Gianni Orecchioni, Dietro il sipario. Maria Eisenstein e l’invenzione del diario (Carabba, 2020)

Gianni Orecchioni, Dietro il sipario. Maria Eisenstein e l’invenzione del diario (Carabba, 2020)


Abstract:

Il nuovo libro di Gianni Orecchioni Dietro il sipario, edito da Carabba, va inserito nel contesto del dibattito storiografico sui campi di concentramento fascisti allestiti dal ministero dell’Interno all’indomani dell’entrata in guerra dell’Italia fascista di Mussolini fino all’armistizio del settembre 1943. Un tema complesso a lungo trascurato dagli storici.

L’autore nel suo saggio analizza meticolosamente e criticamente il libro L’internata numero 6 di Maria Eisenstein. Dacia Maraini nella prefazione afferma giustamente di trovare «opportuno che si torni a parlare di Maria Eisenstein e del suo presunto diario del campo di concentramento di Lanciano» (p. 5). Orecchioni dal canto suo riprende la testimonianza in una prospettiva nuova, trascrivendo le parti del testo del libro per «ragionarci sopra, accompagnando il ragionamento a una ricerca minuziosa e approfondita sulla specificità della scrittura del libro di Maria Eisenstein» (prefazione, p. 6).

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Gianni Orecchioni, Dietro il sipario. Maria Eisenstein e l’invenzione del diario (Carabba, 2020), copertina

L’internata numero 6 è l’opera di una donna ebrea polacca internata dal luglio al dicembre 1940 nel campo di concentramento fascista femminile ubicato presso Villa Sorge nella periferia della città di Lanciano in Abruzzo. Un libro, di “un’autrice fantasma” pubblicato in tempi di guerra dal coraggioso editore Donatello De Luigi in quella Roma città aperta nell’ottobre del 1944 (dichiarazione di fatto mai ratificata dai tedeschi, ndr). Il volume, diventato presto introvabile e dimenticato, fu riscoperto nel 1994 grazie alla ristampa della seconda edizione per i tipi di Tranchida editore con una postfazione di Carlo Spartaco Capogreco. Tuttavia è soltanto nella terza edizione pubblicata da Mimesis nel 2014, che il maggior esperto sul sistema concentrazionario fascista dedica una corposa introduzione: lo scopo è ricostruire sia la biografia dell’autrice sia di mettere al centro il valore della sua opera come “unica” testimonianza diretta dell’esperienza di vita in un campo di concentramento fascista femminile. Un libro che è rimasto a lungo irreperibile e pressoché sconosciuto anche a Lanciano. Ed è proprio a Capogreco che si deve l’individuazione del nome esatto dell’internata: Maria Luisa Moldauer ebrea polacca sposata in Eisenstein, sopravvissuta alla Shoah. Lo studioso ne proverà a seguire le tracce fino negli Stati Uniti per conoscerla senza però riuscirci.

Dunque, per apprezzare pienamente la novità della proposta interpretativa di Orecchioni, è basilare leggere il testo originale della Eisenstein, dacché in Dietro il sipario si riportano soltanto alcuni brevi passaggi del libro necessari all’argomentazione filologica dell’analisi storica e testuale. Ma facciamo prima un passo indietro.

Se andiamo a comparare la letteratura – scientifica e no – relativa alla storia dei campi di concentramento è facile notare che quella riguardante il fenomeno dell’internamento civile nell’Italia fascista manifesti un notevole ritardo. Pur in presenza di trascurabili eccezioni, la riflessione sull’esperienza concentrazionaria italiana durante il fascismo-monarchico, segnata da un processo assolutorio e di rimozione, ha trovato interesse storiografico soltanto in anni relativamente recenti. Non è qui che si devono ripercorrere le tappe di questo processo – seppur utile alla comprensione del lavoro scritto da Orecchioni – ma possiamo certamente affermare che la storia dell’internamento fascista è rimasta per decenni priva di una propria autonomia e dignità di ricerca, schiacciata da una politica della memoria che di fatto ha dato «luogo ad uno dei più emblematici e persistenti vuoti di memoria del dopoguerra» portando all’oblio il dato storico dell’esistenza dei campi italiani per internati civili (Capogreco, 2014, p. 139). Questo “vuoto di memoria”, ma soprattutto storiografico, viene colmato dalla pubblicazione nel 2004 del libro I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista dal 1940-1943 di Carlo Spartaco Capogreco (Einaudi, II ed. 2006, III ed. 2019). In questo libro si ha, per la prima volta, una mappatura generale dei campi fascisti che permette di intraprendere nuovi studi e ricerche.

Sulla discussione della “forma campo”, si ricorda che il campo di concentramento fascista non è da associare al lager nazionalsocialista per evitare banalizzazioni e semplificazioni. I campi di concentramento, nell’universo fascista, indicano un luogo circoscritto in un perimetro all’interno del quale, in strutture preesistenti o ex novo, vengono segregate e private dei diritti fondamentali categorie diverse di internati civili. Si tratta di detenzioni esclusivamente amministrative e comminate arbitrariamente per conto della politica razziale e di repressione del dissenso politico da parte del regime monarchico-fascista da giugno 1940 a settembre 1943.

Gianni Orecchioni, studioso da diversi anni della materia, nel 2006 pubblicava il suo volume I sassi e le ombre. Storie di internamento e di confino nell’Italia fascista. Lanciano 1940-1943, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2006, nel quale aveva cercato di fare una prima ricostruzione della storia del campo di concentramento fascista di Lanciano e della vita delle sue internate interessandosi, anzitutto, all’opera pubblicata di Maria Eisenstein.

Dopo questa premessa, non esaustiva ma necessaria, possiamo meglio inquadrare il lavoro restituito da Orecchioni nel suo saggio Dietro il sipario che accentua, già nel sottotitolo, il focus centrale dell’analisi critica del testo de l’internata, dandocene senza mezze misure il risultato: “Maria Eisenstein e l’invenzione del diario”. L’autore vuole chiaramente affermare, fin dalla copertina del libro, che quanto scritto dalla Moldauer non sia un “diario”, quindi una cronologia degli eventi vissuti e scritti all’interno del campo fascista, bensì, secondo lui, ci troviamo di fronte ad una costruzione narrativa elaborata e ricomposta dopo la prigionia, e con un piano di scrittura letteraria di tradizione teatrale che poggia sul topos del manoscritto ritrovato. Infatti Maria, dopo i cinque mesi trascorsi a Villa Sorge, era passata al regime di “internamento libero”, una sorta di domicilio coatto presso il comune di Guardiagrele dove si sposò con Samuel Eisenstein il 4 febbraio 1942.

Nel libro di Orecchioni, inoltre, è ben sottolineata la formazione culturale della Eisenstein, laureata e poliglotta, appassionata di arte, letteratura e teatro che si ritrova ad essere internata in quanto ebrea “indesiderabile” all’indomani dell’entrata in guerra dell’Italia fascista. Un provvedimento di internamento che tenderà a nascondere questa sua grande cultura per trattarla prima come una criminale comune nel carcere di Catania, per poi essere deportata nel campo femminile di Lanciano come ebrea internata numero 6.

Per spiegare ciò Orecchioni articola il suo saggio in due parti. Nella prima analizza criticamente il testo della Eisenstein confrontandolo con i documenti di archivio, verificando, contestualizzando gli eventi e i personaggi citati (molti dei quali posteriori al periodo di internamento nel campo) e ci fornisce delle prove indiscutibili sull’inattendibilità di quanto sostenuto finora dal dibattito storiografico, ovvero su quell’unicum del racconto dell’internata numero 6 come diario storico, quindi «un eccezionale documento storico, una testimonianza senza eguali sul periodo dell’internamento» come lo definì Capogreco nell’introduzione alla terza edizione. Orecchioni, d’altro canto, ci tiene a precisare che «a distanza di parecchi decenni dalla sua pubblicazione si ritiene, pertanto, che sia arrivato il momento di superare, attraverso il riscontro oggettivo dei documenti d’archivio, il punto di vista puramente soggettivo dell’interprete e di affidarsi ai riscontri fattuali che possono venire soltanto da un preliminare e puntuale lavoro di ricerca storica» (p.16). Detto questo avverte di non farci ingannare dalla struttura diaristica del libro nonostante esso narri della vita del campo. L’autore, forte dello studio dei fascicoli personali delle internate e del confronto dettagliato di alcuni fatti raccontati dalla Eisenstein comprovandoli, peraltro evidenzia la straordinaria capacità di invenzione letteraria dell’autrice che vuole creare, a suo modo, un racconto soggettivo pur verosimile dell’esperienza concentrazionaria fascista. Infatti, la Eisenstein ci lascia delle pagine dense di riferimenti alle misere condizioni di vita nel campo, ai soprusi della direzione, alle privazioni quotidiane in un racconto intimo di quell’esperienza.

La seconda parte intitolata Appendice presenta una ricostruzione delle biografie delle donne di Villa Sorge con i personaggi citati, spesso con soprannomi, nel libro della Eisenstein, alla luce del riscontro fattuale dei fascicoli d’archivio delle internate del campo di concentramento di Lanciano. Un lavoro non solo di ricerca storica ma anche in memoria di quelle donne che il regime fascista aveva disumanizzato, alle quali restituisce dignità biografica con il nome corretto allorquando è stata possibile l’identificazione.

Dunque il lavoro di analisi e ricostruzione storica proposto da Orecchioni in Dietro il sipario, si presenta come la logica introduzione alla lettura de L’internata numero 6 che aiuta il lettore, non specialista, a comprendere che «la valenza letteraria del libro è certamente da apprezzare, ma l’idea che il libro della scrittrice polacca abbia come base un diario, le cui annotazioni sono poi riportate fedelmente nel testo, non corrisponde all’esame obiettivo del racconto della Eisenstein che, fermo restando l’indiscusso valore etico-politico, ha una narrazione non aderente ai fatti, ma costruita intorno a una lucida ed efficace sceneggiatura» (p. 67).

A lettura ultimata appare evidente che ci troviamo di fronte ad un libro che aggiunge un ulteriore tassello alla ricostruzione dell’esperienza dell’internamento in un campo fascista femminile, nel caso specifico, con la novità metodologica non soltanto dell’analisi storica dei documenti, ma anche di quella filologica-letteraria del testo. Si tratta di un saggio che cambia in modo significativo l’interpretazione dell’opera della Eisenstein, che sembrava finora essere stata consolidata, ribadendo l’importanza del confronto con la documentazione archivistica di tutte le forme di testimonianza e memorialistica anche se coeve agli avvenimenti vissuti.

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Maria Eisenstein, L’internata numero 6, Donatello De Luigi Editore, 1944

Bibliografia di riferimento:

Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), Torino, Einaudi, 2004.

Carlo Spartaco Capogreco, Il libro esemplare di un’autrice fantasma, in Maria Eisenstein, L’internata numero 6, Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2014, pp. XV-LXV.

Carlo Spartaco Capogreco, Tra storiografia e coscienza civile. La memoria dei campi fascisti e i vent’anni che la sottrassero all’oblio in “Mondo contemporaneo”, 2, 2014, pp. 137-166

Costantino Di Sante (a cura di), I campi di concentramento in Italia. Dall’internamento alla deportazione (1940-1945), Milano, Franco Angeli, 2001.

Gianni Orecchioni, I sassi e le ombre. Storie di internamento e di confino nell’Italia fascista. Lanciano 1940-1943, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006.

Giuseppe Lorentini, L’ozio coatto. Storia sociale del campo di concentramento fascista di Casoli (1940-1944), Verona, Ombre corte, 2019.

Klaus Voigt, Il rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, Vol. 2, Firenze, La Nuova Italia, 1996.

Maria Eisenstein, L’internata numero 6. Donne tra i reticolati di un campo di concentramento, Roma, De Luigi Editore, 1944.