Intervista a Gian Carlo Caselli. Agromafie, legalità e coscienza del “patrimonio alimentare” italiano


Abstract: Come si evince leggendo le pagine del numero del Giornale di Storia, Dall’orto alla tavola. Per una storia dell’evoluzione dei prodotti e dei gusti alimentari tra XVI e XXI secolo, le frodi e le adulterazioni a danno di alimenti pregiati e bevande, quali il vino, hanno da sempre costituito un argomento tristemente ricorrente là dove si intravedeva la possibilità di guadagnare e lucrare, manipolando la genuinità e le peculiarità di un prodotto.
Gian Carlo Caselli, ex magistrato oggi in pensione, a lungo in prima linea nella lotta contro la mafia e la criminalità, ci spiega in queste pagine come l’interesse dell’economia mafiosa verso i prodotti della terra si sia gradualmente accentuato, arrivando a radicalizzarsi sul territorio e sull’industria infettando così l’intera filiera alimentare.
Il messaggio di auspicio e di speranza oggi è che il cibo non sia più da considerarsi come un bene da spremere, finalizzato alla mercificazione e al profitto, ma sia elevato a “patrimonio alimentare”, tutelandolo nella sua specificità e proteggendo così, di conseguenza, i consumatori che di questi beni dispongono.

Procuratore Caselli, Lei presiede da quattro anni il comitato scientifico, dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, ci può descrivere il suo ruolo e le finalità di tale iniziativa?

L’Osservatorio opera ormai da oltre 4 anni e senza presunzione mi sento di dire che fa un sacco di cose interessanti e utili. Chi volesse saperne di più nel dettaglio può consultare il sito www.osservatorioagromafie.it.

In generale si propone di diffondere la cultura della legalità nel campo agroalimentare, partendo dal presupposto che se la legalità presidia ogni segmento della filiera, si creano le condizioni necessarie per puntare ad un cibo non soltanto buono e sano ma anche giusto. Capace cioè di tutelare la salute del consumatore e insieme il regolare funzionamento dell’economia, senza vantaggi per chi bara e penalizzazioni per gli onesti. La “filosofia” di fondo è considerare il cibo non solo come merce da far circolare prevalentemente se non esclusivamente secondo criteri di quantità e profitto, ma come bene comune che tenga in massima considerazione i parametri della qualità, distintività e sicurezza.

Di questi e altri argomenti si parla anche (piccolo spot autoreferenziale…) nel libro che Stefano Masini ed io abbiamo scritto di recente, intitolato C’è del marcio nel piatto. Come difendersi dai draghi del Made in Italy che avvelenano la tavola, (Piemme 2018), impreziosito da una splendida prefazione di Carlin Petrini.

 

 

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