Intervento sulla World History


Abstract: L'articolo illustra alcune caratteristiche della new World History e ne esamina le potenzialità ai fini di una narrazione storica capace di varcare i limiti dell'eurocentrismo e di contribuire a una ricostruzione innovativa della stessa storia europea dell'età moderna. L'autore si interroga poi a proposito delle ragioni che hanno reso difficile – fino a questo momento – la partecipazione della storiografia italiana alla new World History. Egli suggerisce, infine, che anche la storia italiana può essere proficuamente tematizzata in una prospettiva globale.

Diversamente dalla classica Storia universale (Weltgeschichte), praticata da una parte
della storiografia occidentale tra l’Ottocento e i decenni iniziali del Novecento, la moderna
World History non nutre (quanto meno nelle sue elaborazioni più coerenti e più aderenti ai
postulati metodologici che la caratterizzano in direzione anticonvenzionale) pretese
universalistiche. Alla propria impostazione largamente eurocentrica la prima coniugava
presupposti di carattere fortemente teleologico, da un lato proponendosi come una filosofia
della storia tesa a enucleare le leggi generali del divenire storico, dall’altro rivelandosi, al
tempo stesso, immancabilmente propensa a individuarne il filo rosso nel processo di
espansione occidentale sulla superficie del globo. Alla seconda è invece sostanzialmente
estranea quella vocazione onnicomprensiva, che ispirava invece, ancora tra gli anni ’30 e gli
anni ’50 del Novecento, un autore come Arnold J. Toynbee, nei dodici volumi del suo A study
of History.

L’odierna World History, la cui data di nascita possiamo per comodità fissare al 1982,
l’anno di fondazione della World History Association, non è, dunque una Master narrative e
di quest’ultima respinge, in linea di principio, le gerarchie analitiche: in primo luogo
l’eurocentrismo/occidentalismo; ma non solo, dal momento che, più in generale, essa
polemizza con qualsiasi forma di etnocentrismo. E tuttavia essa si applica alla messa a fuoco
di fenomeni, le cui dinamiche si dispiegano su vasti spazi (talvolta, ma non sempre, spazi
transcontinentali), cercando di evidenziarne il carattere fondamentalmente policentrico e
“negoziato”; di mettere, pertanto, in luce la plurità di agencies alternative che contribuiscono
a determinarli. In tal senso, tende a presentarsi come una storia di contatti e di connessioni,
prevalentemente basata sulla valorizzazione degli impulsi e delle iniziative extra-occidentali,
di cui riconosce tanto l’autonoma rilevanza, quanto la capacità di dialogare e interagire
reciprocamente, a prescindere da quella sorta di obbligatorietà della mediazione occidentale,
alla quale ci viene quasi istintivamente di pensare quando, nel solco di un’attitudine mentale
irriflessa, identifichiamo la storia dell’Occidente e della sua espansione come la storia tout
court. In tal senso, spesso per la storiografia tradizionale i fenomeni storici che hanno avuto
luogo fuori dall’Europa meritano attenzione solo se derivano da una iniziativa occidentale; il
che comporta che generalmente se ne ignorino tanto i dinamismi endogeni quanto le
irradiazioni autonome all’esterno. In realtà molte civiltà dell’Asia e dell’Africa hanno
sviluppato correnti di scambio reciproche, talvolta plurilaterali, molto intense “Before the
European Egemony”, come recita il titolo di un famoso libro di Abu Lughod

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