Claudio Strinati (a cura di), Caravaggio, Skira, 2010



Claudio Strinati (a cura di), Caravaggio, Skira, 2010
Abstract: Nell'ambito delle innumerevoli iniziative che celebrano Michelangelo Merisi, noto universalmente come Caravaggio, a quattrocento anni dalla morte, merita certamente grande attenzione il prezioso catalogo dedicato alla mostra, ospitata, durante gli scorsi mesi, nelle Scuderie del Quirinale a Roma ed edito per i tipi dell'editrice milanese Skira. Con saggi specifici, dedicati individualmente ad ognuna delle ventiquattro tele selezionate per l'esposizione delle Scuderie, il catalogo presenta un esaustivo itinerario, insieme biografico ed artistico, della vita di Caravaggio, comprensivo sia delle opere della "giovinezza" e della "maturità", ascrivibili al periodo romano (1592-93 circa-1606), sia di quelle della "fuga" da Roma dell'artista, a seguito dell'omicidio di Ranuccio Tomassoni, dell'ultima fase della sua esistenza (1606-1610).

Nell’ambito delle innumerevoli iniziative che celebrano Michelangelo Merisi, noto universalmente come Caravaggio, a quattrocento anni dalla morte, merita certamente grande attenzione il prezioso catalogo dedicato alla mostra, ospitata, durante gli scorsi mesi, nelle Scuderie del Quirinale a Roma ed edito per i tipi dell’editrice milanese Skira. Con saggi specifici, dedicati individualmente ad ognuna delle ventiquattro tele selezionate per l’esposizione delle Scuderie, il catalogo presenta un esaustivo itinerario, insieme biografico ed artistico, della vita di Caravaggio, comprensivo sia delle opere della “giovinezza” e della “maturità”, ascrivibili al periodo romano (1592-93 circa-1606), sia di quelle della “fuga” da Roma dell’artista, a seguito dell’omicidio di Ranuccio Tomassoni, dell’ultima fase della sua esistenza (1606-1610).

Il contesto biografico e la personalità eccessiva, passionale, contraddittoria di Caravaggio costituiscono elementi fondanti della sua produzione artistica e della inveterata “modernità” caravaggesca che, ancora oggi, senza soluzione di continuità, continua ad attrarre e coinvolgere.

Fin dai primi lavori, all’esattezza realistica, quasi fotografica, di derivazione lombarda nella rappresentazione pittorica di oggetti e soggetti, sviluppata però in modo assolutamente peculiare, mediante l’antitesi luce-ombra, in virtù della sua eccezionale sensibilità e capacità tecnica, Caravaggio unisce in modo costante la trattazione iconografica dei moti dell’animo umano. In proposito sono estremamente indicative le implicazioni e gli atteggiamenti psicologici che emergono nel quadro de I Bari (1595-96): da un lato, Caravaggio rappresenta il volto noncurante, quasi distratto e supponente del giovane aristocratico, dall’altro mette in evidenza la ben diversa tensione dei bari, concentrati nel tentativo di imbrogliare il ricco giocatore, per “guadagnarsi il pane”.

A tal proposito, poi non meno significativo è il Ragazzo con canestra di frutta (1593-94). In primo luogo, Caravaggio carica di una valenza religiosa precipua la raffigurazione dell’uva nera e l’uva bianca, simboli rispettivamente del sacrifico di Cristo e dei suoi benefici effetti, secondo una allegoria poi riproposta anche nel più tardo Canestra di frutta (1599-1600 circa). In secondo luogo, la malinconia e la tristezza, che velano il volto del ragazzo, richiamano il profondo pessimismo di Caravaggio sulle possibilità di redenzione dell’umanità, profondamente corrotta.

Del resto, al di là del fatto, che la maggior parte delle committenze ricevute da Caravaggio siano relative alla rappresentazione di soggetti sacri, la religiosità viva, profonda e tormentata costituisce appunto un’altra essenziale cifra della sua personalità ed arte, fortemente corroborata, proprio nella fase romana, dai significativi rapporti intrattenuti con gli oratoriani. Sotto questo riguardo non va trascurato il motivo simbolico del dualismo tra bene e male che l’artista traduce in immagine in Giuditta che taglia la testa a Oloferne (1599-1600 circa). Al fiero atteggiamento di Giuditta, che allegoricamente incarna la virtù ed è strumento divino della liberazione dell’umanità, identificabile nella serva, dal male, si contrappone Oloferne, simbolo della sconfitta del male. Tuttavia, al di là delle indubbie valenze allegoriche della tela e della documentata ispirazione tratta dalle fonti scritturali, appare anche assolutamente straordinaria la forza evocativa dell’urlo disumano e dello spasimo del corpo di Oloferne. Nella raffigurazione di Oloferne, Caravaggio è infatti riuscito a rappresentare, con grande maestria, l’angosciosa incertezza che coglie, nel momento del trapasso dalla vita alla morte, ogni essere umano.

La trattazione di questi motivi viene ripresa, con profonde varianti nel Davide con la testa di Golia che dipinto nel 1610, anno della morte del pittore lombardo, costituisce l’esito ultimo della fase artistica ed esistenziale aperta dalla fuga da Roma del 1606. In relazione all’assassinio perpetrato ai danni di Tomassoni, oltre che sulla base del persistente motivo della corruzione umana, evidenziato nello sguardo compassionevole e malinconico di Davide, in questa circostanza il motivo allegorico della dicotomia tra virtù e male acquista anche forti valenze autobiografiche, come evidenzia l’autoritratto con cui Caravaggio rappresenta se stesso nelle fattezze di Golia, esprimendo nel suo sguardo colpa e pentimento.

Del resto, lo scarto segnato da questa fase per quanto attiene al sentire religioso dell’artista, verso una dimensione più intima e cupa, prende avvio a livello pittorico, proprio in prossimità della fuga da Roma nella Cena in Emmaus (1606) A tal riguardo, appare decisamente indicativo il confronto della tela con una precedente rappresentazione dell’incontro di Cristo con i due discepoli compiuta dal pittore lombardo nel 1601. Alla maggiore luminosità e dinamicità della precedente Cena in Emmaus incentrata sul riconoscimento di Cristo da parte dei due discepoli, dei quali emerge in primo piano la plastica gestualità delle braccia, subentra, nella tela dipinta nel 1606 e frutto di una complessa gestazione, una raffigurazione più intima dell’incontro, in cui prevale decisamente la mestizia relativa al momento dell’addio.

Tali coordinate trovano poi piena rispondenza e sviluppo sia nel tono sommesso dell’Annunciazione (1608-1610), sia nell’atmosfera dimessa che anima il coevo dipinto del Seppellimento di Santa Lucia (1608). Quest’ultimo in particolare lascia trasparire nella compresenza dei temi della morte e della resurrezione, simboleggiati rispettivamente dal corpo steso della santa e dal suo volto illuminato, le profonde valenze della meditazione di Caravaggio sulla morte, certamente alimentate anche dalla ormai perdurante condizione di fuggiasco e dal senso dell’incombente fine della sua esistenza.

Pertanto, il pregevole catalogo della mostra delle Scuderie offre un riferimento duraturo, stimolante e vitale per avvicinare in modo adeguato la meravigliosa ed incomparabile complessità ed attualità dell’arte di Caravaggio.