Il principio democratico nella Costituzione della Repubblica romana del 1849


Abstract: La Costituzione promulgata il 3 luglio dalla morente Repubblica costituì certamente l’esperimento più avanzato di democrazia fra tutti quelli prodotti nel corso del Risorgimento italiano e rappresentò uno spartiacque rispetto al liberalismo moderato. I principi di laicità e democrazia a cui si ispirava si sarebbero sedimentati nel tessuto civile del paese lasciando un’eredità che avrebbe poi trovato esito nella costituzione della Repubblica italiana del 1948.

La valutazione del principio democratico affermato nella co­stituzione romana del 1849 non può prescindere dalla considerazione di quali fossero le condizioni ambientali nelle quali operarono coloro che approvarono la carta costituzionale: il significato che assume la proclamazione di tale principio nella carta costituzionale va infatti interpretato alla luce degli avvenimenti di quegli anni.

I fatti che precedettero e seguirono la proclamazione della Re­pubblica romana del 1849 e la costituzione che venne approvata nel breve periodo compreso tra il febbraio e il luglio di quell’anno, con un’attività costituente che si svolse in buona parte sotto l’infuriare dei combattimenti per la difesa di Roma assediata dai francesi, rap­presentano un’esperienza di particolare importanza e originalità, che a mio avviso assume il significato di riferimento essenziale per com­prendere alcuni fondamentali “passaggi” della storia costituzionale contemporanea e del processo di graduale affermazione degli ideali repubblicani e democratici nelle società del nostro tempo.

Il 15 novembre 1848, sulla scala del palazzo della Cancelleria, ove avevano sede le camere legislative, veniva pugnalato a morte il conte Pellegrino Rossi, ministro di Pio IX, il pontefice che, pochi giorni dopo, il 24 novembre, fugge da Roma e si rifugia a Gaeta. Questo tragico evento, come è stato più volte sottolineato dagli storici, non fu la causa determinante degli avvenimenti dei mesi successivi, in quanto la rivoluzione romana aveva già ricevuto il suo impulso decisivo; tuttavia, dal punto di vista storico, il delitto della Cancelleria consacra la fine di un esperimento nel quale erano state riposte molte speranze per il futuro dell’Italia. «Il fallimento del tentativo costituzionale − ha osservato Vittorio Emanuele Giuntella − traeva le sue origini profonde […] nell’essenza stessa del governo ecclesiastico, nel quale lo spirituale ed il temporale, intimamente con­nessi, rendevano estremamente difficile la salvaguardia delle opposte esigenze, in un regime a carattere rappresentativo». Sono molte le opinioni espresse sulla preparazione dell’uccisione del Rossi e non si può escludere che in quei giorni da varie parti si me­ditasse di assassinarlo. «L’odio a Rossi − scriverà Saffi − fu suscitato dalla sua politica, non solo dottrinaria e repressiva, ma antilibertista»; per comprendere l’ostilità che, col suo programma politico, Rossi si era attirato da ogni parte, possono ricordarsi le parole con le quali Margaret Fuller, la celebre corrispondente del New York Daily Tribune, in una lettera alla madre, commenta la notizia dell’assassinio di Rossi: «Personalmente non avrei mai creduto di potermi rallegrare di una morte violenta; ma questa mi colpisce come atto di terribile giustizia». D’altra parte, come ha notato Giorgio Candeloro, «la vastità del movimento popolare che seguì al 15 novembre dimostra che la ri­voluzione nello Stato pontificio derivò da circostanze oggettive, che prima o poi avrebbero determinato una crisi risolutiva anche senza l’uccisione del ministro dell’interno».

Sulla politica di Pellegrino Rossi sono state proposte molte in­terpretazioni. In proposito può essere utile riportare il significativo giudizio che ne dava l’inviato di Venezia a Roma, Giambattista Castel­lani, in un dispaccio al suo governo del 30 settembre:

 

Il conte Rossi è convinto che la causa dell’italiana indipendenza è perduta senza riparo, e che è suprema necessità il ristabilimento dell’ordine in Italia, senza il quale si potrebbero perdere le stesse istituzioni liberali. Noi del resto sappiamo che cosa intendano per ordine i vecchi uomini di Stato. Sua cura principalissima sono le finanze e l’esercito, e spiega su questo punto una grande attività. Reso una volta forte e ricco lo Stato, non si potrà più temere una mano di pazzi, che in tal modo ei qualifica i liberali italiani. […] È rispettato dai costituzionali, perché lo credono sapientissimo in questa forma di governo, e sperano che ponga un argine allo sviluppo dei princìpi democratici. Dai repub­blicani invece è aborrito: ma questi, o sono in grande minoranza, o amano tenersi tranquilli. Egli poi sa blandirli, e guadagnarli coi mezzi che non sogliano fallire. […] Riguardo alla dieta futura si trova in aperta opposizione coll’ab. Rosmini. Poiché questi vorrebbe che fosse com­posta di rappresentanti dei governi per un terzo e di rappresentanti del popolo per due, mentre Rossi non la vorrebbe composta che di ministri regi. […] Convinto è il Rossi che l’elemento popolare od è impotente o rovinoso, e si deve quindi o trascurare o combattere.

 

Un ministero Rossi era parso a Pio IX «la sola àncora di salvez­za», come dichiarò lo stesso pontefice all’ambasciatore francese D’Arcourt, proprio in quanto in passato Rossi aveva già espresso il proposito di «correggere e reprimere» ambo i partiti, il retrogrado e il democratico, contrari allo statuto: formula in cui si celebrava un programma di governo autoritario, avallato dalla dottrina costituzio­nale di cui Rossi era celebrato cultore.

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