Reliquie e culto dei santi dei primi secoli. Devozioni e identità dal XVI al XIX secolo – Seminario del 24 – 25 ottobre 2008

Reliquie e culto dei santi dei primi secoli. Devozioni e identità dal XVI al XIX secolo – Seminario del 24 – 25 ottobre 2008
Reliquie e culto dei santi, Martirio di S. Severa


Abstract: Si è svolto lo scorso 24 e 25 ottobre il seminario sul tema delle Reliquie e culto dei santi dei primi secoli. Devozioni e identità dal XVI al XIX secolo, organizzato dall'École Française di Roma in collaborazione con l'Istituto Nazionale di Studi Romani, l'Università di Clermont-Ferrand 2 e l'Institut Universitaire de France. Le due giornate hanno rappresentato un momento di confronto tra studiosi italiani e stranieri che si sono inizialmente interrogati sul significato dell'espressione «santità delle origini»: i santi antichi coincidono sempre e comunque con i martiri? Quale fu la percezione dell'antichità nei secoli di età moderna, considerando che il termine «antico/antichità» aveva tra i fedeli un significato vago e generico, identificativo di un'epoca lontana dal presente ma senza chiari limiti di riferimento cronologici?

Si è svolto lo scorso 24 e 25 ottobre il seminario sul tema delle Reliquie e culto dei santi dei primi secoli. Devozioni e identità dal XVI al XIX secolo, organizzato dall’École Française di Roma in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Studi Romani, l’Università di Clermont-Ferrand 2 e l’Institut Universitaire de France. Le due giornate hanno rappresentato un momento di confronto tra studiosi italiani e stranieri che si sono inizialmente interrogati sul significato dell’espressione «santità delle origini»: i santi antichi coincidono sempre e comunque con i martiri? Quale fu la percezione dell’antichità nei secoli di età moderna, considerando che il termine «antico/antichità» aveva tra i fedeli un significato vago e generico, identificativo di un’epoca lontana dal presente ma senza chiari limiti di riferimento cronologici?

Gli interventi dei partecipanti hanno tentato di rispondere a queste domande spaziando dal contesto romano a quello italiano a quello francese attraverso approcci di ricerca molto diversi – archeologico, spaziale, geografico, culturale, storiografico -, che hanno oltretutto messo in luce quanto siano ancora numerose e varie le fonti da approfondire relativamente a questo tema.

Prima di tutto, è emersa l’importanza del contesto socioculturale e politico che tra fine Cinquecento e inizio Seicento fa da sfondo a tre fenomeni di grande rilievo: la ricerca della verità storica dei santi delle origini, la “caccia alle reliquie” e l’opera di scavo degli antichi cimiteri sotterranei. È l’epoca della Controriforma, e la Chiesa di Roma costruisce attorno al suo rapporto con il passato un preciso progetto politico: l’esaltazione del cristianesimo primitivo prova la verità del cattolicesimo romano contro il protestantesimo e le successive eresie, diviene funzionale alla strategia universalistica di Roma e contribuisce alla costruzione del potere temporale del papato.

Tuttavia, è stato evidenziato come questi tre fenomeni non investano soltanto il contesto romano ma anche, seppure in misura diversa, il mondo cattolico italiano ed europeo. L’esaltazione del patrono locale sostiene l’identificazione territoriale di una popolazione, costituisce un vettore d’affermazione di identità e rafforza il suo senso di “nazionalità” (si pensi, ad esempio, al ritrovamento delle ossa di santa Rosalia a Palermo nel 1624, in un complesso e difficile contesto politico); al tempo stesso, la necessità di richiederne al papato la convalida del culto diviene uno strumento di rafforzamento del legame tra Roma e chiese locali. I santi vengono legati a una città o ad alcuni luoghi di essa (si pensi ancora alla nota contesa tra Palermo e Catania relativa a santa Agata), e i siti in cui le reliquie vengono scoperte – oppure traslate – diventano spazi sacri attorno ai quali si organizzano nuove gerarchie ecclesiastiche e dove prende corpo una nuova configurazione devozionale.

Il rapporto tra realtà locali e centralismo romano, e le modalità di approvazione di nuovi culti da parte della Curia (in particolare dalla congregazione dei Riti) sono state al centro delle relazioni di diversi studiosi, così come la questione della rigidità del controllo di Roma sulle reliquie. In quest’ultimo ambito si è sottolineato che teoricamente e formalmente vi fu una certa rigidità nel concedere l’approvazione all’estrazione e commercio delle reliquie, ma di fatto si adottò nei casi concreti un approccio elastico e dialettico: ad esempio, se è vero che nel 1624 Urbano VIII vietò la libera frequentazione delle catacombe romane anche gli ecclesiastici, tale divieto continuò a venire meno di fronte alle richieste di alcuni membri influenti di certi ordini religiosi o dell’aristocrazia. E ciò getta luce anche sul ruolo fondamentale svolto da alcuni ordini religiosi sorti in età moderna, primi tra tutti i gesuiti e gli oratoriani, nella politica di valorizzazione della santità protocristiana.

Altro elemento evidenziato nel corso del seminario è stata l’ambivalente funzione di Roma, città universale ma anche città dei romani. A partire dal XVI secolo, la principale Urbe cattolica diviene essa stessa “terra di missione”, come emerge dall’opera di cristianizzazione e disciplinamento socio-religioso realizzata in alcuni quartieri popolari e particolarmente riottosi come Trastevere, dove lo sviluppo di vecchie e nuove devozioni viene favorito non solo dalle alte gerarchie ecclesiastiche ma anche dal mondo confraternale.

A questo proposito sono state considerate le modalità di costruzione del rapporto tra clero e devozione popolare, che si realizza principalmente attraverso la politica delle immagini ma anche il rinnovamento della musica sacra o del teatro, come evidenziato soprattutto per la realtà francese.

Infine, il seminario si è soffermato su una questione da tempo dibattuta e sulla quale non esiste ancora uniformità di vedute: si può sostenere che il santo costituisca un modello per i fedeli e possa dunque svolgere una funzione sociale? E in caso affermativo, quali tipi-ideali ed esempi di virtù passerebbero attraverso il culto di certi santi piuttosto che di altri? Inoltre, come spiegare la maggiore fortuna dei martiri antichi nella devozione popolare, evidenziata sottolineata ad esempio nel maggior numero di chiese a loro dedicate rispetto a quelle intitolate ai santi di epoca successiva?

Se le domande senza risposta restano ancora molte, è però condivisa la certezza che il mito delle origini della cristianità è stato attivato dalla Chiesa cattolica, e dalle varie chiese locali, in diversi momenti della storia. Ciò perché si ricollega a concetti che possono essere attualizzati in ogni momento, come l’eroismo, il sacrificio, il coraggio di fronte alla sofferenza e alla morte. I santi antichi si possono perciò definire “figure plastiche”, plasmabili a seconda dell’utilizzo che le gerarchie ecclesiastiche ne hanno voluto fare, di volta in volta, di fronte alle sfide poste dalle loro realtà contingenti.

Dunque il culto delle reliquie e della santità dei primi secoli costituisce un oggetto storico la cui dimensione devozionale continua a meritare grande attenzione, a ragione dell’importanza che ebbe nella vita dei fedeli e delle profonde implicazioni che lo legarono alle polemiche confessionali, ai dibattiti eruditi e alle costruzioni identitarie delle popolazioni di età moderna.

Sono intervenuti al convegno: Lise Andries, Xavier Bisaro, Sofia Boesch, Sara Cabibbo, Cécile Davy-Rigaux, Annick Delfosse, Bernard Dompnier, Massimiliano Ghilardi, Jean-Marie Le Gall, Gennaro Luongo, Bernadette Majorana, Mario Mazza, Massimo Moretti, Stefania Nanni, Anne Piéjus, Mario Rosa, Roberto Rusconi.