Giovanna Fiume, Del Santo Uffizio in Sicilia e delle sue carceri (Viella, 2021)

Giovanna Fiume, Del Santo Uffizio in Sicilia e delle sue carceri (Viella, 2021)


Abstract:

Da oltre vent’anni l’Inquisizione è al centro di un interesse storiografico che sembra non esaurirsi. I ricchi e ormai sedimentati studi sul tema (si pensi al monumentale Dizionario storico dell’Inquisizione o ai successivi contributi di studiosi e studiose come Marina Caffiero, Vincenzo Lavenia, Andrea Del Col) hanno permesso di superare le vecchie contrapposizioni ideologiche, alternativamente tese a difendere o a mettere sotto accusa l’attività dei tribunali dell’Inquisizione, consolidando un filone storiografico che continua ad arricchirsi di sempre nuovi lavori (si veda per esempio la recentissima pubblicazione di Dennj Solera, La società dell’Inquisizione, Carocci, 2021). È senza dubbio in questo contesto ancora vivace e prolifico che va inserito il volume di Giovanna Fiume, Del Santo Uffizio in Sicilia e delle sue carceri (Viella, 2021), ma non solo. Quello di Fiume è infatti un libro dalle molte anime, capace di parlare di procedure giudiziarie e di processi di criminalizzazione ma anche, e soprattutto, di prigioni e di prigionieri nella Sicilia d’età moderna, terra di confine tra mondo cattolico e musulmano nonché punto d’incontro, e quindi di scontro, fra genti di culture e fedi religiose diverse.

All’interno di una struttura chiara e lineare, l’autrice non si limita a ricostruire la storia ed il funzionamento del tribunale del Santo Uffizio siciliano, mettendo in mostra le strategie politiche e le dinamiche di potere che ne hanno condizionato di volta in volta l’evoluzione, ma cerca di andare oltre. Attraverso l’analisi e l’interpretazione di preziose fonti iconografiche Fiume si lancia nell’ambizioso e complicato tentativo di restituire voce ad una delle categorie sociali subalterne per eccellenza: quella dei detenuti. La seconda parte del testo è infatti dedicata allo studio della prigione dello Steri e di quelle «quattro mura» coperte di disegni, scritte e graffiti che rappresentano il dichiarato fulcro dell’interesse della storica (p. 14). L’analisi delle testimonianze lasciate negli intonaci dai carcerati che nel corso di quasi due secoli si sono avvicendati nelle celle dello Steri rappresenta senza dubbio il principale, ma non certo l’unico, punto di forza di un testo che, nella sua densità, si presenta al tempo stesso agile e scorrevole. La piacevolezza di questa lettura non sembra riducibile alle sole abilità narrative dell’autrice ma rimanda a lunghi e consolidati studi che hanno condotto Fiume a confrontarsi con un’ampia bibliografia oltre che con una ricca documentazione d’archivio disseminata tra Palermo e Madrid (si segnala in particolare Parole prigioniere. I graffiti delle carceri del Santo Uffizio di Palermo, Palermo 2018 a cura di Giovanna Fiume e Mercedes García-Arenal).

La chiarezza del volume è restituita anche dalla sua articolazione interna. Il primo capitolo ripercorre in maniera sintetica ed efficace le tappe di un lungo percorso che, a partire dalle richieste avanzate da Ferdinando di Aragona ed Isabella di Castiglia nei confronti di Papa Sisto IV, portarono all’istituzione del tribunale del Santo Uffizio in Sicilia e alla sua definitiva abolizione sul finire del XVIII secolo. La rapida carrellata serve soprattutto alla storica per rendere evidente, fin da subito, un tema importante e ricorrente della storia del Santo Uffizio siciliano: quello dei giochi di potere e delle rivalità che hanno visto il tribunale palermitano scontrarsi, e a volte accordarsi, con tribunali civili e autorità politiche per questioni di giurisdizione e gestione del potere.

Le modalità di svolgimento dei processi celebrati dal Santo Uffizio sono invece al centro di un secondo capitolo che si apre con l’esame iconografico ed iconologico del simbolo del Santo Uffizio nella variante raffigurata sul frontespizio di un’opera dell’inquisitore Luis de Páramo. L’immagine offre a Fiume la possibilità di esplicitare i fondamenti ideologici alla base dell’attività del tribunale e di introdurre l’analisi degli aspetti formali e rituali del processo inquisitorio. Particolare attenzione viene riservata in questo passaggio ad alcuni elementi caratteristici come il tormento, il segreto e l’auto da fe.

A completare la prima parte del volume, prevalentemente dedicata a ricostruire il profilo istituzionale del tribunale del Santo Uffizio siciliano, c’è il terzo capitolo. Un capitolo corposo che, non a caso, rappresenta uno dei nuclei più interessanti del testo. Attraverso un accurato ricorso alle fonti processuali, la storica offre un’ampia panoramica dei crimini perseguiti dal tribunale dell’isola. È proprio grazie a queste pagine che l’autrice riesce ad individuare le traiettorie che, di volta in volta, hanno definito e condizionato i processi di criminalizzazione di condotte, credenze, abitudini e comportamenti devianti. Emerge così l’immagine di un tribunale capace di adattarsi alle esigenze religiose e politiche del momento, pronto a modificare nel tempo il proprio atteggiamento persecutorio nei confronti di determinati reati. Si riesce così facilmente a comprendere come, ad esempio, la grande attenzione rivolta in Spagna agli ebrei convertiti abbia giocato in Sicilia un ruolo secondario, o come sodomiti, cristiani di Allah e moriscos siano stati perseguitati con maggiore o minore veemenza nel corso del tempo.

Con il quarto capitolo l’attenzione viene invece rivolta al profilo materiale del tribunale, attraverso la ricostruzione delle vicende del palazzo dello Steri che, a partire dai primi anni del XVII secolo, divenne la sede definitiva del Santo Uffizio siciliano e delle relative prigioni. Il dettagliato resoconto dei lavori di costruzione del fabbricato delle prigioni è supportata da un’utile planimetria e da alcune immagini che aiutano senz’altro a restituire al lettore la fisicità dei luoghi e degli spazi nei quali si consumava la vita dei detenuti. Sebbene quest’ultimo non rappresenti un tema centrale all’interno del testo l’autrice riesce, attraverso alcuni significativi passaggi estrapolati da interrogatori e lamentele dei reclusi, a suggerire l’immagine di una realtà carceraria caratterizzata da soprusi, corruzione, lungaggini processuali e violenze ma anche da giochi organizzati dagli stessi prigionieri per ingannare il tempo. 

È proprio grazie a questi circostanziati affondi sulla quotidianità detentiva dei presos dello Steri che si giunge al cuore di questo volume: l’analisi delle raffigurazioni presenti sulle pareti delle celle. Come anticipato, sono infatti i muri dello Steri ad offrire alla storica un corpus documentario davvero unico e suggestivo, fatto di disegni, scritte e graffiti realizzati in quasi due secoli. Immagini di santi, di navi, di Cristi, di battaglie e di madonne che, accompagnate da esortazioni, salmi ed imprecazioni, compongono un arcipelago di fonti tanto affascinante quanto difficile da interrogare. Ripercorrendo le vicende archeologiche che hanno consentito di riportare alla luce i graffiti dello Steri e che hanno visto il coinvolgimento di personaggi come Giuseppe Pitrè e Leonardo Sciascia, Fiume giunge infine ad interrogarsi sulla natura e sulle finalità di tali rappresentazioni. Quali messaggi venivano affidati a queste rappresentazioni e a chi erano rivolti? Quali esigenze spingevano questi detenuti ad esprimersi in tal modo? In quale rapporto con l’autorità si ponevano gli autori di questi graffiti? Queste sono alcune delle domande alle quali Fiume cerca di rispondere. Rifiutando l’idea di una committenza da parte degli inquisitori, l’autrice avanza la convincente ipotesi che alla base di quelle immagini e di quelle scritte non vi sia soltanto il tentativo di sacralizzare uno spazio quanto piuttosto quello di appropriarsene e rivendicarlo. In questa seconda parte del testo, Fiume ricorre con profitto a strumenti interpretativi e analitici tipici di altre discipline per arricchire una ricostruzione storica che trae la propria solidità dal continuo riscontro tra fonti iconografiche e carte processuali. Attraverso un approccio multidisciplinare, capace di tenere insieme archeologia, paleografia, antropologia e linguistica, l’autrice avanza alla ricerca di elementi nascosti in grado di restituire la dimensione esperienziale di immagini e raffigurazioni che sono state al centro di una realtà detentiva così difficile da indagare.

In conclusione è proprio l’originalità dell’oggetto di studio, combinata ad una poliedrica metodologia di analisi, a qualificare un testo importante, che si propone di sicuro interesse non solo per gli studiosi della giustizia ma anche per gli storici della carcerazione, sempre alla ricerca di fonti direttamente prodotte dai detenuti. Ed è forse proprio nel campo degli studi carcerari che l’approccio proposto da Fiume potrebbe aprire il campo ad innovativi ed interessanti contributi, suggerendo nuovi interrogativi grazie alla valorizzazione di un corpus documentario pieno di fascino e sorprese.