Dell’Ergastolo o Pia Casa di penitenza e correzione in Corneto: storia di un carcere dimenticato (1627-1874)

Dell’Ergastolo o Pia Casa di penitenza e correzione in Corneto: storia di un carcere dimenticato (1627-1874)

Abstract: In questo saggio si vogliono indagare appunto le «premesse storiche e istituzionali» della prassi della sottrazione del clero criminale alla giustizia ordinaria, un nodo gordiano che, proprio nello Stato del papa, fu oggetto di un tentativo di riforma, nella prima metà del XVII secolo, in un tempo in cui, al contrario di oggi, i sacerdoti “devianti” avevano buone probabilità di incorrere in pene esemplari e particolarmente degradanti, proprio come accadeva ai laici. Il tentativo di riservare ai religiosi criminali un luogo privilegiato dove scontare la condanna, portare a compimento un proficuo percorso di redenzione e riabilitare il proprio status, in ottemperanza ai dettami post-tridentini di disciplinamento delle coscienze, passò attraverso la creazione di un carcere speciale che rimase aperto praticamente senza soluzione di continuità per più di duecento anni, dal 1627 al 1871: l’Ergastolo di Corneto.

Il 23 maggio 2021 l’attuale pontefice Francesco ha emanato la Costituzione apostolica Pascite gregem Dei, con la quale ha promulgato il testo revisionato del Libro VI del Codice di diritto canonico che regola la materia religiosa e la disciplina delle persone consacrate. La sua ultima revisione risaliva all’ormai lontano 1983. Sull’effettivo carico di novità di questa riforma, soprattutto in materia di reato di abuso sessuale dei religiosi nei confronti di minori, molto si è già scritto e tanto altro si dovrà necessariamente scrivere ma non è questa la sede opportuna per alimentare quel tipo di dibattito. Qui si vuole porre l’attenzione su un particolare capitolo, il secondo, dedicato alle sanzioni penali, nel quale sono ricompresi i canoni 1336 e 1337. Il primo dei due, il 1336, stabilisce che «le pene espiatorie», che «possono essere applicate a un delinquente in perpetuo, oppure per un tempo prestabilito o indeterminato», comprendono anche l’ingiunzione «di dimorare in un determinato luogo o territorio» (§2, 1°). Il canone successivo, il 1337, al §1 specifica che questo tipo di ingiunzione «può essere applicata ai chierici secolari e, nei limiti delle costituzioni, ai religiosi» e al §2 recita: «per infliggere l’ingiunzione in un determinato luogo o territorio», è necessario che vi sia il consenso dell’Ordinario di quel luogo, salvo non si tratti di una casa destinata alla penitenza ed alla correzione dei chierici anche extradiocesani».

Che cosa si intende con la locuzione casa “destinata alla penitenza ed alla correzione”?

Come ampiamente dimostrato da una recente inchiesta giornalistica firmata da Emanuela Provera e Federico Tulli, si tratta di una rete di assistenza residenziale «composta da centinaia di case parrocchiali, comunità di religiosi e abitazioni di famiglie laiche pronte ad accogliere, per periodi più o meno lunghi, quegli ecclesiastici che secondo i loro superiori hanno bisogno» di un periodo di isolamento e preghiera. Ve ne sono ovunque nel mondo e parecchie decine nella sola penisola italiana, sebbene sia molto difficile fare un censimento preciso «a causa dell’atavico timore del Vaticano verso lo scandalo pubblico», dal momento che si tratta in definitiva di luoghi di reclusione «paralleli a quelli dello Stato, dove sono trattenuti i presunti responsabili di reati compiuti in territorio italiano ma che non vengono denunciati alla giustizia civile».

Per quanto riguarda il caso specifico dell’Italia, si tratta di un frutto avvelenato prodotto del germoglio piantato nel 1929 con gli Accordi Lateranensi e con il Concordato tra lo Stato fascista e la Santa Sede: fu allora che i progressi giuridici dell’Italia liberale, figli degli ideali risorgimentali e anticlericali, vennero spazzati via con un colpo di spugna di cui ancora oggi si scontano le conseguenze. Ma, come è ovvio, le radici del problema affondano ben al di sotto della superficie del XX secolo, arrivando a lambire la prima età moderna. La detenzione degli ecclesiastici era regolamentata, negli accordi sottoscritti da Benito Mussolini e dal cardinal Pietro Gasparri, dall’articolo 8 il quale, in caso di condanna da parte di un tribunale civile, prevedeva esplicitamente la reclusione in «locali separati» per le persone consacrate. Un articolo che aveva suscitato, a partire dal 1930 un dibattito parlamentare e giurisprudenziale notevole e che fu spesso motivo di contrasto tra le autorità civili e quelle diocesane, dal momento che andava a ristabilire un privilegio di foro abolito dalle leggi unitarie di sessant’anni prima. Dopo altri sessant’anni, il nuovo concordato del 1984 non fu in grado di dirimere quel nodo e anzi, ritenne opportuno soprassedere sul punto della carcerazione, lasciando così un ampio margine di discrezionalità interpretativa che determinò – e determina ancora oggi – in Italia un intollerabile regime privilegiato per una parte specifica della cittadinanza.

Il combinato disposto del Codice di procedura penale italiano e del Codice di diritto canonico consente di fatto ancora oggi non solo di sottrarre alla giustizia dello Stato esponenti del clero ma anche, una volta condannati, di ospitarli in strutture ad essi dedicate in via esclusiva, per scontare arresti di tipo domiciliare in sostituzione della detenzione nei normali penitenziari: un privilegio che viene sfruttato soprattutto per alcune categorie di reato, come emerge talvolta dalla cronaca giudiziaria. La finalità è quella di tutelare la sacralità del voto sacerdotale e quindi della persona consacrata, dal momento che, nei casi di condanna al carcere ordinario, non è prevista dal regolamento italiano odierno alcun tipo di reclusione speciale.

Il lavoro di ricerca di Provera e Tulli è partito da una domanda apparentemente banale ma che ha mostrato dei risvolti del tutto inaspettati: quanti sono i religiosi e le religiose attualmente detenuti nelle carceri italiane? Per la prima volta, la questione è stata chiaramente posta all’attenzione dell’opinione pubblica. La risposta dei due autori, nonostante accurate ricerche, è stata che non si hanno dati quantificabili e univoci. Di certo, però, è emerso dalle loro indagini che esiste una rete “alternativa” e in parte segreta di luoghi di detenzione speciale per ecclesiastici condannati per reati comuni: una rete piuttosto vasta di case religiose e di case di cura gestite da religiosi di ambo i sessi, che viene rivelata dai due autori, sebbene per loro stessa ammissione, non sia completa e anzi risulti piuttosto lacunosa. Il fatto che questa rete esista, però, è già una notizia rilevante.

Non è questa la sede per affrontare il problema di quali siano le fattispecie di reato in cui questo privilegio viene applicato con maggiore frequenza e, d’altra parte, esistono numerosi studi sulla più abominevole fra queste ovvero il reato di abuso sui minori da parte di esponenti del clero cattolico. Vale però la pena di sottolineare che la Santa Sede è da sempre e in ogni parte del mondo impegnata nello sforzo di guadagnare il privilegio di adire ad una giustizia che trascenda quella terrena, come dimostra una delle vicende più eclatanti fra quelle che hanno minato il magistero cattolico negli ultimi settanta anni, ovvero il caso del cofondatore e poi capo indiscusso della Congregazione dei Legionari di Cristo, il sacerdote messicano Marcial Maciel Degollado, definito recentemente come «la figura più demoniaca che la Chiesa cattolica abbia saputo coltivare e crescere negli ultimi cinquant’anni». La sua storia esula dalla prospettiva locale di questo saggio ma è comunque non privo di interesse evidenziare come Maciel, autore accertato di centinaia di abusi sessuali, perpetuati continuativamente lungo il corso di tutta la sua vita, a conclusione dell’inchiesta interna della Congregazione per la Dottrina della Fede, fu punito nel 2006 con la sospensione a divinis, l’invito ad una vita riservata di preghiera e di penitenza e alla rinuncia ad ogni ministero pubblico. Il pontefice allora in carica, Benedetto XVI, decise di rinunciare al processo canonico, in considerazione dell’età avanzata dell’ultra ottantenne e malato ecclesiastico. Come sottolinea Frédéric Martel, «Marcial Maciel non è stato consegnato alla giustizia dalla Chiesa, non è stato scomunicato, fermato o arrestato», sebbene la Santa Sede, nel 2010, abbia ribadito ufficialmente che il provvedimento era da considerare come una vera e propria condanna.
Benedetti_Dell_Ergastolo_o_Pia_Casa_di_penitenza_e_correzione