Dal PIL al BIL: un’altra condizione è possibile? Il modello di Made in Carcere
In questo articolo prenderemo in esame l’esperienza del social brand Made in Carcere, fondato nel 2007 da Luciana delle Donne nella sezione femminile dell’istituto penitenziario di Lecce e successivamente esteso alle realtà carcerarie di Trani, Bari e Matera. Nato dalla cooperativa sociale, Officina Creativa, ha fatto del lavoro artigianale e creativo il proprio core business offrendo una seconda chance a donne e tessuti, riscattandoli dal loro status di “rifiuti”.
Il lavoro rappresenta un tassello fondamentale nel percorso di risocializzazione del reo: ma sono proprio attività di questo tipo, basate essenzialmente sulla manualità e sulla libertà creativa, a fornire maggiori possibilità di rivalorizzazione professionale e personale.
Già nel 2005 il sociologo Zugmunt Bauman aveva osservato come la nostra società fosse minacciata da una crescente produzione di scarti, umani e materiali, per effetto del progresso economico e della globalizzazione. Rifiuti che anziché essere recuperati vengono sottoposti:
a uno smaltimento definitivo, ultimativo. Chi è respinto una volta, è respinto per sempre. Per un ex detenuto scarcerato con la condizionale, il ritorno alla società è quasi impossibile e il ritorno in galera quasi certo. […] In sintesi le carceri, come tante altre istituzioni sociali, sono passate dal compito di riciclare i rifiuti a quello di smaltirli. […] Se riciclarli non conviene più, il modo giusto di trattare i rifiuti è accelerarne la “biodegradazione” e decomposizione, isolandoli al tempo stesso dall’habitat dei normali esseri umani nel modo più sicuro possibile.
Un’impresa sociale come Made in Carcere rende possibile un efficace riutilizzo di talenti, persone e merci nella misura in cui consente anche un radicale abbassamento del tasso di recidiva. In Italia la recidiva degli ex detenuti è elevatissima (sette su dieci tornano a delinquere) e l’unica misura efficace sembra essere proprio la possibilità di lavorare durante la detenzione, condizione che fa scendere la percentuale fra l’uno e il quattro per cento.
Ma non solo: da alcuni anni è emerso chiaramente come sia soprattutto il lavoro artigianale e creativo a contribuire alla creazione di contesti umani e sociali – dentro e fuori il carcere – più piacevoli e appaganti. Se il modello Made in Carcere è stato già oggetto di alcuni studi, in questo saggio si vuole approfondire la sua specificità nel favorire situazioni di benessere e nel contribuire all’elaborazione di un nuovo frame teorico legato al concetto di Benessere Interno Lordo (BIL) come superamento e integrazione dell’idea di Prodotto Interno Lordo (PIL).
Nel mondo del disagio, infatti, un incremento della qualità della vita passa sempre da una crescita interiore del soggetto – e non soltanto da un miglioramento delle sue condizioni economiche. A sua volta, tale evoluzione porta non solo a una maggiore soddisfazione personale ma anche a un appagamento diffuso in grado di “contagiare” altri ambienti, oltre a quelli abituali.
Si può parlare a tale proposito di “contaminazione del benessere”: una condizione in grado di abbattere le distinzioni fra il dentro e il fuori, fra il sano e il malato, fra il normale e il borderline.
Il modello Made in Carcere si propone, quindi, di creare i presupposti per attivare percorsi di evoluzione personale, scardinando non solo le vecchie logiche del profitto e dell’utilità strumentale ma anche diffondendo forme di agire responsabile nei confronti dell’ambiente, degli altri, delle diversità.
Nel primo paragrafo, viene analizzata la situazione delle occupazioni lavorative in carcere mostrando come queste siano un’aspirazione diffusa fra i reclusi ma purtroppo spesso disattesa dalle diverse istituzioni carcerarie.
Nel secondo paragrafo affronteremo il tema del rapporto carcere/benessere partendo dalla proposta delle diverse occupazioni professionali offerte da Made in Carcere in alcuni istituti penitenziari del Sud Italia. Alla luce di questa esperienza, mostreremo come tale rapporto possa, con strumenti adeguati, diventare una relazione possibile, meno contraddittoria di quanto non potrebbe apparire a una lettura superficiale. Come poter valutare il lavoro svolto in questi ambiti? Quale è il grado reale del benessere apportato dalle azioni poste in essere?
Infine, nel terzo paragrafo, per meglio cercare di rispondere a tali quesiti abbiamo ripreso, sia pur molto sinteticamente, i termini di un datato dibattito sulle modalità di misurazione del benessere e del progresso economico. Oggi il PIL (il più acclarato indicatore del benessere di una nazione) sembra rappresentare sempre meno una misura affidabile del benessere, individuale e sociale, tanto che si sta profilando un nuovo orizzonte teorico incentrato sul concetto di Benessere Interno Lordo o BIL.
Sono queste alcune delle questioni cui il nostro contributo cercherà di dare un apporto, riportando anche i primi risultati di un’indagine ancora in corso.