Dal PIL al BIL: un’altra condizione è possibile? Il modello di Made in Carcere

Dal PIL al BIL: un’altra condizione è possibile? Il modello di Made in Carcere

Abstract: “Il bello esiste e va ricercato ovunque” questa è la filosofia Social Brand Made in Carcere - fondato nel 2007 da Luciana Delle Donne - che "trasforma" il carcere in un luogo creativo dove si producono manufatti "diversa(mente) utili": borse, accessori, originali e tutti colorati. Sono prodotti "utili e futili", confezionati da donne al margine della società. Offrendo in questo modo una seconda chance a donne e tessuti che diversamente sarebbero destinati al macero. Un modello di sviluppo sostenibile totalmente diverso dalla classica charity. Una vera impresa sociale in grado di promuovere benessere per persone socialmente svantaggiate. Il lavoro svolto fino a oggi ha permesso di “sdoganare” la paura di occuparsi di questi luoghi di marginalità per prendersene finalmente cura. Un valore sempre più necessario in un momento, come quello attuale, nel quale la crisi economica e il dilagare della pandemia stanno indiscutibilmente portando a un crollo di fiducia, a un vero e proprio smarrimento di riferimenti e di valori. Si fa, dunque, sempre più urgente la necessità di dotarci di una “cassetta degli attrezzi” comune, mossi dalla profonda convinzione che solo promuovendo il benessere si potrà creare ricchezza sociale, ineludibile base di una nuova prospettiva in grado di ripensare e rigenerare l’economia verso modelli circolari grazie a innovazione, design, tecnologia e nuove strategie di comunicazione. Ma come poter valutare il lavoro svolto in questi ambiti? Il grado reale del benessere apportato dalle azioni poste in essere? Sono queste alcune delle domande alle quali il progetto di ricerca “Più BIL meno PIL” (avviato da Made in Carcere) cercherà di rispondere. Il presente saggio vuole offrire un contributo circa lo stato dell’arte sul tema del Benessere Interno Lordo, frame concettuale oggi ritenuto indispensabile per analizzare gli scenari e presentare le ipotesi alla base dell’indagine in corso.

In questo articolo prenderemo in esame l’esperienza del social brand Made in Carcere, fondato nel 2007 da Luciana delle Donne nella sezione femminile dell’istituto penitenziario di Lecce e successivamente esteso alle realtà carcerarie di Trani, Bari e Matera.  Nato dalla cooperativa sociale, Officina Creativa, ha fatto del lavoro artigianale e creativo il proprio core business offrendo una seconda chance a donne e tessuti, riscattandoli dal loro status di “rifiuti”.

Il lavoro rappresenta un tassello fondamentale nel percorso di risocializzazione del reo: ma sono proprio attività di questo tipo, basate essenzialmente sulla manualità e sulla libertà creativa, a fornire maggiori possibilità di rivalorizzazione professionale e personale.

Già nel 2005 il sociologo Zugmunt Bauman aveva osservato come la nostra società fosse minacciata da una crescente produzione di scarti, umani e materiali, per effetto del progresso economico e della globalizzazione. Rifiuti che anziché essere recuperati vengono sottoposti:

 

a uno smaltimento definitivo, ultimativo. Chi è respinto una volta, è respinto per sempre. Per un ex detenuto scarcerato con la condizionale, il ritorno alla società è quasi impossibile e il ritorno in galera quasi certo. […] In sintesi le carceri, come tante altre istituzioni sociali, sono passate dal compito di riciclare i rifiuti a quello di smaltirli. […] Se riciclarli non conviene più, il modo giusto di trattare i rifiuti è accelerarne la “biodegradazione” e decomposizione, isolandoli al tempo stesso dall’habitat dei normali esseri umani nel modo più sicuro possibile.

 

Un’impresa sociale come Made in Carcere rende possibile un efficace riutilizzo di talenti, persone e merci nella misura in cui consente anche un radicale abbassamento del tasso di recidiva. In Italia la recidiva degli ex detenuti è elevatissima (sette su dieci tornano a delinquere) e l’unica misura efficace sembra essere proprio la possibilità di lavorare durante la detenzione, condizione che fa scendere la percentuale fra l’uno e il quattro per cento.

Ma non solo: da alcuni anni è emerso chiaramente come sia soprattutto il lavoro artigianale e creativo a contribuire alla creazione di contesti umani e sociali – dentro e fuori il carcere – più piacevoli e appaganti. Se il modello Made in Carcere è stato già oggetto di alcuni studi, in questo saggio si vuole approfondire la sua specificità nel favorire situazioni di benessere e nel contribuire all’elaborazione di un nuovo frame teorico legato al concetto di Benessere Interno Lordo (BIL) come superamento e integrazione dell’idea di Prodotto Interno Lordo (PIL).

Nel mondo del disagio, infatti, un incremento della qualità della vita passa sempre da una crescita interiore del soggetto – e non soltanto da un miglioramento delle sue condizioni economiche. A sua volta, tale evoluzione porta non solo a una maggiore soddisfazione personale ma anche a un appagamento diffuso in grado di “contagiare” altri ambienti, oltre a quelli abituali.

Si può parlare a tale proposito di “contaminazione del benessere”: una condizione in grado di abbattere le distinzioni fra il dentro e il fuori, fra il sano e il malato, fra il normale e il borderline.

Il modello Made in Carcere si propone, quindi, di creare i presupposti per attivare percorsi di evoluzione personale, scardinando non solo le vecchie logiche del profitto e dell’utilità strumentale ma anche diffondendo forme di agire responsabile nei confronti dell’ambiente, degli altri, delle diversità.

Nel primo paragrafo, viene analizzata la situazione delle occupazioni lavorative in carcere mostrando come queste siano un’aspirazione diffusa fra i reclusi ma purtroppo spesso disattesa dalle diverse istituzioni carcerarie.

Nel secondo paragrafo affronteremo il tema del rapporto carcere/benessere partendo dalla proposta delle diverse occupazioni professionali offerte da Made in Carcere in alcuni istituti penitenziari del Sud Italia. Alla luce di questa esperienza, mostreremo come tale rapporto possa, con strumenti adeguati, diventare una relazione possibile, meno contraddittoria di quanto non potrebbe apparire a una lettura superficiale. Come poter valutare il lavoro svolto in questi ambiti? Quale è il grado reale del benessere apportato dalle azioni poste in essere?

Infine, nel terzo paragrafo, per meglio cercare di rispondere a tali quesiti abbiamo ripreso, sia pur molto sinteticamente, i termini di un datato dibattito sulle modalità di misurazione del benessere e del progresso economico. Oggi il PIL (il più acclarato indicatore del benessere di una nazione) sembra rappresentare sempre meno una misura affidabile del benessere, individuale e sociale, tanto che si sta profilando un nuovo orizzonte teorico incentrato sul concetto di Benessere Interno Lordo o BIL.

Sono queste alcune delle questioni cui il nostro contributo cercherà di dare un apporto, riportando anche i primi risultati di un’indagine ancora in corso.


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