Tiziano Torresi, La scure alla radice. «Studium», la cultura cattolica e la guerra (1939-1945) (Studium, 2021)

Tiziano Torresi, La scure alla radice. «Studium», la cultura cattolica e la guerra (1939-1945) (Studium, 2021)


Abstract:

Il libro è il risultato di un ampio scavo documentario grazie al quale viene ricostruita la storia della rivista e dell’editrice Studium dal 1939, anno della scomparsa del loro principale animatore Igino Righetti, alla fine della Seconda guerra mondiale. L’opera offre l’occasione per continuare a riflettere sul rapporto tra cultura cattolica e fascismo, in particolare sulla posizione assunta da un cenacolo di intellettuali che all’interno del cattolicesimo italiano rappresentò un’area di minoranza più critica nei riguardi del regime e della sua politica ecclesiastica. In un periodo in cui cominciano ad uscire i primi nuovi lavori sul pontificato di Pio XII, frutto dell’apertura agli studiosi degli archivi vaticani per gli anni 1939-1958, appare di notevole interesse affiancare allo studio della linea magisteriale quello delle diverse posizioni degli intellettuali cattolici italiani (ma anche europei, possibilmente in comparazione). A questo proposito il volume di Torresi offre spunti per ulteriori future indagini.

La guerra che scoppia nel settembre del 1939 rappresenta un banco di prova per questo gruppo di cattolici, che si interroga sulla posizione da tenere, ma soprattutto su quale ruolo possa avere l’intellighenzia cattolica. Negli articoli di marzo e aprile 1940 pubblicati nella rivista del Movimento Laureati citati dall’autore, mons. Luigi Valentini condannò il «militarismo sfrenato», senza tuttavia indicare i responsabili dello scoppio della guerra, invitando anzi i cattolici a non dare giudizi netti, espressione di un «erroneo manicheismo politico» (p. 61). Al prelato, rettore del Seminario Romano Minore dal 1932 al 1935, era stata affidata la rubrica «Vita Ecclesiae» sulla rivista «Studium» in cui si discutevano i principali eventi e i documenti ecclesiastici. Se nel gennaio dello stesso anno non aveva lesinato critiche alla Germania che intendeva «strappare ogni residuo di Cristianesimo dall’anima del popolo» (p. 44), nel luglio successivo attribuiva la caduta della Francia, come larga parte del cattolicesimo francese avrebbe fatto, a un governo «senza coscienza» colpevole della «dissoluzione tremenda della vita e del costume per difendere ciecamente i dettami della pace di Versailles» (p. 64). Contro lo spirito laico della Rivoluzione che aveva contagiato i cattolici francesi si era scagliato già nel 1938, dopo lo scoppio della guerra civile in Spagna [R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica (1929-1937), il Mulino, Bologna, 1979, p. 522]. La colpa dell’attuale situazione in Europa era attribuita all’allontanamento della società dai valori cristiani e questo valeva tanto per gli Stati totalitari quanto per le democrazie.

Se nel complesso i giudizi di Valentini non si discostavano dalla comune lettura della società contemporanea data nei più diversi milieux cattolici (dai pronunciamenti dei vertici ecclesiastici alla pubblicistica), tra i collaboratori di «Studium» era in corso una riflessione sulle responsabilità degli intellettuali cattolici. Di fronte però alla dichiarazione dell’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazionalsocialista la rivista pubblicò un comunicato di Azione Cattolica, che invitava a pregare perché Dio benedicesse la «cara Patria» e proteggesse coloro che avevano lasciato le proprie professioni per compiere il «dovere assegnato dalle pubbliche autorità» «per attendere con cristiana virilità alle dure e gloriose imprese delle armi» mettendo la propria educazione e il proprio sentire cristiani «a servizio dei compiti e dei sacrifici» richiesti (pp. 58-59). Anche la rivista della Fuci, «Azione fucina», sottolineò il dovere del cristiano di accettare il «sacrificio della vita militare». Sono temi classici, che avevano caratterizzato non soltanto la pubblicistica, ma anche le omelie dei vescovi quindici anni prima, allorché l’Italia si apprestava a entrare nel primo conflitto mondiale: il dovere del cristiano di obbedire all’autorità legittima, fino al punto di imbracciare le armi, e il dovere del cristiano di sacrificarsi per la patria. Nel settembre 1940, Pio XII l’avrebbe detto chiaramente ai dirigenti diocesani di AC convenuti a Roma: «i soci della Azione Cattolica, la quale non è e non vuol essere un’associazione di partito, bensì un’eletta di esempio e fervore religioso, dimostreranno di essere non solo ferventissimi cristiani, ma anche perfetti cittadini, non estranei agli alti compiti della convivenza nazionale e sociale, amanti della patria e pronti a dare per essa anche la vita, ogni qualvolta il legittimo bene del Paese richiegga questo supremo sacrificio». Il bravo cristiano, insomma, era anche il bravo cittadino pronto a sacrificare la propria vita in guerra per la patria. Renato Moro, tuttavia, giustifica i comunicati delle due associazioni cattoliche – Laureati e fucini – in quanto buona parte dei loro soci, soprattutto tra gli universitari, sarebbero stati chiamati alle armi. [R. Moro, Il mito dell’Italia cattolica. Nazione, religione e cattolicesimo negli anni del fascismo, Studium, Roma, 2020, p. 502]. Ma i giovani cattolici, prosegue Moro, in coerenza con la posizione afascista e talvolta antifascista dei decenni precedenti, nell’assumersi la responsabilità nei confronti della propria patria avevano anche il problema della «possibilità o impossibilità di distinguere tra il regime e la nazione» [ivi, pp. 504-505]. Sono dilemmi che Torresi affronta in un altro libro sulla figura di Sergio Paronetto [T. Torresi, Sergio Paronetto intellettuale cattolico e stratega dello sviluppo, il Mulino, Bologna, 2017, pp. 243-255].

La scelta di pubblicare il comunicato da parte di «Studium» potrebbe anche essere interpretata come il tentativo delle due riviste di evitare di incorrere nell’accusa di disfattismo e nella conseguente sospensione delle pubblicazioni in un momento in cui il regime era alla ricerca di consenso e di supporto propagandistico alla guerra. Un ordine in tal senso era del resto arrivato, ma era stato poi revocato grazie all’intervento dell’assistente ecclesiastico del Movimento Laureati, Adriano Bernareggi, che assicurò ad Alessandro Pavolini, ministro della Cultura popolare, che «Studium» avrebbe continuato ad «associare al cattolico il più schietto sentire italiano» (p. 64).

Tuttavia, non passarono molti mesi che «Studium» si fece portatrice di un altro messaggio, meno trionfalistico, più dimesso forse, ma più coerente con la propria identità. Nei loro interventi Emilio Guano e Augusto Baroni invitarono i cristiani con una vocazione intellettuale a studiare i fatti concreti, a valutare gli avvenimenti «senza compromessi e senza semplicismi» (p. 62). In una lettera a Vittorino Veronese, Sergio Paronetto espresse la sua incertezza e le sue preoccupazioni sul come ovviare all’«assenza» e all’«inazione» (p. 67). Si scelse di discutere a fondo la posizione che «Studium» avrebbe dovuto assumere nell’ora presente in una riunione del consiglio direttivo dei Laureati a novembre del 1940. In quell’occasione Bernareggi e Giovanni Battista Montini invitarono il gruppo a rendere la rivista maggiormente combattiva e a darle un orientamento verso il futuro.

Nell’ambito di questa ricerca di discernimento si collocano gli articoli di carattere storico sulla «revisione cattolica dell’Ottocento» pubblicati tra il 1941 e la metà del 1942, in cui, grazie anche al contributo di Stefano Jacini, si riscoprivano e valorizzavano le radici del cattolicesimo liberale. Dalla storia l’attenzione si spostò sugli studi sociali, terreno giudicato «il più favorevole, e doveroso» degli intellettuali cattolici per il presente e per il futuro secondo Veronese (p. 91), pensando a un «quaderno sociale» da pubblicarsi a margine del convegno dei Laureati svoltosi all’Angelicum di Roma nel gennaio del 1942. Per il cattolico vicentino, l’editrice e la rivista avrebbero dovuto costituire «una centrale cattolica di cultura» attraverso la riscoperta del patrimonio dottrinale del cattolicesimo che fungesse da base per le direttive economiche e sociali su cui ricostruire l’Italia.

Nel medesimo 1942 il consiglio di amministrazione dell’editrice Studium propose il lancio di una nuova collana, «Esami di coscienza» in onore di Igino Righetti che pubblicasse opere sull’etica professionale. «La carenza di una coscienza sociale» era vista come «la radice del disordine» (p. 106) cui si doveva porre rimedio con un impegno intellettuale che fosse strettamente connesso con la realtà pratica, che in una lettura più scandagliata del mondo moderno riuscisse a trovare i rimedi ai suoi mali, che in sintesi riabilitasse il ruolo civile e pubblico degli intellettuali cattolici. Com’è noto, il Natale di quell’anno segnò una svolta nelle riflessioni e iniziative interne al gruppo, che avrebbe portato nell’estate del 1943 alla stesura del Codice di Camaldoli.

Al convegno dei Laureati che si aprì l’8 gennaio 1943 Bernareggi tenne la prolusione sul tema Responsabilità del cristiano d’oggi. Il vescovo parlò del bivio cui era giunta la civiltà che doveva scegliere tra un nuovo umanesimo e l’anti-umanesimo, tra un mondo nuovo e la barbarie; parlò del naufragio dell’idea di una religione politica, del materialismo, del mito del sangue. La novità del discorso di Bernareggi risiede tuttavia nel prosieguo quando si chiedeva che cosa avesse fatto il cristianesimo per impedire la catastrofe, rispondendosi che i cattolici erano incorsi in «troppi accomodamenti, ci si è adattati» (p. 120). Dopo la caduta del regime fu Paronetto, in un articolo per «Studium» che rimase come pietra miliare della ricostruzione, a richiamare tutti a un «esame di coscienza», un tentativo nobile da parte dell’intellettuale cattolico lombardo di porre la questione della «colpa collettiva» del popolo italiano per l’adesione al fascismo. Come si può evincere da queste poche note che ho voluto richiamare, e che trovano nel libro ampia trattazione con la ricostruzione dei passaggi che portarono alle scelte editoriali del gruppo, lo sforzo dell’autore è stato quello di dimostrare il travaglio intellettuale e spirituale della “meglio gioventù” cattolica italiana che contribuì a traghettare il Paese dal fascismo verso l’adesione alla democrazia. È questo anche il giudizio di Paolo VI del 1964, citato nelle conclusioni, il quale riconosce l’impegno di questo «modesto manipolo di intellettuali» di aver ricercato i «presupposti politici e religiosi della libertà e della democrazia» (p. 189). E tuttavia, il concetto di «libertà» non sembra essere tra gli argomenti affrontati in maniera precipua negli articoli della rivista (per lo meno in quelli citati nel presente volume) e nelle discussioni tra i collaboratori della casa editrice. Soltanto nelle giornate di preghiera e di studio dei Laureati cattolici all’Angelicum del gennaio 1942, Antonio Boggiano Pico parla espressamente della ricostruzione della società che doveva poggiare «sopra il principio di libertà» (p. 90). Nel suo studio sugli intellettuali di fronte ai totalitarismi, Ralf Dahrendorf ha sostenuto che «le tentazioni del totalitarismo si nutrono della debolezza degli intellettuali che non riescono a sopportare la libertà» [Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo, trad. it. Laterza, Roma-Bari, 2007, p. 48]. D’altro canto, nelle circostanze in cui il gruppo di «Studium» si è trovato a lavorare sotto il fascismo e durante la guerra il prezzo della libertà sarebbe stato la solitudine, fino alla rinuncia a qualsiasi espressione pubblica. Il lavoro di Torresi restituisce il senso della difficoltà di coloro che sono rimasti in un regime illiberale, che per definizione impedisce agli intellettuali di svolgere il loro mestiere, assumendosi la responsabilità di provare a continuare ad avere un ruolo nella società civile.