Benedetto Croce e Gioacchino Volpe nella diaspora della cultura liberale italiana durante il fascismo

Benedetto Croce e Gioacchino Volpe nella diaspora della cultura liberale italiana durante il fascismo


Benedetto Croce e Gioacchino Volpe nella diaspora della cultura liberale italiana durante il fascismo
Abstract:

Eugenio Di Rienzo, con costanza ed energia invidiabili, continua nel suo lodevole ventennale impegno di studiare e ripensare due grandi protagonisti della cultura e della storiografia italiane del Novecento, Benedetto Croce e Gioacchino Volpe, ai quali ha dedicato alcuni importanti volumi (ricordiamo solo: Un dopoguerra storiografico. Storici italiani tra guerra civile e Repubblica, Le Lettere, 2004; La storia e l’azione. Vita politica di Gioacchino Volpe, Le Lettere, 2008; Benedetto Croce. Gli anni dello scontento 1943-1948, Rubbettino, 2019; Benedetto Croce. Gli anni del fascismo, Rubbettino, 2020) che hanno avuto il merito di rilanciare l’attenzione e la discussione sul pensatore napoletano e sull’autore di Italia moderna.

Nel nuovo volume “La storia ci unisce e la realtà politica ci divide, un poco”. Lettere di Gioacchino Volpe a Benedetto Croce 1900-1927 (Roma, Società editrice Dante Alighieri, 2021), che raccoglie una serie di lettere che Volpe inviò a Croce fra il 1900 e il 1927, introdotte da un lungo saggio, Di Rienzo affronta il tema del rapporto fra lo storico abruzzese e Croce, le sue origini, il suo sviluppo e la sua fine. Di Rienzo ritiene giustamente il rapporto fra Volpe e Croce un aspetto importante non solo della storia della storiografia italiana, ma anche della vita culturale del nostro Paese nella prima metà del Novecento. Il carteggio ci permette di capirne il perché.

Fra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, nel suo generale sforzo di ripensare molteplici aspetti della cultura italiana, Croce, insieme a Gentile, rifletté in maniera profonda, critica e costruttiva sul materialismo dialettico marxista divulgato in Italia da Antonio Labriola, una riflessione che ebbe un impatto fortissimo sulla storiografia italiana dell’epoca. La riflessione filosofica e metodologica di Croce – fondata su una visione della realtà storica che non negava l’importanza degli aspetti sociali ed economici nella ricostruzione del passato ma sottolineava l’esigenza di perseguire analisi che mettessero al centro i valori spirituali e culturali che guidavano l’azione degli esseri umani nel loro agire – ispirò molti storici italiani incoraggiandoli a cercare di fondere la tradizione umanistica e il pensiero hegeliano con la cultura positivista e materialista alla ricerca di una nuova, creativa e superiore, metodologia storiografica, maggiormente articolata e capace di cogliere la complessità del reale, umana e sociale.

È quello che fece soprattutto Gioacchino Volpe, con i suoi studi medievalistici e poi contemporaneistici, dalla prima opera giovanile Studi sulle Istituzioni comunali a Pisa. Città e contado, Consoli e Podestà nei secoli XII-XIII (1902), ai tanti saggi raccolti in Medio Evo italiano (1923) e Momenti di storia italiana (Firenze, 1925) alla grande opera di sintesi Il Medioevo (1926) a L’Italia in cammino: l’ultimo cinquantennio (1927) Il carteggio mostra l’attenzione con cui il giovane Volpe seguì l’opera e l’azione di Croce. Fin dal 1903, in una delle prime lettere a Croce, Volpe riconobbe l’importanza del contributo del direttore de «La Critica» al rinnovamento culturale italiano scrivendogli che «non si potrà mai abbastanza lodare il proposito di risvegliare in Italia gli studi filosofici che soli danno la possibilità di rinvigorire tutta la nostra produzione scientifica, che danno l’abitudine e l’attitudine di concepire largamente le cose, nel loro giusto valore, perché non staccate dall’insieme». Lo storico abruzzese, amico personale di Gentile e grande ammiratore della «bella, efficace azione eccitatrice» sulle menti e sugli studi che Croce conduceva, iniziò in quegli anni a collaborare a «La Critica» con recensioni e saggi, suscitando consenso ed entusiasmo nel filosofo napoletano.

La lettura del carteggio consente di seguire lo svolgersi della collaborazione di Volpe alla rivista edita da Laterza e l’importanza che aveva per il giovane e ambizioso storico abruzzese, desideroso di conquistare una cattedra universitaria e di emergere nel mondo politico e culturale italiano, il rapporto con Croce e Gentile. Come sottolinea Di Rienzo, è con la Prima guerra mondiale che la sintonia politica e ideologica fra Volpe e Croce, fondata sulla volontà di rinnovare il liberalismo italiano e la cultura del nostro Paese, comincia a venire meno. Volpe, come Gentile, è un entusiasta interventista e vede nella guerra il mezzo per la costruzione di un’Italia più grande e più forte, mentre Croce teme che il conflitto bellico provochi lo sconvolgimento dell’Europa, il venir meno degli istituti liberali e l’inizio di una feroce guerra fratricida.

I dissensi del tempo bellico sembrano temporaneamente essere superati nel primo dopoguerra, con Volpe che sostiene l’operato di Croce ministro del governo Giolitti come riformatore della scuola e dell’Università, ma finiscono per poi aggravarsi con l’affermazione del movimento fascista e la sua conquista del potere. Deluso dall’esito politico della guerra per l’Italia e critico verso la crescente debolezza della classe dirigente liberale, Volpe, che vive e lavora a Milano, e aderisce con entusiasmo al fascismo, che lo porterà al Parlamento nel 1924 come deputato.

In quegli anni vari importanti intellettuali liberali, Volpe, Gentile, Arrigo Solmi interpretarono l’avvento del fascismo come un processo inevitabile e positivo di modernizzazione e trasformazione dello Stato italiano dopo la Grande Guerra, che lo avrebbe reso capace di affrontare la competizione imperialistica internazionale e soddisfare le ambizioni espansionistiche dell’Italia. Per un Paese povero di materie prime e di ricchezze naturali come il nostro Paese, soggetto a rischi di disordini sociali interni, le istituzioni liberali e pluraliste erano – proclamavano i liberali convertitisi al nazionalismo fascista – un lusso che non ci si poteva più permettere se si voleva che lo Stato sorto nel 1861 diventasse una grande e prospera Potenza imperiale.

Per liberali come Croce, Albertini, Casati, invece, agli inizi del 1925, fu chiaro che l’autoritarismo fascista provocava una regressione della vita politica e culturale italiana, tradendo i benefici delle conquiste civili risorgimentali e riportando il nostro Paese a sistemi di governo e di convivenza politico-sociale primitivi e retrogradi, analoghi come scrisse Giustino Fortunato a quelli di «un qualunque Statarello balcanico». Croce, dopo aver sperato inizialmente che il fascismo fosse uno strumento temporaneo di restaurazione dell’ordine sociale e politico dell’Italia dominata dai liberali, di fronte all’emergere dell’egemonia fascista assume posizioni di sempre più intransigente opposizione a Mussolini, che lo avrebbero ben presto trasformato in uno degli uomini simboli dell’antifascismo. Da qui la successiva forte contrapposizione fra Volpe e Croce, esponenti di due mondi politici e culturali ormai contrapposti.

Di fatto lo scontro fra liberali aderenti al fascismo e liberali antifascisti dopo il 1925 divenne inevitabile ed ebbe la drastica conseguenza di stravolgere il liberalismo italiano riducendolo definitivamente in forza minoritaria nella società italiana. Il carteggio con Croce mostra chiaramente l’ingenuità di Volpe nel pensare che, nonostante la durezza dello scontro politico e ideologico in atto nella società italiana di quegli anni, fosse possibile preservare amicizie e collaborazioni in un mondo culturale liberale ormai spaccato fra fascisti e antifascisti. Giustamente nota Di Rienzo che «la rottura fu, in buona sostanza, solo di carattere politico, anche se proprio Croce fece del tutto per farla passare per un dissidio, che interessava due diverse concezioni storiografiche, svalutando, con poca generosità, la produzione dell’amico ora divenuto un avversario, da distruggere anche sul piano intellettuale e morale».

La storiografia di Volpe, comunque, anche negli anni fra le due guerre rimase qualcosa di più complesso e raffinato rispetto alle sue prese di posizione politiche fasciste. Come De Felice e Di Rienzo hanno ricordato, Volpe, pur divenendo un importante esponente dell’establishment dell’Italia fascista, si trovò presto a disagio con molti aspetti del regime mussoliniano, in primis con la sua spinta al conformismo culturale e politico e al controllo totalizzante della società italiana. Uno dei grandi meriti di Volpe negli anni del fascismo fu il suo impegno a cercare di preservare uno spazio per la libertà di ricerca e di pensiero nella storiografia italiana, formando e aiutando una generazione di giovani storici che sarebbero poi stati protagonisti della vita culturale dell’Italia postfascista, dagli allievi di Gaetano Salvemini, Federico Chabod e Ernesto Sestan, a Franco Valsecchi, Luigi Dal Pane, Mario Toscano, Ruggero Moscati, Giorgio Candeloro, Walter Maturi, Rosario Romeo e tanti altri.

Vale la pena di sottolineare, tuttavia, che lo scontro politico fra Croce e Volpe fu un episodio di un processo più grave e generale, quale fu la crisi del liberalismo italiano.

La rottura fra Croce e Volpe, così come la frattura fra il filosofo napoletano e Giovanni Gentile, fu uno dei momenti più significativi della disintegrazione della cultura liberale nel corso degli anni Venti, che si spaccò di fronte al problema dell’atteggiamento da tenere di fronte alla trasformazione del governo Mussolini in una dittatura autoritaria ispirata all’ideologia del nazionalismo fascista.

Nel 1926-1927 non si ruppe solo l’amicizia fra Benedetto Croce e Gioacchino Volpe, ma entrò in crisi pure l’intera cultura liberale nazionale italiana. Lo scontro fra fascismo e antifascismo provocò inevitabilmente la frantumazione di antichi rapporti e collaborazioni, aggravandosi in profonda spaccatura culturale e ideologica, che avrebbe avuto un impatto duraturo e profondo. Libertà e Nazione, i due valori animatori del liberalismo italiano dagli anni di Santorre di Santarosa, Cesare Balbo, Ciro Menotti e Cavour fino alla Prima guerra mondiale, dopo l’avvento virulento del fascismo tendevano a essere separati e contrapposti in letture divisive e spesso strumentali della storia italiana, letture motivate da nuove scelte ideali, ragioni politiche contingenti o ambizioni personali. In quegli anni decisivi, sorgevano nuove contrapposizioni ideologiche nella cultura italiana, che non sarebbero state superate per molti decenni e di cui, come ci ha ricordato Rosario Romeo in alcune sue pagine magistrali, vediamo le conseguenze, spesso negative, ancora oggi.