi in cui i fondamenti della nostra civiltà sembrano non avere più alcun valore effettivo. Grazie all’esperienza di queste ultime settimane non posso non riflettere ancora di più su alcuni dei temi sui quali lavoro da tanto tempo: un gruppo di persone in movimento cui spesso viene attribuita un’identità loro malgrado, cui vengono imposti uno stigma, uno stereotipo, una visione totalizzante che, in qualche modo, le riduce ad immedesimarsi con il loro passato collettivo a danno della propria individualità. Come i discendenti di coloro che migrarono da una fede all’altra, definiti come una un’entità unica secondo i percorsi di fede e di “sangue” dei loro avi, gli sviluppi di questo nuovo male che si sta diffondendo in tutto il mondo rischiano di imporre una visione minimalista che associa tutti coloro che avrebbero avuto un contatto qualsiasi con la malattia con essa stessa. Ma tutto muta in continuazione. Non ci sono più zone al riparo dal diffondersi dell’epidemia. Il grande teatro del mondo è diventato lo scenario dove questa tragedia si sta consumando. Come storici abbiamo l’obbligo di avere un occhio critico e distaccato sul passato e sul vissuto umano.  Per quanto chiamati a esaminare e tentare di spiegare le scelte di singoli individui o di gruppi umani vissuti in altre epoche, dobbiamo anche ammettere la nostra sorpresa e il nostro stupore di fronte a coloro che scelgono percorsi individuali di non immediata comprensione. Con una grande dose di umiltà occorre dire come Hamlet: «There are more things in heaven and earth Horatio/Than are dreamt of in your philosophy».

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Call for reactions: Storia e Storie al tempo del Coronavirus – Lisbona, Elevador da Gloria (foto di James W. Nelson Novoa)