Olivier Poncet, Mazarin l’Italien (Tallandier, 2018)

Olivier Poncet, Mazarin l’Italien (Tallandier, 2018)


Abstract:

In questo corrispondendo a un tipo di libro che è più diffuso in Francia che in Italia, si tratta di una sintesi molto ben scritta, che si rivolge a un pubblico più largo di quello dei soli studiosi. È un testo di quasi 300 pagine senza note, che però contiene a beneficio del lettore una cronologia, un dizionario scelto, con informazioni su tutti i personaggi che hanno circondato Mazzarino, e infine “La cucina dello storico”, come la chiama l’autore: una sezione di venti pagine in cui si dà conto in modo sistematico di tutte le fonti e dei principali studi a cui si fa riferimento, che servono al lettore per capire su cosa ci si è basati e per condurre ulteriori approfondimenti. Nonostante questa veste meno accademica, si tratta di uno studio serissimo, che riesce veramente a dar conto a tutto tondo di un personaggio di grandissimo peso per il secolo in cui visse, un personaggio molto complesso e controverso, soprattutto per i due paesi a cui fu legato, l’Italia e la Francia.

Mazzarino è noto dai manuali di storia come il successore di Richelieu, il primo ministro del periodo della reggenza dopo la morte del cardinale e di Luigi XIII, il principale oggetto degli attacchi dei promotori della Fronda parlamentare e della Fronda dei principi, il firmatario per la Francia della pace dei Pirenei che pose fine nel 1659 al conflitto tra Francia e Spagna dopo la conclusione della Guerra dei Trent’anni.

Ed è noto al pubblico dei lettori di romanzi di avventure soprattutto per le pagine che su quel periodo ha scritto Alexandre Dumas, in particolare in Vent’anni dopo, che è ambientato appunto negli anni della Fronda, e nel Visconte di Bragelonne, ambientato dieci anni più tardi. Dumas è scrittore di fantasia, ma per i suoi romanzi storici si documentava, anche se non necessariamente trasceglieva le sue fonti, e per esempio la narrazione dei primi moti della Fronda a Parigi in Vent’anni dopo è costruita interamente sul racconto che ne fa uno dei suoi protagonisti e oppositore di Mazzarino, il cardinale de Retz, nelle sue Mémoires, pubblicate postume nel 1837 (Vent’anni dopo è del 1845).

Come rileva Poncet, Mazzarino alla sua epoca è stato o incensato dai suoi sostenitori, che ne hanno esaltato le grandissime capacità di uomo di stato, oppure terribilmente criticato, questo soprattutto ad opera dei pamphlettisti attivi nel periodo della Fronda, che lo hanno reso oggetto di addirittura migliaia di opuscoli satirici che da lui hanno preso il nome, le Mazarinades. Per cui esistono sul suo conto sia una leggenda rosa, per così dire, sia una leggenda nera. La leggenda rosa è stata diffusa soprattutto dall’entourage del cardinale e dai suoi “allievi” politici poco dopo la sua scomparsa (fra cui Colbert). Col tempo, però, è stata soprattutto la leggenda nera a prevalere in Francia, con il progressivo affievolirsi della capacità di influenza delle cose italiane sulla politica francese, e il montare invece dei motivi di opposizione a un personaggio che era facile descrivere all’opinione pubblica dell’epoca come estraneo e nemico, anche perché straniero, e italiano, con tutti i luoghi comuni negativi comunemente attribuiti all’epoca agli italiani: furbi, avidi, irreligiosi.

Il libro di Poncet riesce a emanciparsi dai pregiudizi in un senso o nell’altro di una tradizione storiografica precedente, e opera, come deve fare il buono storico, una ricostruzione obiettiva della figura del cardinale. Il quale fu un uomo dalla personalità complessa, nel quale una parte dei difetti che gli sono stati attribuiti ha convissuto con altrettante indubbie qualità, e dove forse proprio la coesistenza di queste caratteristiche ha contribuito a renderlo un personaggio di grande statura. Poncet riesce anche, a mio avviso, a ribaltare il luogo comune su Mazzarino, a partire dal titolo stesso del libro, dove Mazarin l’Italien, invece di essere la conferma del giudizio negativo, dal punto di vista francese, su un potente primo ministro della Francia che non era francese di nascita né di educazione, spiega con questa sua connotazione anche i tratti della sua grandezza. Perché le sue origini gli consentono di sfruttare una rete clientelare e le conoscenze acquisite nel campo della politica e della finanza italiana per intervenire con meccanismi inediti nella gestione della fiscalità statale francese, come pure di usare le conoscenze acquisite in gioventù nel campo militare per costituire un reggimento da cui trarre vantaggio a titolo personale.

Poncet sottolinea innanzitutto che Mazzarino è incomprensibile se non viene rapportato alle sue origini romane, perché pur essendo il padre di origini siciliane, ed essendo lui nato in Abruzzo, la sua formazione avviene tutta all’interno del contesto romano, anche in virtù della discendenza dalla famiglia romana della madre, i Bufalini. La sua fortuna, dopo inizi alterni a livello militare e diplomatico al servizio del papa, si realizza tutta a causa del suo ruolo di rappresentante pontificio nelle trattative che portarono alla fine della guerra di successione di Mantova e del Monferrato con il trattato di Cherasco (1631), ciò che lo mise in evidenza presso Urbano VIII, che gli fece prendere la tonsura e poi fare una rapida carriera nella chiesa. Nunzio apostolico a Parigi, vi conoscerà il cardinale Richelieu, che sarà sedotto dalle sue qualità in virtù della decisa francofilia di Mazzarino, che comincerà invece a dispiacere al papa. Mazzarino capirà presto di non poter restare a lungo il rappresentante del pontefice in Francia, e deciderà di passare al servizio del cardinale Richelieu. Nel giro di pochissimo tempo diventerà braccio destro di quest’ultimo e consigliere del re, che chiederà al papa di farlo cardinale nel 1641. Poi muoiono in poco tempo Richelieu e il re, e Mazzarino resta primo ministro.

Un italiano, quindi, che comincia il proprio percorso nella chiesa, ma che poi, intravedendo la possibilità di una carriera più alta, anche all’interno della politica, opta per il passaggio sotto la corona di Francia. Dove certamente non è accolto bene all’inizio, anche a causa del suo essere straniero, ma dove mostra fin da subito una sincera lealtà politica, che si esprime anche nei tentativi allora possibili di naturalizzazione. Una parte interessante del libro di Poncet è proprio quella relativa a questo aspetto, perché l’autore ricostruisce con grande precisione le possibilità che si davano allora a un non francese di assumere la nazionalità francese. All’epoca non esistevano ancora i documenti di identità nel senso moderno. Una persona era definita dallo jus sanguinis. Poiché il padre era di origine siciliana, gli autori delle Mazarinades ebbero buon gioco a descriverlo come siciliano, e come tale suddito dell’odiato nemico spagnolo. Mazzarino, che cercò di definirsi in modo più accettabile per i francesi, naturalmente non negò (ciò che sarebbe stato impossibile) le origini italiane, ma preferì descriversi come discendente di un ramo della famiglia che si era trasferito a Genova. All’epoca la naturalizzazione, nel senso di rinuncia alla nazionalità originaria per prenderne una nuova, era impossibile, ma esisteva il meccanismo francese della lettre de naturalité, concessa dal re, che permetteva di sfuggire al divieto per gli stranieri di detenere benefici ecclesiastici francesi. Mazzarino la ottenne, e poi ne ottenne un’altra che gli permetteva di ricoprire tutti gli uffici del regno di Francia, compreso quello di primo ministro. Nel corso del tempo, la sua francesizzazione di fatto trovò espressione anche negli scritti del tutto privati che redigeva per se stesso, i famosi Carnets, dei quadernetti che cominciano in italiano, ma che negli ultimi anni sono scritti totalmente in francese.

Come uomo di governo italiano in Francia, Mazzarino aveva avuto certamente dei precedenti. A partire dalle spose di due sovrani, due Medici di Firenze, Caterina de’ Medici moglie di Enrico II, nel Cinquecento, e Maria de’ Medici moglie di Enrico IV, passando per il favorito di quest’ultima Concino Concini, anche lui primo ministro per alcuni anni, anche se alla fine imprigionato e ucciso nel 1617. Se è vero che Concini era stato un precedente negativo e universalmente odiato di primo ministro italiano, Mazzarino incarnò di nuovo, a distanza di trent’anni, un modello simile a quello, e anche per questo ebbe molte difficoltà a imporsi. Tuttavia effettivamente la sua lealtà nei confronti della Francia e del re rimase sempre indiscutibile. E anche nel confronto con il suo predecessore e maestro, Richelieu (la cui carriera era stata favorita proprio dal Concini), si distinse in quanto ugualmente abile, ma meno brutale e violento nel modo di procedere.

Poncet si sofferma (e non potrebbe essere altrimenti) sull’immagine di Mazzarino che emerge dalle migliaia di pamphlet scritti contro di lui, oggi conservati e disponibili per gli studiosi nella biblioteca lasciata dal cardinale alla fruizione pubblica, la Bibliothèque Mazarine, in Quai de Conti a Parigi. Mazzarino vi viene descritto a volte e a più riprese come un seguace di Machiavelli. L’accusa faceva parte di quelle consuete nei confronti di un avversario politico, anche perché Machiavelli era stato messo all’indice, e seguirne i dettami non era cosa adatta a un cardinale. Ma Poncet vede la sua politica come soprattutto mossa dalla pratica appresa nel contesto italiano e in particolare romano, dove forse è presente Machiavelli (Mazzarino aveva certamente letto il Principe e ne possedeva più di una copia nella sua biblioteca). Ma a contare è soprattutto la versione cattolica del realismo politico presente nella Ragion di stato di Botero (ugualmente posseduta in più copie nella sua biblioteca), e la sua applicazione pratica, appresa nei maneggi della corte papale. E anche questo giudizio è del tutto condivisibile: lo si vede nell’attenzione per la segretezza, nel ricorso alla dissimulazione, nel giocare contemporaneamente su più piani.

Invece, dei due mezzi utilizzati sapientemente dal suo maestro Richelieu sul piano della propaganda, da una parte la censura, e dall’altra il ricorso ad autori pagati per scrivere e trasmettere testi, Mazzarino farà un utilizzo meno sistematico. Rispetto alla censura, specie durante la Fronda perde completamente il controllo delle pubblicazioni, e saranno prodotti oltre seimila pamphlet contro di lui. Inoltre non riesce a rispondere puntualmente a questo profluvio di testi, come sarebbe stato necessario, e non riesce a controllare bene neanche la Gazette di Renaudot, uno dei primi periodici di informazione a stampa nati proprio in questo periodo, da lui direttamente finanziata. Anche questo è particolarmente interessante. Mazzarino avrebbe dovuto farlo, ma ci riesce soltanto fino a un certo punto. Qui l’opposizione politica e la nascente opinione pubblica (ma più la prima della seconda) gli impediscono di realizzare fino in fondo il suo ruolo di governo.

Come primo ministro francese, che è però un cardinale italiano, Mazzarino sviluppa particolari “ambizioni italiane”, come recita il titolo del terzo capitolo del libro di Poncet. Dal punto di vista ecclesiastico cercherà di essere papa, ma questo gli viene decisamente impedito, come minimo dal Collegio dei cardinali e dagli equilibri romani. Dal punto di vista politico svilupperà una politica diplomatica e territoriale che, anche se si rivelerà infruttuosa, rappresenta però il più organico progetto politico francese riguardante l’Italia fra il Seicento e la prima metà del Settecento. Cerca anzitutto di contrastare l’influenza spagnola in Italia, approfittando di ogni possibile spunto. Come pure cerca di produrre alleanze antispagnole, ma si scontra con il timore dei piccoli stati italiani di inimicarsi un potere così presente nella Penisola, mentre la Francia non c’è. Soprattutto, l’opposizione della Fronda fra il 1648 e il 1653 lo indebolisce molto e gli impedisce di cogliere i frutti della propria azione.

Le cose gli riescono meglio nello sviluppo delle alleanze matrimoniali. Come se fosse stato egli stesso un regnante, e d’altronde anche nella scia dei cardinali e dei papi nepotisti, Mazzarino riesce a costruire una serie di rapporti attraverso i matrimoni dei propri nipoti e soprattutto delle proprie nipoti, le cosiddette Mazarinettes, figlie delle proprie sorelle. Fa sposare una nipote con il primogenito del duca di Modena, e riesce a sposare bene la maggior parte delle altre nipoti, soprattutto con nobili francesi, anche se i matrimoni non saranno tutti felici.

Infine, come afferma Poncet, le due fedi del cardinale sono la fede religiosa e il denaro, non necessariamente in quest’ordine. La fede religiosa perché certamente, anche se non davvero praticante (aveva preso soltanto la tonsura, e pur essendo cardinale non fu mai prete, non avendo preso gli ordini maggiori), rimase fortemente cattolico, e a modo suo credente, nonostante le accuse di ateismo rivoltegli dagli avversari. Per esempio credette fortemente nella Crociata contro il Turco (anche se questo era quasi più un obiettivo politico che religioso). Fu rispetto alla Chiesa del suo tempo più tollerante nei confronti di certi protestanti, e fra i protestanti scelse anche alcuni collaboratori. Lasciò la vita cristianamente, come dicono tutti i racconti degli ultimi suoi giorni, anche se alcuni di questi sottolineano la sua difficoltà a staccarsi da quanto aveva accumulato in vita. Perché l’altro grande Dio di Mazzarino fu certamente il denaro, che cercò di accumulare il più possibile nel periodo in cui fu al potere, giungendo a mettere insieme uno dei patrimoni privati più grandi di tutta la Francia del periodo: quasi 40 milioni di lire tornesi (la moneta di conto di allora), il che significa un valore d’acquisto ad oggi paragonabile a circa 16 miliardi di euro. Se si pensa che la famiglia reale inglese possiede oggi, fra i patrimoni privati più ricchi al mondo, 70-80 miliardi di euro, il raffronto è presto fatto. Questo patrimonio era stato accumulato praticamente con ogni mezzo: con la partecipazione ai guadagni della corona su tutta una serie di affari, con i benefici ecclesiastici accumulati in modo ossessivo in Francia, con l’acquisizione di parti del demanio, e con la partecipazione a una serie di attività commerciali e finanziarie. Il denaro gli aveva permesso di essere un grande collezionista di opere d’arte, mecenate di molti artisti soprattutto italiani, e di rimanere anche in questo modo in contatto con la cultura e il gusto del suo paese d’origine. Ma come sottolinea Poncet, oltre all’enorme patrimonio immobiliare, la grande disponibilità di denaro liquido, in una società in cui i contanti erano cronicamente poco presenti, costituiva una delle basi fondanti del suo potere, perché ciò gli consentiva di pagare pronta cassa le spese legate alla sua attività (fosse essa diplomatica, militare, corruttiva, spionistica), le doti delle nipoti, e via dicendo.

Dopo la morte di Mazzarino (1661), il rapporto fra la Francia e l’Italia non sarà più lo stesso. La politica francese non farà più progressi importanti in Italia, perché ormai gli equilibri in atto nella penisola sono altri. Mi viene in mente che forse l’unica eredità significativa per quanto riguarda la politica dinastica si può trovare nel matrimonio fra la cugina di Luigi XIV e quello che sarà uno degli ultimi granduchi di Toscana, Cosimo III de’ Medici, che riporterà i Medici nella linea di matrimoni francesi dopo due legami dinastici diversi (ma si tratterà di un’unione disastrosa sul piano della coppia, che non gioverà in modo particolare a un riavvicinamento dei due stati). Soprattutto, la Francia non sembra più avere un progetto riguardante la penisola, come invece era stato all’epoca di Mazzarino. Rimane il sogno della conquista di Napoli, un sogno coltivato fino dal Quattrocento con Carlo VIII, che però per essere realizzato dovrà attendere la fine del Settecento e Napoleone. Rimangono le influenze culturali: molte, ma ormai più indirette che dirette, perché non ci sarà più in seguito la circolazione di artisti italiani che si era verificata al tempo del cardinale.