Pittura e caricatura nella Repubblica romana del 1849


Abstract: Durante la Roma repubblicana del 1849 e nei mesi successivi alla sua caduta molti sono i media che decidono, da sponde opposte, di raccontarne i caratteri, i valori e, in definitiva, di proporne un giudizio complessivo. Sotto questo profilo si segnalano per il loro interesse due particolari tipologie documentarie: da una parte l'illustrazione satirica, rappresentata dai democratici «Don Pirlone», Don Pirlone a Roma e dalla reazionaria Grande Riunione, dall'altra il racconto su tela prodotto «dal vero» dai pittori militanti che affiancano Garibaldi nella disperata difesa della repubblica. Una narrazione a forti tinte ideologiche che fa perno su alcune categorie fondamentali – onore, popolo, nazione – e che certifica l'importanza della Roma rivoluzionaria come straordinario laboratorio mediale e politico.

Pittura e caricatura nella Repubblica romana del 1849

di Matteo Morandini

 

“Quando Pio IX disertava il vessillo della nazione, feriva Italia alle spalle…. In questo, prezzolati giornali, ipocriti e calunniosi foglietti serpeggiando nel volgo, spargevano a larga mano il veleno ed annunziavano, mal simulati forieri, il governo della reazione”.

Con queste parole inizia il Don Pirlone a Roma. E si può stare certi, pur rischiando di inciampare in sconvenienti anacronismi, che tra i «prezzolati giornali» vada annoverata la Grande riunione, pubblicazione satirica di sapore gesuitico e matrice reazionaria, di cui il Don Pirlone a Roma rappresenta la feroce risposta di parte democratica. La significativa dichiarazione d’intenti di questo prodotto editoriale è semplice ed è esplicitata nell’Idea di fondo che apre l’opera: «edotti dall’esperienza, sappiamo qual profonda traccia lascino nell’anima umana gl’incancellabili colpi del ridicolo», motivo per cui «prendemmo col titolo di Don Pirlone il pensiero e lo spirito della caricatura politica onde levossi a popolare celebrità il giornale che portò in Roma un tal nome», mirando «nelle incisioni a percuotere coll’ironia e col sarcasmo il vizio, l’ipocrisia, la menzogna, la viltà, il tradimento». Il passaggio sottolinea immediatamente due aspetti fondamentali. Innanzitutto l’importanza riconosciuta alla caricatura come veicolo di acculturazione politica – medium che vede nel Quarantotto la sua esplosione – e in secondo luogo, certifica la diffusione e la fama del periodico caricaturale romano, vissuto nell’entusiasmo della Repubblica e finito con essa, conosciuto ben oltre i confini della città eterna. Ne è prova il dipinto Roman Newsboy del pittore americano Martin Johnson Heade datato 1848-1849, in cui l’artista sceglie di mettere in mano al suo strillone proprio una copia del periodico satirico romano (fig. 1). L’autore del testo satirico è il romano Michelangelo Pinto, uomo di orientamento democratico, patriota e socio fondatore del defunto «Don Pirlone». La sua esposizione pubblica e politica culmina nella breve quanto significativa esperienza della Repubblica Romana di cui diviene ambasciatore a Torino, città da cui ne vivrà la caduta e in cui sarà costretto a rimanere, in esilio, all’arrivo dei francesi di Oudinot. La sortita editoriale del Pinto riscuoterà un successo nient’affatto trascurabile dato che nel giro di tre anni i volumi vengono ristampati addirittura quattro volte.

Per quel che concerne la controparte reazionaria poco o niente si sa sui redattori della «Grande Riunione», men che meno sui disegnatori e pressoché nulla sulla sua storia editoriale. Non si conosce la frequenza delle sue uscite, la sua reperibilità fisica nelle biblioteche italiane è piuttosto rara e il disordine interno di quelle copie pervenuteci, con data di pubblicazione e riferimenti coevi inconciliabili, rendono quest’opera di difficile inquadramento. La maschera del Cassandrino – che appare in bella vista sull’intestazione del giornale e riassume in sé l’emblema del «codino per antonomasia» – in questa pubblicazione rappresenta l’espediente narrativo per lo sviluppo dei dialoghi e la loro esposizione grafica. La maschera, svegliatosi dopo un lungo sonno nella sala dell’ex circolo popolare interroga alcuni personaggi – reazionari e papali in gran parte – chiedendo lumi sugli ultimi rivolgimenti politici. I personaggi si sono riuniti al circolo perché informati dell’intenzione di alcuni vecchi repubblicani di ritrovarsi nel loro antico covo per ordire nuove congiure. I personaggi che danno voce al testo vogliono quindi «partecipare alla riunione per poter rivedere e confutare le “mummie repubblicane”». La riunione non avrà mai luogo, ma l’espediente è sufficiente per mettere in atto una poderosa opera di dissacrazione dei crismi rivoluzionari in una sorta di processo al ridicolo della stagione quarantottesca, dei suoi uomini e delle sue pubblicazioni, primo fra tutti il «Don Pirlone». Valga da esempio la vignetta Ritratto del Governo provvisorio fatto al dagherrotipo (fig. 2) dove emerge con chiarezza lampante l’inscindibile unione che il Quarantotto istituisce tra carta stampata e attività politica. Qui la personificazione del governo provvisorio avviene attraverso la giustapposizione di simbologia rivoluzionaria, umorismo e affondi contemporanei: l’uomo è vestito interamente dai giornali filo repubblicani («La Pallade», la mazziniana «Italia del Popolo», il «Contemporaneo» e il «Don Pirlone») e imbraccia un manico di fucile usato a mo’ di asta per un enorme berretto frigio che fa da ombrello. L’allusione è doppia, sia di tipo per così dire interno, più strettamente politico, che esterno, ancorato al circuito comunicativo e ai rimandi infratestuali: questa immagine è infatti una evidente risposta alla vignetta apparsa sul «Don Pirlone» il 6 dicembre 1848 (fig. 3), in cui il cardinale Giovanni Soglia Ceroni cerca di ripararsi dalla copiosa pioggia di berretti frigi che gli sta precipitando addosso, evidente riferimento al precipitare degli eventi, di segno repubblicano.

 

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