Marina Montesano, Classical Culture and Witchcraft in Medieval and Renaissance Italy (Palgrave Macmillan, 2018)



Abstract:

Con il volume Classical Culture and Witchcraft in Medieval and Renaissance Italy, Marina Montesano mette in relazione due realtà culturali di cui si conosceva da tempo la connessione, ma su cui nessuno aveva scritto in maniera complessiva. Il rapporto tra stregoneria e cultura classica viene così analizzato e centrato sull’Italia del Rinascimento, un contesto geografico e cronologico che risulta essenziale proprio nello sviluppo e nella elaborazione di quella singolare relazione. Come fa notare l’autrice: «the possible role of humanistic culture in the developing of the witch-hunts has not yet been fully researched» (p. 5) e ancora «a comprehensive study of the topic is still missing» (p. 6): l’obiettivo del volume di Marina Montesano è dunque «o fill this gap and to demonstrate how ancient beliefs and descriptions of magic and witchcraft in Greek and Roman literature had an impact on ideas of witchcraft in modern times and on the witch-hunts» (p. 6).

Il volume consta di sette capitoli, preceduti da una introduzione, e seguiti da una ricca bibliografia e da un agile indice dei nomi e degli argomenti.

Nel primo capitolo, Prototypes: Magic and Witchcraft in Greece Montesano rintraccia le radici della stregoneria nella letteratura greca. È dunque in special modo attraverso i poteri di varia natura di Circe – trasformativi, deprivanti della virilità dell’uomo o necromantici – e di Medea – «a mighty sorcerer, who totally lacks the fairy features of Circe» (p. 18) – che la tradizione classica greca affida all’Occidente latino figure centrali nell’elaborazione di concezioni magiche. Queste sono legate in particolare a rituali che implicano un rapporto con la natura e alla capacità di creare pozioni, allo stesso tempo, attraverso la mostruosa figura delle lamiae, fungendo da ponte tra Occidente e retroterra culturali che abbracciano tradizioni africane e asiatiche. Utilissima, nell’ambito del capitolo, è la disamina della terminologia propria di queste tradizioni – le “words of magic” – che sottolinea come il termine “stregoneria” (witchcraft), seppur di uso comune, non sia adatto a rappresentarle. Il secondo capitolo, The Witch as a Woman: Tales of Magic in Rome, discute il ruolo della letteratura e della cultura latine nel rielaborare elementi magici di origine greca – così come nel fondarne di propri – trasmettendoli nell’ambito della cultura occidentale. L’elaborazione di una “strega” dalla natura prettamente femminile viene prendendo forma attraverso figure che iniziano a presentare già quei caratteri che diverranno poi, adeguatamente rielaborati, stereotipici della stregoneria vera e propria. La Canidia di Orazio, l’Erichto di Lucano e la Meroe di Apuleio sono allora tra le antesignane della strega tardomedievale per le loro varie caratteristiche, siano esse la capacità di mutar forma, la ripugnanza dell’aspetto, le abilità magiche, la capacità di produrre pozioni mortifere, l’aggressività verso i neonati o il gusto sfrenato per il loro sangue, e le pratiche necromantiche. Montesano sottolinea come queste e altre figure femminili della letteratura latina siano centrali nell’evoluzione dello stereotipo della strix e come tali «powerful portraits would last for centuries to come» (p. 43). Montesano fa notare come sia soprattutto attraverso il Satyricon di Petronio, con il famoso banchetto di Trimalcione, riscoperto da Poggio Bracciolini in epoca umanistica, e con le Metamorfosi di Apuleio, diffuse invece già in epoca tardoantica e medievale, che l’idea latina di stregoneria fondata sulla rappresentazione e “l’umanizzazione” della strix diviene matura e pronta a essere trasmessa all’epoca successiva.

Il terzo capitolo, Maleficia: From Late Antiquity to the High Middle Ages, rappresenta uno snodo fondamentale nel traghettamento di tali antiche tradizioni verso l’epoca medievale attraverso l’imprinting antimagico cristiano. Ciò avviene soprattutto con l’elaborazione agostiniana dei racconti di metamorfosi di derivazione latina, così come nella sintesi operata da Isidoro di Siviglia e sulla elaborazione di definizioni fondamentali, quali quella di maleficus/a, magus, e strix, fino ad arrivare alla legislazione romano-germanica. Quest’ultima, in particolare, attesta «that the word ‘stria/striga’, from its roots in the Latin of Late Antiquity, had become widely used» (p. 89) e soprattutto che il termine segue l’evoluzione che si trova in Petronio e Apuleio, la quale segna una associazione con l’universo femminile. Si giunge poi ai penitenziali, in primis quelli di Reginone di Prüm e Burcardo di Worms, con il tentativo di sintesi da essi operato fra tradizioni folcloriche “pagane” e sensibilità cristiana, ancora prevalentemente scettica circa la realtà di credenze quali quelle relative alle famose mulieres che vanno in corso con la dea Diana, come nel caso del celebre Canon Episcopi.

Nel quarto capitolo, A Company That Go To The Course, l’autrice mostra come la concezione della strix si diffonde verso l’età tardo-medievale, attraverso l’analisi di una congerie ampia e diversificata di fonti che viene sciolta e discussa con rara dote di chiarezza. Dalla estrie – da strix – e dalla sorcière – da sortiaria –- della letteratura medievale francese, che segue da vicino Ovidio e Apuleio, alle streghe di Domenico Cavalca, Jacopo Passavanti, e Franco Sacchetti, in cui il retaggio letterario classico abbraccia le tradizioni folcloriche, viene notata l’evoluzione che dalle tradizionali bonae res conduce alle malevole «femmine, che sì tramutano in forma d’animali, e succiano lo sangue a’ fanciulli, e, secondo alquanti, se li mangiano » (p. 125), come scrive il pisano Francesco Buti: tale trasformazione costruisce poco a poco una figura stereotipica di strega mai più abbandonata per secoli. Nel capitolo successivo, Let’s Send
Up Some Incense to the Lord!,
Montesano discute uno snodo fondamentale in questo sviluppo, ovvero il momento in cui, nel corso del XV secolo, figure specifiche di intellettuali e predicatori quali i francescani osservanti, elaborano e diffondono tali stereotipi all’interno della società. Il ruolo di Bernardino da Siena, con l’elaborazione da parte del predicatore di tradizioni già conosciute come quella del barilotto, viene giustamente sottolineato attraverso l’analisi di elementi specifici. Tra di essi, l’omicidio rituale dei bambini, l’incoraggiamento a denunciare le streghe, e la tipizzazione di queste ultime, come nel caso di Finicella, ancora una volta sulla base della tradizione classica, specialmente di matrice ovidiana, incentrata sulle striges divoratrici di fanciulli. L’autrice sottolinea giustamente come questi stereotipi letterari non agiscano in maniera esclusiva, ma come al contrario essi «satured Italian folkloric tradition » (p. 168). Il penultimo capitolo, The Italian Quattrocento pone l’accento sul secolo che vede l’accendersi dei primi roghi per stregoneria in Italia, con la diffusione degli stereotipi stregonici basati sia sulla rielaborazione delle tradizioni classiche incentrate sulla strix che su materiali più recenti, quali il Canon Episcopi, con l’elemento del volo notturno. Il capitolo si apre con il famoso caso di Matteuccia di Todi, che è chiamata facturaria, maliaria, e Strega, oltre che esperta di incantamenta (p. 174, n. 1), processata nel 1428, e con il ruolo svolto dalla predicazione di Bernardino da Siena nella prosecuzione della stessa. Altre figure di streghe, ancora modellate su quelle delle striges, mostrano una sempre più marcata natura vampiresca, come nel caso di Filippa da Città della Pieve, processata nel 1455, e accusata di essere assetata del sangue dei bambini, ma presentata anche come esperta venefica, con accuse circostanziate che, come mostra Montesano, «resemble the kind of revolting magic that the Latin authors had attributed to lowlifes like Canidia and Sagana » (p. 184). I modelli classici appaiono dunque essere centrali nel Quattrocento per la elaborazione di stereotipi in cui confluiscono sia tradizioni letterarie che elementi folclorici.

L’ultimo capitolo, Twelve Thousand Circes che è anche la conclusione al volume, mostra come nel corso del Rinascimento, il retaggio delle tradizioni classiche venga usato per dar forma alla credenza nella realtà dei poteri delle streghe, come nel caso del famoso trattato intitolato, appunto, Strix, e pubblicato da Giovanfrancesco Pico della Mirandola nel 1523. Circe diventa, specie a livello di rappresentazione figurativa, il personaggio più in voga, usato dai demonologi per discutere i poteri trasformativi demoniaci, assieme alle altre figure stereotipiche di streghe classiche, quali Medea, Erichto, e Canidia: figure che marcano il collegamento tra Rinascimento e tradizione classica in materia di elaborazione demonologica e stregonica, sebbene, come puntualizza Montesano, «we cannot trace a direct continuity from classical Antiquity to modern times for all of them, but the highly gendered visual description common for most is not without links to the ancient literary witches » (p. 245).

Il volume di Marina Montesano ha molti pregi, tra di essi quello di offrire anche una accurata analisi linguistico-semantica della terminologia alla base delle credenze stregoniche, così come la ricostruzione del ruolo e dell’influenza svolte dall’Italia, sia in senso geografico che, in maniera più estesa, culturale al di fuori dei ristretti confini della penisola. Attraverso l’eredità greco-latina furono trasmessi elementi e tradizioni fondamentali nella costruzione degli stereotipi stregonici per tutto il Medioevo e il Rinascimento. Classical Culture and Witchcraft è dunque un volume di cui si sentiva la necessità e la cui lettura, ne siamo sicuri, gioverà tanto allo studioso di storia della stregoneria che a quello, più in generale, di storia culturale e storia delle idee.