Pino Aprile, Lorenzo Del Bocca (et. al.), Malaunità. Centocinquant’anni portati male, prefazione di Jean-Noel Schifano, Spazio Creativo, 2011



Abstract: I centocinquant'anni dalla nascita dello Stato italiano sono stati occasione, nel panorama editoriale nazionale, di numerose pubblicazioni a carattere storico tendenti ad approfondire il percorso unitario del suo popolo; percorso che, al di là della retorica ufficiale, permane di complessa interpretazione. È una pubblicistica che ha acquisito nuovo slancio, proponendo ad un pubblico specialista e non una serie di contributi di assoluto spessore, accompagnati da lavori divulgativi oggettivamente deboli da un punto di vista metodologico, ma capaci di ravvivare un interesse popolare verso temi che erano stati dimenticati o rimossi.

I centocinquant’anni dalla nascita dello Stato italiano sono stati occasione, nel panorama editoriale nazionale, di numerose pubblicazioni a carattere storico tendenti ad approfondire il percorso unitario del suo popolo; percorso che, al di là della retorica ufficiale, permane di complessa interpretazione. È una pubblicistica che ha acquisito nuovo slancio, proponendo ad un pubblico specialista e non una serie di contributi di assoluto spessore, accompagnati da lavori divulgativi oggettivamente deboli da un punto di vista metodologico, ma capaci di ravvivare un interesse popolare verso temi che erano stati dimenticati o rimossi

I centocinquant’anni dalla nascita dello Stato italiano sono stati occasione, nel panorama editoriale nazionale, di numerose pubblicazioni a carattere storico tendenti ad approfondire il percorso unitario del suo popolo; percorso che, al di là della retorica ufficiale, permane di complessa interpretazione. È una pubblicistica che ha acquisito nuovo slancio, proponendo ad un pubblico specialista e non una serie di contributi di assoluto spessore, accompagnati da lavori divulgativi oggettivamente deboli da un punto di vista metodologico, ma capaci di ravvivare un interesse popolare verso temi che erano stati dimenticati o rimossi.

Tra le opere di carattere “critico” spicca questa miscellanea di autori meridionalisti, capeggiati da quel Pino Aprile che ha fatto della “critica da sud” al processo di unificazione nazionale un vero cavallo di battaglia: è infatti alla quarta pubblicazione in meno di due anni, con due best-sellers alle spalle quali Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali (2010, più di 700.000 copie vendute), Giù al Sud. Perché i terroni salveranno l’Italia (2011), e l’ultimo capitolo della trilogia Mai più terroni. La fine della questione meridionale (2012), tutti pubblicati dalle Edizioni Piemme del gruppo Mondadori.

Malaunità (a cura di Salvatore Lanza e Gennaro de Crescenzo, con introduzione dello scrittore e intellettuale francese Jean-Noël Schifano) cerca di scostarsi dal filone para-libellistico delle edizioni succitate, raccogliendo brevi ma interessanti saggi su quegli aspetti (economia, emigrazione, politica) che sono evidente testimonianza di come al sud molte cose non hanno funzionato a principio e nel corso della storia unitaria. Vi si evince, inevitabilmente, quella prospettiva culturale “neo-borbonica” tanto cara a molti degli autori e che conduce il lettore verso un costante paragone tra il prima e il dopo unificazione, ossia tra il sud dei Borboni (il Regno di Napoli, dal 1816 “delle Due Sicilie”) e quello dei Savoia, inglobato nel Regno d’Italia (ma la polemica è spesso estesa alla storia meridionale post-unitaria nel suo complesso, con particolare riferimento al Ventennio fascista ed in considerazione della persistenza di una questione meridionale anche in epoca repubblicana).

Dietro quello che può apparire un curioso e colorato revanscismo, facilmente spendibile – e vendibile – in una fase storica del paese in cui acquisisce vigore la fuga ideologica verso rifugi identitari (prevalentemente a carattere geopolitico), si nasconde in realtà un acceso dibattito storiografico, questione dalle radici antiche ma che negli ultimi anni, e complice la ricorrenza patria, ha ritrovato una certa risonanza, coinvolgendo storici di altissimo calibro e di diversa estrazione (si pensi a Giuseppe Galasso, Ernesto Galli della Loggia, Lucio Villari) e nomi non secondari della carta stampata. Si è rinnovato un duello che ormai si configura come scontro tra accademia e giornalismo divulgativo, accompagnato da relative accuse di approssimazione, inesattezza (tra tutte quelle di Giuseppe Galasso in numerosi interventi sul Corriere della Sera) e arroganza o sufficienza (si veda Marcello Veneziani, «La casta degli storici che non insegna nulla», Il Giornale, 31 agosto 2010, in cui evidenzia la “ragione” dei numeri, ossia l’alto numero di copie vendute dai recenti casi editoriali di revisionismo risorgimentale). Ad esempio, uno degli ultimi capitoli di questa sostanziale “disfida delle fonti” è andato in scena sulla vicenda della fortezza piemontese di Fenestrelle (in cui furono costretti, in dure condizioni di detenzione, numerosi ufficiali e soldati di truppa borbonici che si erano rifiutati di passare al servizio dell’esercito sabaudo nel momento del disfacimento di quello napoletano), laddove una recente pubblicazione di Alessandro Barbero non intravede gli elementi sufficienti alla certificazione e denuncia di quel «genocidio di meridionali» che la varia letteratura filoborbonica presenta, da tempo, come una delle pagine più brutali e sottaciute della piemontesizzazione del Mezzogiorno (si consiglia la lettura del botta e risposta tra l’autore piemontese e Mario Agnoli sui «lager dei Savoia», con le immancabili accuse di dilettantismo, mistificazione, etc.).

Ritornando all’opera de quo, una prima analisi evidenzia un parziale recupero rispetto agli strutturali, profondi difetti dei precedenti libri di Aprile: in questo caso la pubblicazione presenta, infatti, un basilare fondamento scientifico ai testi che la compongono, attraverso l’indicazione di fonti archivistiche e bibliografiche, a supporto delle teorie perorate. Ciò non avviene in tutti e tredici i testi che strutturano l’opera: se per esempio Gigi di Fiore (redattore de Il Mattino, da quelle pagine instancabile sostenitore del pensiero storico neoborbonico) e Gennaro de Crescenzo, parlando di due temi sensibili quali camorra ed emigrazione, indicano fondi e opere in cui trovare riscontro di un’analisi controcorrente, è proprio Pino Aprile (o Lorenzo del Boca, che tanto ha scritto, in passato, sulla storia dei Savoia) a ricadere nell’errore che gli è costato gli strali e l’ostracismo di un’accademia sempre pronta al richiamo del rigore metodologico. Tale dicotomia (come, d’altronde, l’intera vicenda) riapre la spinosa questione sullo “statuto” dello storico e del semplice cronista: quale capacità di raccolta delle informazioni e costruzione ermeneutica connotano i lavori dell’uno e dell’altro?

Questo libro appare come un ibrido tra le due soluzioni: ne esce un’opera tuttavia stimolante, con un portato divulgativo utile a chi, all’oscuro dell’agone sul destino sociale, politico ed economico del Mezzogiorno post-unitario, vuole approcciare l’argomento da una prospettiva effettivamente inusuale (anche se ultimamente in crescita, come riscontrato dagli stessi critici del revisionismo risorgimentale). A tal fine, lo studio conclusivo di Lorenzo Terzi (ex direttore della rivista Due Sicilie, dimissionario e successivamente in forte polemica con la linea editoriale del suo successore), compendio di variegate quanto utili indicazioni archivistiche e bibliografiche, è concepito, parafrasando l’autore, come strumento di studio “non convenzionale” della storia del Regno di Napoli/delle Due Sicilie.

Una lettura non troppo impegnativa (anche questo elemento di critica dell’accademia nazionale?) permette dunque al lettore di confrontarsi con cose poco e mal divulgate, molte delle quali non si prestano a facile confutazione, ad esempio alcuni dei cosiddetti “primati” del Regno di Napoli/delle Due Sicilie (cui negli anni passati persino il servizio pubblico nazionale – grazie a un attento divulgatore mediatico come Alberto Angela – ha dedicato un programma tv), qui rendicontati analiticamente nel saggio di Antonio Boccia: tra tutti spiccano i primi scavi archeologici del mondo (Pompei ed Ercolano), avviati nel 1738 sotto il governo illuminato di Carlo III; l’obbligo di motivazione delle sentenze, voluto dal giurista Bernardo Tanucci nel 1774; le maggiori riserve auree delle banche centrali degli Stati italiani al momento dell’unificazione (a garanzia di una solidità finanziaria certamente maggiore rispetto al Piemonte o alla Toscana, ad esempio).

Malaunità è un libro che ha fatto discutere ed è intervenuto, inevitabilmente, a prolungare il dibattito in corso, che come si è ricordato è sì storiografico, ma ovviamente anche politico e culturale: ha dunque il merito di alimentare un confronto intellettuale che, al di là della spesso prevalente connotazione di scontro identitario, in tempi di oggettiva apatia culturale, mancanza di confronto e asfissia della dialettica, ravviva non esclusivamente l’interesse degli specialisti.