Pio XII, la guerra e il silenzio del papa. Intervista a David I. Kertzer

Pio XII, la guerra e il silenzio del papa. Intervista a David I. Kertzer

Abstract: Intervista esclusiva del Giornale di Storia a David I. Kertzer

Pio XII, la guerra e il silenzio del papa

Intervista a David I. Kertzer

di Roberto Benedetti

 

Il 2 marzo di quest’anno, dopo decenni di attese, gli archivi vaticani del pontificato di Pio XII sono stati aperti e messi a disposizione degli studiosi di tutto il mondo.

L’evento era stato annunciato esattamente un anno prima, nel marzo 2019, durante un’udienza privata del pontefice al personale dell’Archivio Segreto Vaticano (la cui denominazione è nel frattempo cambiata in Archivio Apostolico Vaticano).

La notizia è fin da subito rimbalzata nell’ambiente storico internazionale, con la conseguente rilevanza mediatica dovuta certamente alle note e mai sopite polemiche storiografiche relative alla condotta della Santa Sede negli anni del secondo conflitto mondiale, e in particolare ai silenzi di papa Pacelli sulla Shoah.

Le grandi aspettative maturate in questo tempo sono culminate nel momento dell’effettiva apertura dei sette istituti di conservazione interessati di fatto dal provvedimento papale: l’Archivio Apostolico Vaticano, l’Archivio della Segreteria di Stato-Sezione Rapporti con gli Stati, l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’Archivio Storico della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (de Propaganda Fide), l’Archivio Storico Generale della Reverenda Fabbrica di S. Pietro in Vaticano, l’Archivio Storico della Congregazione per le Chiese Orientali, l’Archivio della Penitenzieria Apostolica.

Il periodo di accesso si è, però, purtroppo ridotto a soli sette giorni, a causa dell’esplosione dell’emergenza pandemica mondiale da Covid-19.

Infatti, nel corso della mattina del 5 marzo, è iniziata a correre in Vaticano l’infausta notizia del primo caso di contagio all’interno delle mura leonine, da cui è conseguito il provvedimento di chiusura progressivo sine die di tutti gli istituti culturali, fino ad arrivare ad un adeguamento alle regole di lockdown predisposte in Italia.

I pochi studiosi che erano riusciti a prenotare faticosamente (a causa della grande richiesta) un periodo di studio in questi archivi, hanno dovuto rinunciare e lasciare in sospeso tutti i progetti di ricerca intrapresi.

Nessuna novità, dunque, sembrava destinata ad emergere dopo solo pochi giorni di lavoro su fondi archivistici che contengono chilometri di documentazione.

Tuttavia, da circa una settimana alcuni media tedeschi stanno rilanciando l’intervista al prof. Hubert Wolf, relativa alle recenti scoperte che lo studioso e il suo staff (afferente all’Università di Münster) avrebbero fatto negli archivi vaticani, in quell’unica settimana di apertura d’inizio marzo. Secondo quanto riportato, dallo spoglio dei nuovi documenti sarebbero emerse le prove che Pio XII avesse avuto notizie di prima mano circa lo sterminio degli ebrei operato dai nazisti e nonostante ciò avesse disposto di non condividere le informazioni con il governo statunitense. Una decisione, quella del pontefice, influenzata dall’opinione di un funzionario della Segreteria di Stato, mons. Angelo Dell’Acqua, il quale aveva messo in guardia dal credere, senza opportune verifiche, alle notizie, e aveva contestato la credibilità delle fonti da cui esse erano arrivate, scrivendo in un rapporto che “gli ebrei esagerano facilmente e gli orientali […] non sono davvero un esempio di onestà”.

La notizia della scoperta è stata rilanciata anche dall’americano «Washington Post» mentre in Italia l’eco delle rivelazioni degli studiosi tedeschi non è ancora approdata sui quotidiani nazionali più importanti.

 

Abbiamo allora deciso di portare all’attenzione dei nostri lettori la questione; e poiché Hubert Wolf e il suo staff non sono stati gli unici ad avere avuto il privilegio di accedere alla nuova documentazione, abbiamo scelto di intervistare un altro studioso di fama internazionale, il prof. David I. Kertzer, storico e antropologo statunitense, docente alla Brown University, esperto di storia della Chiesa in Italia, vincitore nel 2015 del premio Pulitzer per il suo libro The Pope and Mussolini. The secret history of Pius XI and the rise of fascism in Europe (trad. it., Il patto col diavolo, Milano, Rizzoli, 2014) e profondo conoscitore dei rapporti tra Vaticano e regime fascista.

Anche il prof. Kertzer, in quella fatidica settimana di inizio marzo, era presente tra gli ospiti degli archivi vaticani, impegnato nello studio della sconfinata produzione documentaria del pontificato di Pio XII.

 

Nell’aprile 2019 David Kertzer aveva rilasciato un’intervista su «Pagine Ebraiche» in cui affermava che su una cosa saremmo potuti stare sicuri: “il 2 marzo 2020, quando quella porta si aprirà, ci sarò senz’altro”.

Prof. Kertzer ha mantenuto fede alla promessa?

Certo, non potevo mancare, e con altri colleghi ho passato quell’unica settimana di apertura degli archivi vaticani per il papato di Pio XII tra gli inventari e le carte dell’Archivio Apostolico (ex-Segreto) Vaticano e dell’Archivio della Segreteria di Stato della Santa Sede. Due cose mi hanno colpito fin da subito e impressionato notevolmente: il fatto che, a causa dell’emergenza sanitaria da Coronavirus, i due archivi non fossero così affollati come si sarebbe potuto pensare; e, ancora di più, il fatto che il prof. Wolf avesse potuto portare con sé una squadra di altri sei studiosi.

 

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David Kertzer con Hubert Wolf e il suo staff, davanti all’ingresso dell’Archivio Apostolico Vaticano, nel giorno dell’apertura degli archivi del pontificato di Pio XII (2 marzo 2020)

 

Le notizie riportate dai media tedeschi e dal «Washington Post» non paiono in realtà attestare una grande novità emersa ad oggi dai documenti messi a disposizione dalla Santa Sede. In fondo, al momento, leggendo quanto riportato nell’intervista a Wolf, si tratterebbe semplicemente di conferme di notizie già emerse negli anni passati. La relazione di don Pirro Scavizzi, ad esempio, nella quale si riportava la descrizione delle brutali esecuzioni di massa in Polonia, presentata alle autorità vaticane alla fine del 1942, è stata pubblicata nel volume di Michele Manzo, Don Pirro Scavizzi. Prete romano (1884-1964), edito per Piemme nell’ormai lontano 1997.

Quale è la sua valutazione in proposito? È sufficiente leggere i documenti di mons. Angelo Dell’Acqua presentati in questi giorni per modificare l’approccio storiografico alla figura di Pacelli e per aggiornare la bibliografia sui suoi ormai accertati silenzi? Esiste a suo avviso la possibilità che possa emergere altro dalle carte di questo pontificato?

Va innanzitutto precisato il fatto che anche prima dell’apertura dei nuovi fondi vaticani, abbiamo già avuto la possibilità di accedere a una quantità enorme di documentazione che mette bene in luce le scelte e le decisioni di Pio XII e dei suoi principali assistenti — fra i quali, il segretario di stato cardinale Luigi Maglione, e i suoi due collaboratori più stretti, mons. Giovanni Montini (il futuro Papa Paolo VI) e Domenico Tardini — negli anni della guerra. Tra i numerosi altri archivi che ho consultato finora, vanno citati gli archivi storico-diplomatici italiani, tedeschi, francesi, inglesi, e americani. Lì sono conservati fra l’altro tutti i reports e la corrispondenza degli ambasciatori e degli altri diplomatici stranieri presso la Santa Sede. Questi avevano frequenti incontri, anche a cadenza settimanale, con i collaboratori più stretti del papa, e spesso anche udienze private con il pontefice, per tutto il periodo della guerra. Le loro descrizioni di queste conversazioni sono preziose.

E poi ci sono archivi dello spionaggio militare, dall’Italia, ma anche da Londra e Washington, per non parlare di tutti gli archivi fascisti che comprendono quelli della polizia politica, con le relazioni dei numerosi informatori infiltrati in Vaticano. Inoltre, papa Paolo VI, come sappiamo, diede incarico al gruppo degli studiosi gesuiti, di preparare la selezione di documenti che potesse confutare la teoria del “silenzio del papa” durante la Shoah, un’opera che, iniziata nel 1965, fu completata nel 1981 e che confluì nei dodici corposi volumi di documenti estratti dai vari fondi vaticani del periodo pacelliano [gli Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale o ADSS, ndr]. Insomma, sappiamo già moltissimo di questa storia.

Ciò detto, speriamo di avere ancora maggiori dettagli dagli archivi vaticani appena aperti. La ricerca è molto agevolata dal fatto che l’archivio della Segreteria di Stato-Sezione rapporti con gli Stati abbia digitalizzato tutti i suoi documenti e li abbia inseriti in una rete intranet a disposizione, in contemporanea, di ciascuno studioso. Questo vuol dire che il ricercatore ha accesso più o meno istantaneo e diretto, senza nemmeno doversi alzare dalla sua postazione, a tutto il materiale documentario, anche grazie ad un ottimo motore di ricerca e al buon lavoro di indicizzazione che è stato fatto.

Nel confronto, il lavoro nell’archivio principale dello Stato vaticano, ovvero l’Archivio Apostolico Vaticano, è molto più lento.

 

In Italia, l’eco di queste rivelazioni non si è ancora avuta. Fatta eccezione per un articolo comparso sul «Corriere del Ticino», i grandi media nazionali, non hanno fatto alcun cenno all’intervista allo storico tedesco. È invece di pochi giorni fa [1 maggio] la notizia data da «La Repubblica», con un articolo di Stefano Roncoroni, che dalle carte dell’Archivio Apostolico si avrebbero novità circa il caso della scomparsa del fisico Ettore Majorana. Questo dimostra che l’attenzione per le novità che emergono dalle carte degli archivi vaticani è sempre molto alta, anche se apparentemente selettiva.

Cosa pensa di questo silenzio?

Mi ha sorpreso il fatto che anche nelle settimane antecedenti all’apertura del 2 marzo, la stampa italiana abbia legato la novità degli archivi vaticani esclusivamente a “rivelazioni” di carattere trionfalistico e molto favorevoli ad un rilancio della figura di Pio XII, con anticipazioni di documenti provenienti dai nuovi fondi: dai piani segreti del papa contro Hitler (Pio XII, il piano segreto anti-Hitler, «La Stampa», 11/2/20) al Pio XII come grande salvatore di ebrei (Vaticano, oltre 6 mila ebrei a Roma si salvarono grazie all’azione di Pio XII, «Il Messaggero», 28/1/20), al piano segreto del Duce di bloccare l’elezione di Pacelli al conclave (Così Mussolini tentò di fermare papa Pacelli, «La Repubblica», 30/1/20).

Sono tutte cose ingannevoli se non totalmente false.

Dall’America, vediamo la promozione di papa Pacelli a santo come uno sforzo della fazione di destra della Chiesa, una fazione che intende esaltare l’ultimo papa prima del Secondo Concilio Vaticano e che risulta essere poco favorevole al pontefice attuale, papa Francesco.

Quindi la circostanza che in Italia questa campagna sembri così diffusa nella stampa mainstream, se non addirittura di sinistra, mi colpisce.

 

Il fatto che la selezione di documenti pubblicati negli ADSS – unica fonte accessibile prima del 2 marzo di quest’anno per la documentazione della Santa Sede del pontificato pacelliano – fosse stata estrapolata dal contesto e che le carte dovessero essere prima o poi verificate in originale, non è una novità. Dopo la pubblicazione di quei volumi, la comunità degli storici iniziò a richiedere in maniera ancora più pressante di prima l’apertura degli archivi vaticani, proprio per poter fare i dovuti controlli.

Ha avuto modo di riscontrare discrepanze tra i documenti pubblicati e quelli ora accessibili, sebbene nel poco tempo avuto a disposizione?

Non credo che sarebbe responsabile offrire un giudizio basato solo su una settimana negli archivi vaticani. Ovviamente, ci sono due “teorie” opposte sulla selezione dei documenti fatta dal gruppo di gesuiti molti decenni fa. Ci sono quelli che dicono che, almeno per quanto riguarda la problematica del silenzio del papa durante la Shoah, siano stati pubblicati tutti i documenti presenti. E poi ci sono gli scettici che hanno il sospetto che esistano altri documenti imbarazzanti per la causa di beatificazione di Pio XII e che questi siano stati intenzionalmente lasciati fuori dalla selezione e pubblicazione. E il discorso è ancora più complicato perché molto spesso questi documenti vaticani presentano commenti e annotazioni redatti a mano nel margine: sono le postille, le correzioni, le cancellature, le interpolazioni ad essere fondamentali per la comprensione del testo e del contesto all’interno del quale è stato prodotto. Nei documenti editi negli Actes et documents, abbiamo molti di questi commenti. Ma li abbiamo tutti? E oltre a tutti i dubbi che riguardano problemi di selezione, bisogna avere bene a mente che gli studiosi gesuiti si trovarono a dover fare questo spoglio prima che gli archivi fossero ordinati e inventariati. Quindi, anche volendo presupporre la loro buona fede e buona volontà, è certamente possibile che ci siano documenti importanti che non siano stati in grado di individuare.

Quando però si sentono storici affermati sostenere che, data la pubblicazione da parte del Vaticano di tutti questi volumi, non ci saranno novità importanti negli archivi appena aperti, bisogna avere presente che il compito che avevano i quattro gesuiti responsabili del progetto di ADSS, era principalmente quello di confutare l’accusa del silenzio del papa nel contesto della Shoah. Ma ci sono molte altre domande da sciogliere, legate all’azione del papa e del Vaticano durante la guerra, come la questione che mi interessa in modo particolare, cioè quella dei rapporti che la Santa Sede manteneva con il regime fascista, un aspetto che viene compreso nell’ambito del lavoro dei citati ADSS solo in maniera molto marginale.

 

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David Kertzer nel suo studio in Maine

Nei giorni in cui è stato in Italia e si è concentrato sui nuovi fondi vaticani, ha avuto modo di verificare la documentazione depositata in Archivio Apostolico Vaticano? Cosa pensa di quei documenti? Sono emersi novità interessanti nel corso della sua (pur breve) ricognizione?

Preferisco non citare documenti che ho trovato nella prima settimana di apertura dell’Archivio Apostolico Vaticano, sebbene io abbia raccolto informazioni che aprono, credo, nuove strade di indagine: darne conto ora, però, senza poter approfondire lo studio di quelle carte, sarebbe troppo sensazionalistico. Va detto comunque che ci sono aspetti molto positivi per gli studiosi nel modo nel quale sono stati organizzati i fondi. Come si sa, non esiste in Archivio Apostolico un inventario elettronico complessivo e neanche un inventario cartaceo generale. Per ogni fondo archivistico, esiste un relativo inventario esclusivamente a stampa, sebbene ora ne sia stato digitalizzato un certo numero in forma elettronica. Per quello che ho visto in quella prima settimana, leggendo una decina di questi nuovi inventari, si tratta di lavori molto analitici e ricchi di dettagli e questo facilita molto il lavoro di ricerca. Il problema pratico è che c’è un limite di solo tre unità archivistiche che si possono chiedere nella mattina e solo altre due nel pomeriggio. Per certi fondi, però, un’unità può consistere in una pratica di una o due pagine. Con la grande mole di materiale, quindi, il lavoro lì non è proficuo e può essere molto lungo (e anche molto costoso dato che si può arrivare a pagare anche dieci euro per far copiare una pagina). In questo senso, l’archivio della Segreteria di Stato-Sezione per i rapporti con gli Stati è organizzato in maniera migliore e più funzionale.

 

In un recente articolo pubblicato sul quotidiano americano on line «The Atlantic» lei ha polemizzato con la politica di apertura degli archivi vaticani per il periodo di Pio XII, sollevando una questione di non poco conto: infatti, oltre agli archivi della Santa Sede (come appunto i già citati Archivio Apostolico Vaticano e Archivio Storico della Segreteria di Stato-Sezione Rapporti con gli Stati) ha evidenziato che mancano all’appello archivi fondamentali per la comprensione del periodo in esame e per le problematiche sollevate dalla storiografia degli ultimi trenta anni.

Cosa può dire in proposito?

Quando ho sentito la dichiarazione di papa Francesco, un anno fa, nella quale annunciava l’apertura degli archivi vaticani per il papato di Pio XII per il 2 marzo 2020, sottolineando quanto fosse importante studiarlo in modo serio, pensavo – come conseguenza diretta di quelle parole – che sarebbero stati aperti tutti gli archivi ecclesiastici per quelli anni. Ma poi non è stato così.

Se vogliamo comprendere l’azione della Chiesa sotto Pio XII, l’apertura degli archivi vaticani non è sufficiente. Oltre agli archivi degli ordini religiosi— e, in questo ambito, l’Archivio dell’ordine dei Gesuiti risulterebbe semplicemente fondamentale — mancano all’appello altri archivi, anche a Roma, molto importanti. Qui ho in mente in particolare l’archivio storico del Vicariato di Roma e l’archivio di «Civiltà Cattolica». Ma finora non ho sentito una sola parola dall’uno o dall’altro sui rispettivi progetti di apertura agli studiosi.

Spero che si possano adeguare nel prossimo futuro alla normativa della Santa Sede.

 

Quale possa essere l’importanza di accedere alle carte dell’archivio di «Civiltà Cattolica» è chiaro e infatti molti studiosi fremono per l’apertura alla consultazione delle carte del periodo pacelliano di questo archivio in particolare.

Ma in generale, può dirci quale era l’atteggiamento della stampa di area cattolica rispetto a temi quali l’ingresso in guerra dell’Italia e la politica razzista del regime fascista?

Quello che mi colpisce quando sono in Italia è l’impressione che ancora oggi agli italiani convenga cercare di alimentare l’immagine del proprio paese in guerra al fianco degli alleati e in opposizione agli odiati nazisti e a Hitler. È difficile non vedere il contrasto, per esempio, fra la presenza di moltissimi Istituti per la Storia della Resistenza e la quasi totale assenza su tutto il territorio nazionale di Istituti per la Storia del Fascismo. Quindi il problema che hanno il Vaticano e la Chiesa nell’affrontare la propria responsabilità per i legami con il fascismo e per il ruolo svolto dall’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, fa parte di questa problematica più ampia.

Per quanto riguarda la stampa cattolica, poi, sarebbe sufficiente anche solo leggere i quotidiani principali dell’epoca per verificare almeno due aspetti: che i rispettivi direttori, nei corsivi pubblicati sulle prime pagine, continuavano a promuovere la guerra dell’Asse come una crociata cristiana, sicuramente fino al momento del crollo di Mussolini nel luglio del 1943; e che venivano citate anche le parole del pontefice per promuovere la guerra.

Ma questa è una storia che ancora rimane da raccontare.

 

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David I. Kertzer durante la presentazione del suo libro The Pope and Mussolini. (2014).

Nel citato articolo su «The Atlantic» ha avuto modo anche di contestare la tesi che gli apparati fascisti cercarono di intervenire per impedire l’elezione di Eugenio Pacelli nel conclave del 1939, come invece emergerebbe almeno da un nuovo studio condotto sulle carte vaticane relative al periodo. Cosa può dirci in proposito?

Sappiamo che è vero esattamente il contrario. Abbiamo la corrispondenza (anche in parte edita e quindi facilmente consultabile) fra l’ambasciatore italiano alla Santa Sede, Bonifacio Pignatti, e Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri italiano, e anche la corrispondenza fra Diego von Bergen, l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, e Joachim von Ribbentrop, Ministro degli Esteri a Berlino, nei giorni che intercorsero fra la morte di Pio XI e il conclave: da questi documenti risulta la prova certa che entrambi i ministri lavoravano attivamente per convincere i cardinali a far eleggere Pacelli.

 

Ritiene che il processo di canonizzazione di papa Pacelli subirà un rallentamento alla luce di quanto sta gradualmente emergendo dagli archivi vaticani?

Francamente non lo so. Sembra che quanti vogliano fare di Pio XII un santo non siano disposti a giudicare in modo aperto tutte le nuove prove, dato che negano anche l’esistenza dei documenti scomodi che sono invece già disponibili in abbondanza. Piuttosto che analizzare e studiare tutto ciò che emerge dalle varie ricerche, preferiscono ripetere il medesimo mantra da anni: il papa ha salvato milioni di ebrei, il papa faceva parte di una cospirazione (o anche tre!) per uccidere Hitler, e così via…. Però, è possibile che le pubblicazioni che emergeranno dalle nuove ricerche possano rendere politicamente difficile al Vaticano continuare a percorrere la strada del processo di canonizzazione.

Ma staremo a vedere.

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