Giuseppe Lorentini, L’ozio coatto. Storia sociale del campo di concentramento fascista di Casoli (1940-1944) (Ombre Corte, 2019)

Giuseppe Lorentini, L’ozio coatto. Storia sociale del campo di concentramento fascista di Casoli (1940-1944) (Ombre Corte, 2019)
Copertina di Lorentini Ozio coatto


Abstract: Il volume di Lorentini si inserisce appieno nella feconda stagione di studi sull’internamento fascista e l’apparato repressivo del Regime, iniziata alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso grazie all’uscita di pionieristiche ricerche di studiosi locali e non, e che ha visto un notevole sviluppo negli anni più recenti.

Il volume di Lorentini si inserisce appieno nella feconda stagione di studi sull’internamento fascista e l’apparato repressivo del Regime, iniziata alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso grazie all’uscita di pionieristiche ricerche di studiosi locali e non, e che ha visto un notevole sviluppo negli anni più recenti. L’autore è da tempo impegnato su questi temi, non solo come studioso ma anche sul piano civico della trasmissione della memoria storica. In particolare, ha dedicato i suoi studi alla ricostruzione del funzionamento del campo di concentramento di Casoli, in Abruzzo, regione in cui sorsero durante la guerra numerosi luoghi di internamento e campi di concentramento. I risultati della sua puntuale e minuziosa ricerca sono confluiti in questa pubblicazione, nonché all’interno di un prezioso sito internet. In quest’ultimo è possibile consultare in forma digitale fonti inedite provenienti dagli archivi locali, testimonianze e altro materiale documentario relativo al campo aperto nella provincia di Chieti (https://www.compocasoli.org).

Questa struttura venne messa in funzione dal Ministero dell’Interno nel 1940. Il suo scopo fu, dapprima, quello di internare gli “ebrei stranieri” colpiti dai provvedimenti bellici riguardanti i cittadini appartenenti a nazionalità considerate nemiche dell’Italia in guerra. In seguito, dal 1942, gli internati ebrei vennero trasferiti al campo di concentramento Campagna, vicino Salerno, mentre a Casoli furono destinati i civili jugoslavi provenienti dai territori occupati dall’esercito italiano al di là dell’Adriatico. Infine, dopo l’arrivo degli Alleati nel 1944, per alcuni mesi il campo fu usato anche da quest’ultimi.

 

Composizione con le foto disponibili degli internati passati per il campo fascista di Casoli, https://www.campocasoli.org
Composizione con le foto disponibili degli internati passati per il campo fascista di Casoli, https://www.campocasoli.org

 

Il libro si compone di quattro capitoli: i primi due, di carattere più generale, sono dedicati al dibattito storiografico sul tema e al contesto storico-normativo del periodo preso in questione; gli ultimi due, invece, sono dedicati alla spiegazione del funzionamento del campo e alla descrizione della tipologia di internati che vi furono rinchiusi.

Nel primo capitolo l’autore si sofferma innanzitutto sul significato attribuibile all’espressione “campo di concentramento”, mettendo in rapporto le vicende dell’Italia fascista con l’“universo concentrazionario” nazista in Germania e nell’Europa dell’Est. Si tratta di una questione affrontata dall’autore anche in un recente saggio scritto per questa rivista (I campi di concentramento fascisti: tra storiografia e definizioni). Riprendendo il dibattito aperto alcuni decenni fa dalla storiografia internazionale e sul quale anche in Italia le riflessioni non sono mancate (prime fra tutte quelle di uno dei principali esperti di internamento fascista, lo storico Carlo Spartaco Capogreco), Lorentini si interroga sulle contraddizioni che nasconde l’utilizzo, anche per il caso italiano, di termini come “lager” o “campo di concentramento”, evidenziando la necessità di far emergere le peculiarità che caratterizzarono l’internamento fascista rispetto a ciò che accadde in altri scenari. L’attenzione dell’autore si rivolge soprattutto agli internati e quindi all’aspetto “sociale” del campo. Il capitolo, d’altronde, si intitola: Per una storia sociale di un campo di concentramento. Il caso italiano può essere quindi compreso meglio ripensando a quanto scrivevano Kotek e Rigoulot, ovvero che «ciò che conta ai fini della definizione di “campo” è la condizione di civili “concentrati” – vale a dire raggruppati in un luogo chiuso – per decisione amministrativa, civile, o militare che sia» (J. Kotek,, P. Rigoulot, Il secolo dei campi : detenzione, concentramento e sterminio, 1900-2000, Milano, Mondadori, 2001 (1ed. 2000), p. 40). La seconda parte del capitolo illustra in sintesi lo stato della ricerca in Italia e si sofferma sulle fonti e la metodologia utilizzata per ricostruire la storia del campo, basandosi principalmente sui documenti inediti conservati nell’Archivio Storico Comunale di Casoli e sul recupero dei fascicoli personali di tutti gli internati. Attraverso questo materiale, composto sia da documenti burocratici prodotti dalle autorità che da fonti come lettere e fotografie private, l’autore ha potuto, da una parte, analizzare le dinamiche che sono alla base del comportamento tenuto dall’apparato amministrativo italiano, dal quale emerge una «storia del campo di Casoli come laboratorio del razzismo fascista a livello locale» (p. 53); dall’altra, riesce a esaminare il punto di vista degli internati.

Nel secondo capitolo trova spazio una sintetica ricostruzione della normativa che il governo fascista adottò nei confronti dei civili stranieri, ebrei inclusi, appartenenti a nazionalità nemiche, e delle ricadute amministrative che questa comportò, come la decisione di realizzare in molte zone dell’Italia, soprattutto centrale e meridionale, località di internamento e di concentramento.

Il terzo capitolo, invece, è interamente dedicato alla vicenda del campo di Casoli. Vengono analizzate innanzitutto le dinamiche che portarono alla scelta, nel giugno del 1940, di aprire in quella località della provincia di Chieti un campo, ricavato in due stabili della cittadina. Queste pagine si soffermano in maniera molto precisa e minuziosa sulla gestione amministrativa ordinaria e quotidiana, sul personale addetto alla sorveglianza e sulle pratiche burocratiche e contabili che ruotavano intorno alla struttura, la cui direzione fu affidata al podestà del paese, come prescritto dalla normativa fascista. Lorentini osserva che, nell’applicare i provvedimenti decisi dal governo, le autorità locali conservarono sempre dei margini di autonomia e interpretarono spesso a loro piacimento le indicazioni provenienti dall’alto.

Anche da questo fattore dipendevano così le condizioni di vita all’interno del campo, tema al centro del quarto e ultimo capitolo, nel quale ampio spazio è lasciato alle storie delle persone che finirono rinchiuse in quella struttura. L’autore osserva che il trasferimento degli ebrei stranieri a Campagna nel 1942 e l’arrivo dei civili jugoslavi comportò un inasprimento delle condizioni di vita nel campo, più dure per questi internati “politici”, giunti tra l’altro in condizioni di estrema povertà e maggiori difficoltà materiali rispetto a chi li aveva preceduti. Concludono il capitolo e il volume una lista dei nomi di tutti gli internati del campo, completa di dati anagrafici, e un’appendice di tabelle e grafici elaborati grazie all’analisi dei fascicoli personali raccolti in archivio, nei quali sono riportati i dati statistici relativi alla popolazione internata (età, provenienza nazionale, occupazione svolta, stato civile ecc.) e che mostrano l’ambiente sociale all’interno del campo.

Dalla lettura delle pagine dedicate alla vita nel campo di Casoli si comprende il perché del titolo di questo volume: gli stessi internati, infatti, in particolare quelli “politici”, nel descrivere la loro quotidianità parlano di giornate passate a non far nulla, sorvegliati attentamente dal personale di guardia alla struttura, con nessuna possibilità di lavorare, di muoversi al di fuori del campo o di avere rapporti con la società esterna. Una situazione di “ozio coatto”, insomma, vissuto dagli internati come un «disagio psicologico» (p. 105), tanto che molti insistettero presso il Ministero affinché fossero spostati altrove a lavorare o a occuparsi di qualcosa. Scrive a tal proposito Lorentini: «la scelta del titolo di questo libro, L’ozio coatto, potrebbe risultare la sintesi del sistema di vita che si instaurò nel campo fascista di Casoli e, molto probabilmente, estendendo l’indagine agli altri campi fascisti distribuiti nel centro-sud della penisola italiana, trovare molti punti comuni» (p. 18).

Il volume di Lorentini rappresenta un importante contributo alla ricerca sull’internamento fascista. Pur essendo uno studio dedicato a una vicenda locale, le dinamiche e le pratiche amministrative in esso descritte potrebbero essere valide per tutti i luoghi di internamento e concentramento voluti dal Regime durante la guerra, tra il 1940 e il 1943, o almeno per molti di essi. Spesso, a quella stessa normativa e all’esperienza maturata in quegli anni, fece riferimento anche il successivo governo della Repubblica Sociale Italiana, quando portò avanti la sua politica di repressione e di internamento dei civili.