Pasquale Palmieri, Le Cento vite di Cagliostro (Il Mulino, 2023)

Pasquale Palmieri, Le Cento vite di Cagliostro (Il Mulino, 2023)


Abstract:

«Gli uomini avevano bisogno di essere ingannati per sopportare la vita». In queste parole, tratte da un’anonima Istoria critica del Conte di Cagliostro, Pasquale Palmieri racchiude il senso e la traiettoria di un uomo che ha attraversato buona parte del secolo dei Lumi in modo cangiante e ricco di fascino, eroe agli occhi del popolo, nemico del potere e dell’ordine costituito. Difficile tuttavia includere Cagliostro in categorie nette come quelle definite da Eric Hobsbawm nel tratteggiare i banditi di età moderna, poiché egli fu molte cose: abile truffatore, promotore di nuovi rituali massonici, ladro e guaritore. Non sembra comparire, perlomeno nelle pagine di Palmieri, che con sano piglio da storico non prende posizione tra detrattori e adulatori, un qualche afflato etico nelle tante azioni più o meno riprovevoli del presunto conte, che certamente ottenne per sé stesso onori e ricchezze, e forse diede illusioni e speranze a molti altri. Cagliostro fu, senza dubbio, uno straordinario interprete del suo tempo, cavalcando quell’onda di stupore di cui si nutrivano i cittadini europei, attratti nel contempo dalla fisica e dall’occultismo, dalla scienza e dagli spiriti. Ma proprio in questa condizione di perenne liminalità in cui visse Cagliostro si evidenziò il peggior pericolo che egli rappresentava; la Chiesa dell’età dei Lumi, sfidata non solo sul terreno della fede ma anche sul monopolio dell’aldilà, non poteva tollerare l’emergere di figure in grado di irretire il popolo attraverso il racconto di viaggi mistici, organizzando sedute spiritiche (descritte dai detrattori come “conviti delle ombre”), dominando forze imperscrutabili incompatibili con il diritto canonico. L’intervento del Sant’Uffizio contro Cagliostro si spiega innanzitutto in questo senso, poiché egli non fu semplicemente un abile ingannatore, ma si pose su un terreno di sfida e disobbedienza che alludeva apertamente all’eresia. Egli fu, agli occhi del tribunale che lo giudicò, un sovvertitore dell’ordine costituito, un promotore della rivoluzione, e come tale condannato. Ma la sua forza e la sua popolarità ebbero una tale eco che le autorità papaline furono costrette non solo a rinchiuderlo in una fortezza inespugnabile e sotto continua sorveglianza, ma ritennero necessario perfino pubblicare diverse opere a stampa in cui difendevano la sentenza e denigravano i comportamenti osceni del prigioniero, che si ostinava ad avventarsi contro le guardie. Tale circostanza non è di poco conto, poiché rivela una progressiva crescente fragilità dell’autorità pontificia nel governo delle coscienze e dei propri territori, e l’Inquisizione stessa, benché ancora senz’altro in grado agire in modo efficace, mostrava la propria inadeguatezza nel frenare quegli impeti rivoluzionari, fossero essi di aperta rivolta o di sottile disobbedienza, che l’avrebbero a lungo impegnata nei decenni successivi.

Palmieri ricostruisce la vicenda attraverso una pluralità di fonti che maneggia con cura, a partire dalle numerose pubblicazioni coeve che diedero conto dei fatti in vari modi, destando la curiosità e il consenso di un pubblico sempre più partecipe e interessato. E in questo probabilmente risiede buona parte del fascino della vicenda di Cagliostro, poiché al fatto di cronaca si somma il piano letterario, amato da un pubblico ansioso di schierarsi, partecipe delle vicende giudiziarie e in grado di influenzarle. Un tema quest’ultimo caro alla produzione scientifica dell’autore, ben consapevole del ruolo emergente dell’opinione pubblica nella vita giudiziaria europea, tanto da definire il processo a Cagliostro «una sapiente combinazione di strumenti giuridici e mediatici».

L’intero volume, così come l’intera vicenda di Giuseppe Balsamo, alias conte di Cagliostro, è attraversata da quel concetto di verosimiglianza che ha animato una parte fondamentale della produzione storiografica del Novecento, e che oggi è uno strumento solido di analisi critica per gli storici. Le avventure di Cagliostro non erano solo divertenti e avvincenti, ma anche verosimili. Le sue imposture, sostiene Palmieri citando la Corrispondenza segreta di Giuseppe Compagnoni (una delle fonti principali), avevano bisogno di apparire perlomeno ragionevoli. A piegare definitivamente i fatti a una lettura univoca sarà soltanto il processo inquisitoriale, dove le diverse prove raccolte e le stesse testimonianze di Cagliostro verranno ricondotte in un alveo penalmente rilevante di un processo celebrato contro un «traditore del regime e perturbatore dell’ordine sociale».

Il volume non è soltanto godibile nella lettura e nel tema, ma enuclea alcuni temi fondamentali cari alla storiografia tradizionale come alle ricerche più recenti. Cagliostro rappresenta, attraverso le sue imposture e i suoi slanci rivoluzionari, un’epoca di grande conflitto tra il potere costituito e le nuove forze emergenti, un’epoca in cui il monopolio della Chiesa sul sacro e sull’aldilà viene contestato e conteso, e ampie fasce di popolazione guadagnano sempre maggior spazio e visibilità, fino alla consacrazione del terzo stato con la Rivoluzione francese, di cui Cagliostro è ritenuto un potenziale promotore. Ma accanto ai grandi nodi storiografici si collocano appunto altri temi rilevanti, come l’assottigliamento del potere inquisitoriale nel lungo periodo della tarda età moderna, o i prodromi di un nuovo misticismo assai temuto dalla Chiesa, che sarebbe stato osteggiato duramente per tutto il secolo successivo e oltre, o ancora il controllo sulla diffusione del sapere, a lungo graniticamente controllato dal Sant’Uffizio e dalla Congregazione dell’Indice, che negli anni successivi avrebbero dovuto ripensare la propria azione di governo e censura, frequentemente aggirati e ingannati da produzioni letterarie e artistiche sempre più ingovernabili.

Palmieri termina il volume dichiarando che Cagliostro «assorbì le tensioni di un’epoca, producendo trame degne di essere rappresentate sul palcoscenico del continente»; e con questa conclusione egli forse tradisce un qualche compartecipazione emotiva, già visibile in controluce in altri passaggi del testo, alle vicende del protagonista. Beninteso, non si tratta certo di partigianeria verso Cagliostro, ma di un sano amore per la ricerca scientifica, che talvolta come in questo caso incontra anche il gusto della bella scrittura, e non possiamo che esserne compiaciuti.