Le tipologie costruttive dell’Opera Nazionale Combattenti in Italia e nelle colonie tra le due guerre. Roma, Archivio centrale dello Stato, 9 maggio 2009

Le tipologie costruttive dell’Opera Nazionale Combattenti in Italia e nelle colonie tra le due guerre. Roma, Archivio centrale dello Stato, 9 maggio 2009
Presentazione del fondo ONC, Convegno presso Archivio Centrale dello Stato


Abstract: Il fondo dell'Opera Nazionale Combattenti, conservato presso l'Archivio centrale dello Stato, è composto da 4442 buste e disegni, articolato in vari sottolivelli, e comprende documenti che vanno dal 1900 al 1979, precedenti e successivi, dunque, agli estremi cronologici della vita dell'ente stesso. La conferenza organizzata dall'Archivio Centrale dello Stato ha illustrato alcune delle possibili modalità di lettura del fondo, riferendosi in particolare ai cambiamenti intervenuti nella struttura e nella missione dell'ente, in seguito all'avvento del fascismo, ai legami con l'architettura razionalista e all'intervento in Etiopia per espressa volontà del regime.

Il fondo dell’Opera Nazionale Combattenti, conservato presso l’Archivio centrale dello Stato, è composto da 4442 buste e disegni, articolato in vari sottolivelli, e comprende documenti che vanno dal 1900 al 1979, precedenti e successivi, dunque, agli estremi cronologici della vita dell’ente stesso. La conferenza organizzata dall’Archivio Centrale dello Stato ha illustrato alcune delle possibili modalità di lettura del fondo, riferendosi in particolare ai cambiamenti intervenuti nella struttura e nella missione dell’ente, in seguito all’avvento del fascismo, ai legami con l’architettura razionalista e all’intervento in Etiopia per espressa volontà del regime. Tre percorsi di ricerca che, intersecandosi, permettono di ricostruire non solo le vicende particolari dell’ONC ma, più in generale, le modalità di quella “modernizzazione contraddittoria” portata avanti dal fascismo nel paese, basata su una vocazione al tempo stesso invadente e subalterna dell’intervento statale, che si servì di enti pubblici, modificandone, come in questo caso, l’originaria vocazione, per raggiungere l’obiettivo in Italia della bonifica integrale e in Etiopia della colonizzazione demografica.

Nel suo intervento Erminia Ciccozzi ha illustrato l’originaria funzione assistenziale dell’ONC, nata per provvedere all’assistenza economica, tecnica e morale dei combattenti superstiti. Nell’iniziale politica dell’ente, voluto principalmente da Nitti e Beneduce, vi era l’idea di esproprio delle terre non sufficientemente valorizzate o incolte, esproprio che avveniva in base alla decisione di un collegio centrale arbitrale e che, tuttavia, doveva favorire i contadini-reduci che avessero sufficienti risorse tecniche, finanziarie e professionali. L’intento era quello di non incoraggiare tentativi disordinati di singoli ma di arrivare ad una controllata modernizzazione agraria del paese. L’aspetto assistenziale dell’ente viene messo in secondo piano, fino a cadere completamente, con le riforme del fascismo. La trasformazione dell’ONC si lega alla politica di pianificazione economica di Mussolini, che si servì molto di istituiti e società ad esclusivo o predominante capitale pubblico, finendo per creare una realtà operativa solo apparentemente centralizzata, ma in realtà abbastanza frammentata tra diverse competenze. Sono gli anni in cui, a partire soprattutto dalla riforma del 1925, l’ONC passa sotto il controllo diretto del regime, che lo impegna nell’operazione di vasta portata, e di ampia risonanza soprattutto “promozionale”, della bonifica integrale dell’Agro romano, e di altre zone in Italia.

Dal 1937 in poi, l’ONC contribuirà al grande sforzo di colonizzazione demografica dell’Etiopia nel quale, nonostante la propaganda di regime, era evidentemente necessario “importare” più che attirare coloni. È nella fase di intervento nell’Africa Orientale Italiana, ripercorsa attraverso documenti, foto e progetti da Gabriele Parola, che l’ONC snatura del tutto la sua originaria funzione, piegandosi alle necessità imperiali e “pubblicitarie” del fascismo e promuovendo la costruzione di colonie agricole in Etiopia in due territori non particolarmente fertili, Olettà e Biscioftù, quest’ultimo infestato dalla malaria e mai bonificato per assenza di fondi. Tali territori furono colonizzati originariamente da 120 militi della divisione Sabauda, il cui numero fu portato faticosamente a circa mille persone dal 1937 al 1940. I coloni vissero sempre in condizioni spartane, finendo per perdere i loro possedimenti nel 1941 con l’arrivo degli inglesi e non vennero mai più rimborsati dall’ONC. Interessante è anche la storia parallela delle città di fondazione italiane e di quelle etiopiche, che si può tracciare paragonando le tipologie costruttive utilizzate. Flavia Lorello ha infatti analizzato i legami tra l’architettura razionalista, che andò affermandosi in Italia a partire dalla metà degli anni ’20 e le tipologie costruttive dell’ONC nelle città di fondazione, mentre Gabriele Parola ha illustrato come gli stessi standard fossero disattesi in Africa Orientale.

I principi tipizzati dell’architettura rurale razionale, che prevedevano forme semplici, standardizzate e funzionali, impiegate dagli architetti dei centri pontini sembravano ben adattarsi alla volontà edificatoria del fascismo, che pure nei nuclei storici delle città italiane promuoveva opere che al razionalismo sostituivano spesso un’architettura “classica”. I piani regolatori, come quello di Aprilia e molti edifici delle città di fondazione si collegano all’architettura razionale, mentre ancora una volta occorre fare un discorso differente per le colonie. Anche se molti progetti di colonie agricole, pur non gestite direttamente dall’ONC come Gimma e Beda Littoria in Libia, furono compilati secondo norme di architettura razionalista, le parziali realizzazioni di Olettà e Biscioftù ci dicono qualcosa in più sia sulle reali possibilità colonizzatrici del fascismo, sia sull’ideologia sottesa ad un tale tipo di colonizzazione. Nei due centri etiopici, come si evince dai progetti conservati nel fondo dell’ONC, il fascismo tentò contemporaneamente di coniugare un progetto “imperiale”, che prevedeva la subalternità degli indigeni, lasciati ai margini del podere, separati da strisce di pascolo e dal terreno coltivabile, dalle case italiane che dovevano essere il centro, economico e visibile della colonia agricola. Pianificazioni concepite con scarsità di fondi e di materiali e che raggiunsero assai dubbi risultati. Se in Italia l’abitazione rurale standard delle città di fondazione prevedeva solette in cemento armato, case a due piani, una cucina e tre camere, in Africa erano previsti solamente due locali, con la cucina che svolgeva anche la funzione di ingresso, solette in pietrame e pareti in paglia triturata e fango.

Basterebbero questi sintetici accenni per aprire una riflessione, che meriterebbe ulteriori approfondimenti, grazie anche alle possibili letture di un fondo come quello dell’ONC; in particolare si potrebbero considerare le modalità di intervento economico del fascismo, che modificò profondamente enti ereditati dall’Italia liberale, servendosene per grandi realizzazioni e per progetti che in breve tempo si rivelarono fallimentari.