Call for reactions: Storia e Storie al tempo del Coronavirus


Abstract: Stiamo davvero vivendo un tempo “speciale”, un passaggio d’epoca, una condizione che per la sua straordinarietà verrà – come si suol dire – ricordata nei libri di storia?
Cos’è un’epidemia? Che forme hanno lo spazio e il tempo in una condizione di “quarantena”, di “clausura”?
Come si vive, si lavora, si studia e si scrive, come ci si muove entro confini imposti?
Come cambia la percezione dei bisogni e della necessità, della salute e della malattia, delle libertà individuali e della responsabilità collettiva di fronte al rischio – alla paura – del contagio e alla consapevolezza della eccezionalità?

In questo spazio, in un momento così particolare, per una volta, vorremmo fare una cosa forse insolita per una rivista di storia: osservare il tempo attuale e i fenomeni che lo segnano attraverso sguardi obliqui e non per forza convergenti, allontanando e ravvicinando il punto di osservazione, condividendo interpretazioni, letture, esperienze e questioni di metodo che possano contribuire a riportare le inquietudini e le sollecitazioni del presente sul piano del confronto delle idee.

Call for reactions: Storia e Storie al tempo del Coronavirus

Il tempo in cui viviamo sarà un segnatempo?

 di Claudio Ferlan

Rovereto (TN), 7 aprile 2020

Questa riflessione nasce certo dal lavoro di anni, ma si definisce attraverso gli stimoli dell’attualità straordinaria, così come attraverso dialoghi, gesti e letture propri del ritiro casalingo forzato. I dialoghi assumono forme nuove, chiamarle virtuali è riduttivo e servirà trovare termini nuovi. I gesti sono contenuti nello spazio, dipendono dai luoghi chiusi o semiaperti in cui viviamo, in molti casi per caso. Le letture consentono di offrire al mio tempo, ma immagino a quello di molti, alternativa virtuosa agli spostamenti o ad altri momenti di dubbio giovamento. Con fatica invece mi rassegno alla scomparsa delle ore dedicate al mio benessere fisico e psichico attraverso la corsa in natura/montagna (la chiamano trail running). Sono le corse che, forse qualcuno di questi tempi mi capirà meglio, aiutano molto la scrittura garantendo ordine ai pensieri. Oggi tale ordine deve tutto ai dialoghi, ai gesti e alle letture. E la scrittura sta a sovrintendere su quanto sto facendo e su come mi sto comportando, quale elemento indispensabile di contesto.

Premessa conclusa. Ora per consentire un’agevole comprensione del fluire del pensiero che segue è opportuno fermarsi su dialoghi, gesti e letture. Quanto le tiene in comune è la riflessione sul tempo.

Dialoghi. In una delle tante chiacchierate caratterizzanti questo tempo di contatti virtuali, qualcuno (mi scuserà se non ricordo chi) mi suggeriva la dimensione epocale – chiamiamola pure periodizzante – di questa pandemia, paragonandola all’undici settembre; o al 1492 potremmo dire noi storici interessati alle vicende atlantiche. Ricordo invece che è stato Fabio Sbattella, nel corso di uno Webinar proposto dalla Fondazione Bruno Kessler, a consigliare di prendere appunti, per evitare che questo tempo si confonda in ricordi sovrapposti nella futura memoria personale. E infine tengo presente Google Drive, uno dei più consueti strumenti di condivisione del momento presente. Discutendo di un progetto comune con alcune colleghe, mi sono reso conto di come il tema della cronologia sia stato considerato forse più delle idee, con scambi anche accesi sullo spazio di un unico anno prima o dopo. Non credo questi scambi siano stati e siano essenziali. Nei miei ultimi due libri (uno pubblicato nel 2018, l’altro terminato di scrivere nei giorni del virus), così come in quello proposto nel dicembre 2019 a un editore la materia non è organizzata cronologicamente. La scelta non è certo l’unica possibile, ma è quella che mi ha consentito di sentirmi davvero libero di scrivere. Per dare un riferimento concreto, si tratta nel primo caso di Sbornie sacre, sbornie profane (il Mulino), una storia dell’ubriachezza nel Nuovo Mondo raccontata attraverso gli incontri tra europei e nativi, incontri che si svilupparono in tempi molto diversi a seconda dei luoghi e delle diverse forme di resistenza all’irruzione. Il secondo rimando richiama invece una storia di lungo periodo del digiuno cristiano, nel complesso fluire della quale il disordine cronologico di norme e comportamenti ha suggerito di ragionare per materie. Per il futuro invece mi riprometto di riflettere sulla storia della Compagnia di Gesù utilizzando un punto di osservazione più americano che europeo e un’organizzazione tematica a mio parere capace, meglio di quella cronologica, di evidenziare i punti di raccordo tra il prima e il dopo la soppressione dell’ordine. Le connessioni tra pensieri, tra azioni, tra pensieri e azioni non sempre rispettano il procedere ordinato del tempo; al contrario, avanzano e indietreggiano a saltelli, a balzi, intervallano impetuose folate e stanche bonacce.

Gesti. Con mia figlia Mateja, dieci anni ad agosto, ho inventato un gioco per beneficare dell’aria aperta che possiamo respirare sul nostro lungo terrazzo. Abbiamo disegnato con un mozzicone di gesso (purtroppo i gessi sono consumati, dove ne troviamo di nuovi adesso?) una linea del tempo e ammetto di non avere nemmeno per un secondo pensato alla possibilità di dividerla in epoche. Solo scrivendo queste righe mi è venuto in mente: si sarebbe potuto fare. Per ragioni di spazio siamo partiti dall’anno zero, ma siccome lei sta leggendo delle scoperte, delle teorie di Archimede, abbiamo opportunamente viaggiato indietro nei secoli, così abbiamo potuto pure ragionare sulla differenza terminologica tra a.C e BCE: non cambia il riferimento all’anno zero per rappresentare il tempo, ma muta almeno il punto di vista, non più Cristo ma Common Era. Altri gesti sono rivolti alle forme di comunicazione e si concretizzano nella registrazione dei podcast, alcuni fatti come semplice regista per le ricerche di Mateja, altri come narratore in prima persona per mettere in comune le mie passioni per lo sport e per la storia. Li potete trovare i primi su Soundcloud, i secondi su Spreaker, digitando il mio nome.

Letture. Improvvisamente sono disponibili le ore per completare un libro fino a ieri di sola consultazione, Cristianesimo. Essenza e storia, di Hans Küng. E poi per leggere David Treuer, The Heartbeat of Wounded Knee, altro tomo di non disprezzabile dimensione. Posso infine dedicarmi a un libro molto più breve, rimasto però fino a pochi giorni fa intonso nella libreria: Jacques Le Goff, Faut-il vraiment découper l’histoire en tranches?

Küng (la prima edizione tedesca è del 1994) proponeva una riflessione sul passato del cristianesimo, fondandola sulla teoria dei paradigmi e indirizzandola verso un progettuale futuro di pace tra le religioni, all’interno di un monumentale progetto di ricerca esteso anche a islamismo ed ebraismo. Come il grande teologo svizzero, pure io trovo davvero molto utile la teoria dei paradigmi formulata da Thomas S. Kuhn per le sue potenzialità euristiche. Uno dei suoi grandi pregi è a mio parere proprio quello di fare giustizia della fluidità dei pretesi passaggi d’epoca, insistendo sull’onda lunga, sulla resistenza anche molto forte e dilatata nel tempo dei vecchi paradigmi all’interno dei nuovi. La prospettiva interreligiosa bene aiuta a comprendere una delle questioni chiave della periodizzazione, l’imposizione del computo cristiano delle epoche ad altre civiltà, non solo religiose. Le Goff esplicitava la questione, mentre Küng la teneva come punto di riferimento, sottintendendola, immagino.

Le Goff nel chiedersi se davvero valga la pena dividere la storia in pezzi compilava una sorta di testamento metodologico, nel quale sosteneva la irricevibilità del concetto di Rinascimento e la maggiore efficacia ed esattezza di quello di lungo Medioevo. Nel sostenere la propria tesi, pur senza citare Kuhn, lo storico francese insisteva sulla permeabilità di eventi, sentimenti, modi di vedere e di pensare tra Medioevo e Rinascimento, quanto appena sopra ho definito «onda lunga», «resistenza anche molto forte e dilatata nel tempo dei vecchi paradigmi al tempo dei nuovi». Il suo libro consente di fare i conti con l’assoluta relatività delle divisioni cronologiche: ogni epoca ha proposto la sua, poi inevitabilmente superata, visto che il tempo non si ferma e porta necessariamente con sé l’esigenza di inventare nuove periodizzazioni. Le Goff lo scriveva con chiarezza: in quanto opera dell’uomo, la periodizzazione è allo stesso tempo artificiale e provvisoria ed evolve con la storia. La sua utilità risiede in due punti: consente di maneggiare meglio il passato, però sottolinea pure la fragilità della conoscenza storica.

Treuer (2019) propone una contro-storia dei Nativi Americani, raccontando nella prima parte per sommi capi le vicende accadute nel territorio degli attuali Stati Uniti fino alla fine del 1890, anno del massacro di Wounded Knee (29 dicembre), tradizionalmente considerato come il punto conclusivo delle guerre indiane. Il volume si propone però di raccontare la storia dei Nativi Americani dopo il 1890, come appare chiaro fin dall’indice e dall’introduzione. Per non parlare del titolo, che volutamente intende proporre un superamento del celebre e ottimo Seppellite il mio cuore a Wounded Knee (Bury My Heart at Wounded Knee), scritto da Dee Brown nel 1970. La ricostruzione del prima non è tralasciata, ma sintetizzata. È in questo libro in particolare che la periodizzazione in uso nelle nostre scuole e accademie si dimostra del tutto inutile: cosa può significare per i cosiddetti indiani d’America il 476 d.C. (CE)? Cosa anche il 1492, dal momento che per loro il contatto con i «bianchi» dovrà attendere ancora secoli?

Voglio essere molto chiaro e intellettualmente onesto nel proporre la mia personale conclusione al ragionamento sviluppato attraverso anni di esercizio di mestiere ma anche grazie a un’analisi della quarantena: la periodizzazione serve come bussola, come strumento per orientarsi, se in questa sua funzione si dimostra inutile o peggio limitativa allora non serve a nulla, anzi, può essere dannosa. Deve allora non certo essere eliminata, ma ridiscussa, magari in termini elastici e con la mente aperta a modificarli se le fonti lo suggeriscono. Per trovare un sentiero meglio alzare lo sguardo e guardare le cime degli alberi, o il cielo, anziché perdersi per colpa di un campo magnetico. Si legge che mi mancano le corse nei boschi… Difendo dunque il diritto dello storico di scegliere la periodizzazione della propria ricerca. Con questo non intendo sostenere la necessità di gettare nel cestino le periodizzazioni classiche, ma di valutarle come quello che sono, invenzioni, a mio parere sul piano euristico meno valide di quelle tematiche, che forse dovrebbero essere valorizzate sia in campo didattico, sia in quello della ricerca. Difendo il diritto a proporre nuove periodizzazioni ragionevoli, fondate e provate, sempre più convinto che tutto è relativo, anche l’assoluto. Difendo il diritto di scrivere mescolando le epoche nel nome delle idee.

Toccherà poi ad altri decidere se nel marzo 2020 sia scoccato un tempo nuovo nella storia del mondo, sperando tengano presente di tutto quanto del pre-marzo 2020 sarà confluito nel post-, un dopo che tutti ci auguriamo il più sano e sereno possibile. Ragionare nei termini di un’onda lunga ci aiuterà forse anche a comprendere le origini del virus che sta cambiando le nostre vite, speriamo non troppo in peggio, evitando di guardarlo come un elemento imprevedibile e inspiegabile, reo di un’inammissibile, indicibile irruzione. Pure lui avrà una sua storia precedente.

 

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Rovereto. La Corsa Negata. Credits: Chiara Sità