La memoria di Moro. Uno sguardo sul dibattito sul politico pugliese nei quotidiani dell’Italia degli anni ‘80


Abstract: Di Aldo Moro hanno scritto in molti. Non solo per il suo ruolo preminente nella storia italiana del primo trentennio repubblicano, ma anche – forse soprattutto – per i tragici fatti che hanno portato alla sua morte, una cesura nella vita politica e sociale del paese. Non sono numerosi però gli studi che riguardano la memoria di Moro che, soprattutto negli ultimi anni della cosiddetta “prima Repubblica”, si afferma come una memoria che divide, strumentalizzata e politicizzata costantemente da partiti e politici. L’articolo indaga il tema ricostruendo parte del dibattito che ha avuto luogo sui quotidiani.

«Più si parlerà di Moro e più ci avvicineremo al momento in cui capiremo finalmente perché la tragedia è italiana e l’Italia è tragica». Rispondeva così ai giornalisti nei mesi successivi ai 55 giorni del 1978 Alberto Moravia. Quella di Aldo Moro, per lo scrittore ma non solo, è una tragedia umana, sociale, politica che coinvolge e sconvolge l’Italia. Tragedia fatta di angoscia e divisioni, paura e speranza, intransigenza e trattative che tengono il Paese con il fiato sospeso per 55 lunghissimi giorni mentre il politico più influente dell’ultimo ventennio della Repubblica è ostaggio delle Brigate Rosse. Moro, sessant’anni, presidente della Democrazia cristiana, era stato il principale promotore delle due svolte politiche del lungo dopoguerra italiano, l’avvicinamento con il Partito socialista sul finire negli anni ’50 e quello con il Partito comunista, che stava per realizzarsi con il voto di fiducia al governo Andreotti del 16 marzo 1978. Un momento storico: dopo l’esclusione del 1947, era la prima volta che i comunisti entravano a far parte di una coalizione di governo. Era sicuramente l’inizio di una netta cesura nella vicenda politica dell’Italia repubblicana.
Una cesura mancata. Quel governo sarebbe durato poco più di un anno, fiaccato e sconvolto dal giorno più lungo della Repubblica, che vede la propria alba alle nove di mattina del 16 marzo in un’anonima via nella periferia nord della Capitale: via Mario Fani. Lì passava la macchina di Aldo Moro nel tragitto che l’avrebbe portato a Montecitorio per prendere parte al compimento della sua ultima fatica. Lì si è fermata, trafitta dai colpi di un comando delle Brigate Rosse. Un agguato sanguinoso in cui persero la vita i cinque uomini della scorta: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino vengono colpiti dai proiettili sparati dagli attentatori. Incolume, miracolosamente, Aldo Moro. L’agguato ha una dinamica perfetta, «scientifica» come descritta dai cronisti: così il presidente della Democrazia Cristiana viene caricato su una macchina e portato via.
Marconi_Dibattito_DEF