Studi domenicani sull’ Inquisizione: un percorso di passione. A proposito di «I Domenicani e l’Inquisizione romana», Istituto storico domenicano, 2008



Abstract: Si incontrano a volte degli snodi temporali che invitano a rivolgere il nostro sguardo indietro, a tentare dei bilanci. Possiamo così volentieri guardare alla lunga stagione di studi che ha visto coinvolti quanti si sono occupati e si occupano ancora dell'Inquisizione. Il convegno romano che si è tenuto in occasione dei dieci anni dall'apertura degli archivi delle Congregazioni del Sant'Officio e dell'Indice, pur mancando di alcune voci, ha mostrato quanta sia ancora la ricchezza, e l'attualità, di questo settore di studi, la densità di esiti metodologici e di implicazioni culturali, fino agli inevitabili risvolti attualizzanti.

Si incontrano a volte degli snodi temporali che invitano a rivolgere il nostro sguardo indietro, a tentare dei bilanci. Possiamo così volentieri guardare alla lunga stagione di studi che ha visto coinvolti quanti si sono occupati e si occupano ancora dell’Inquisizione. Il convegno romano che si è tenuto in occasione dei dieci anni dall’apertura degli archivi delle Congregazioni del Sant’Officio e dell’Indice, pur mancando di alcune voci, ha mostrato quanta sia ancora la ricchezza, e l’attualità, di questo settore di studi, la densità di esiti metodologici e di implicazioni culturali, fino agli inevitabili risvolti attualizzanti.

Il cammino percorso ha visto passare gli studiosi dall’interesse per la dolorosa ed intensa storia dei cosiddetti eretici, dei dissenzienti dall’ortodossia cattolica, ad una più ricca e complessa prospettiva di studio su quello che appariva solo come un mero apparato, oppure come una necessaria barriera a protezione di un Chiesa vissuta come in pericolo, assediata. Per chi l’ha vissuto è stato un percorso appassionante di lunghi anni ormai di confronto e di scontro, con voci diversificate unite da un costume di rigore, di rispetto e di autentica passione. Dopo i primi tentativi legati alla figura di Armando Saitta, intorno ad un maestro come Adriano Prosperi tanti ricercatori hanno trovato un prezioso riferimento ed uno stimolo. Con il suo magistero, anche per chi non ha potuto beneficiarne direttamente e continuativamente come gli allievi pisani, molti hanno trovato una nuova ragione per affrontare la fatica di una ricerca puntuale e difficile, ma coinvolgente al punto da attirare inestricabilmente nel quotidiano puntiglioso vaglio delle fonti, nell’entusiasmante gioco interpretativo, con mille domande sempre nuove. Una stagione dunque di studi appassionati, che si sono arricchiti anche grazie all’intreccio con le contemporanee proposte promosse da grandi personalità come Carlo Ginzburg, Paolo Prodi e Massimo Firpo. Ad ognuno si deve una preziosa tessera nel mosaico che ha fatto da sostegno al comune lavoro, che non è affatto concluso, come qualcuno può aver pensato, perché per chi lavora con diuturna costanza a contatto con le fonti la scoperta è continua e continuo è l’affollarsi di suggestioni e interrogativi problematici.

In questo contesto ripetutamente si poneva agli studiosi il problema degli archivi, della loro apertura e disponibilità, per soddisfare la giusta necessità di una sistematica analisi delle fonti documentarie, per cui la decisione vaticana fu salutata da un giusto plauso, mostrando una nuova disponibilità dell’istituzione ecclesiastica a discutere almeno in parte un passato difficile. Va ricordato poi che, in un’epoca che consuma rapidamente i propri modelli e in un contesto storiografico non sempre facile, il parlare di Inquisizione, il discuterne, sembra talora accompagnarsi ad un clima di diffidente presa di distanza. Si sente talora un’accusa di voler ripetere cose ormai note, non più meritevoli di attenzione, nonché di risorse, accusa che si lega facilmente al sospetto di agitare un tema ideologicamente segnato.

In realtà dopo tanti anni di lavoro in questo settore di studi questo modo di guardare al tema inquisitoriale appare profondamente fuorviante. L’ormai decennale esperienza che lega i tanti studiosi, tra cui sono sempre presenti parecchi giovani, che si ritrovano negli annuali seminari pisani a discutere di Inquisizione, insegna quanto questo settore di studi possa essere ancora fertile di dibattiti e di rinnovati approcci. Discussioni calde e provocatorie, intrecci di informazioni, vivificano costantemente questo ambito, che non mostra affatto la fatica degli anni, coinvolgendo anche chi è meno legato a questo gruppo di lavoro, anche chi si pone su posizioni più apertamente polemiche. Dall’alveo centrale della tematica inquisitoriale si sono infatti dipanati percorsi variegati, mille rivoli sono scaturiti, concorrendo con altri a creare le basi per molteplici sviluppi possibili.

Dalla storia degli eretici e delle chiese, che ha sempre affascinato i ricercatori, grazie ad un serrato confronto metodologico, l’attenzione si è appuntata anche su quella dei giudici, dell’istituzione che aveva presieduto all’opera di repressione e che aveva anche generato e conservato gran parte della documentazione a noi pervenuta. Dibattiti che hanno avuto un importante riferimento metodologico nell’opera di Adriano Prosperi (Tribunali della coscienza: inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996), alimentandosi grazie agli incontri annuali di tanti studiosi, giovani e non, impegnati su questo fronte degli studi e grazie a vari convegni, spesso connotati da una vivace ricerca di confronto.

Una ricerca in perenne tensione tra un approccio quantitativo, che ha consentito interessanti e innovative operazioni di schedatura e di confronto, ad uno qualitativo, seguendo singole figure, comparando le biografie e le tracce documentarie. Questo filone di studi è andato quindi rapidamente e necessariamente a complicarsi nel tempo. Si è molto lavorato in un’ottica di storia del diritto, e ricordo qui l’amico Mario Sbriccoli (Ordo iuris, storia e forme dell’esperienza giuridica, Milano, Giuffrè, 2003), approfondendo le diverse problematiche del tribunale, e l’evoluzione delle stesse, della teoria giuridica, e il consolidarsi della prassi, le strutture dei processi e delle fasi processuali, come pure il definirsi delle tipologie di reato. Come pure importantissimo è stato l’apporto di quanti hanno analizzato la storia dei manuali ed il loro utilizzo. Il rapporto tra centro e periferie è stato scandagliato con esiti quanto mai interessanti, che offrono ancora sempre nuove prospettive, rompendo schemi interpretativi che si credevano consolidati. Un tribunale non più semplificato e monolitico, alle volte contraddittorio, dove si bilanciano strategie e culture diverse, con scelte non sempre lineari e con un rapporto ancora da approfondire con le sue diverse anime, con la forte dialettica con i diversi equilibri politici, con un rapporto non sempre facile con le altre congregazioni, con un’interazione con le sedi locali e con gli ordinari ricca di sfumature e di variabili da affrontare con un’attenta analisi documentaria.

Proprio gli archivi, i fondi documentari, sono stati una delle prime emergenze affrontate e dibattute. Solo una puntuale analisi delle fonti infatti poteva essere un valido punto di partenza per intraprendere con paziente acribia l’analisi di un fenomeno di tale portata. Su questo fronte è stato fatto un lavoro davvero importante, dall’Archivio diocesano di Napoli, grazie a Giovanni Romeo, autore di importanti studi e abile indagatore, a quello arcivescovile di Udine, ultimo frutto delle fatiche di Andrea Del Col, solo per ricordare due esempi tra i molti, raccomandabili per sistematicità e completezza. La storia degli archivi inquisitoriali è stata al centro dell’attenzione, facendo incontrare storici ed archivisti in un vitale confronto metodologico e operativo, mentre si aprivano le porte dell’Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, con un’operazione non facile ma ricca di significato. Dietro questo esempio anche altre collaborazioni sono nate o si sono rafforzate, mentre alcuni coltivavano invano il sogno di poter scoprire finalmente l’archivio del Maestro del Sacro Palazzo.

Proprio l’attento lavoro sulla documentazione rimasta, condotto con criteri discussi e via via raffinati, ha dato frutti quanto mai importanti, illuminando sui metodi seguiti dai giudici per operare registrare, sui rapporti interni, sulla costruzione e gestione degli archivi. Sempre su questo fronte deve essere ricordata la fervida stagione, ricca di entusiasmo, nella quale ci si aprì al concetto di fascicolo virtuale e ai nuovi metodi analisi informatizzata. Può sembrare oggi qualcosa di scontato, di troppo sentito, ma la passione di allora ha coinvolto tanti, anche con dibattiti alquanto vivaci, ma non è stata solo una lontana kermesse di giovani storici, perché è una strada faticosa che va ogni giorno ritrovata e rivissuta, nella consapevolezza che il duro lavoro di scavo archivistico viene visto talora con fastidio, risultando accademicamente più fruttuoso un diverso percorso, squisitamente interpretativo e per grandi temi. La solida disciplina delle fonti è invece un pane straordinario per ogni studioso, specie se deve affrontare temi tanti delicati come quelli legati all’Inquisizione, fin troppo occupata da tensioni e ideologie.

Tra le congregazioni “sorelle”, che hanno avuto vari rapporti di collaborazione o di confronto con quella del Sant’Uffizio, viene prima di tutte quella dell’Indice, strettamente legata, talora intersecata. La ricerca in questo settore ha conosciuto ugualmente una fervida stagione, con nomi quali quelli di J.M. De Bujanda (Index librorum prohibitorum, 1600-1966, Geneve, Librairie Droz, c2002) e di Gigliola Fragnito (Proibito capire. La Chiesa e il volgare nella prima età moderna, Bologna, Il Mulino, 2005), fino al grande progetto del prof. Hubert Wolf (Römische Inquisition und Indexkongregation. Grundlagenforschung 1701-1813, 5 Bände, Paderborn, Ferdinand Schöningh Verlag, 2009 und 2010), che con i suoi collaboratori sta già fornendo agli studiosi dei preziosi strumenti di indagine. Un settore questo quanto mai delicato dove l’analisi dei metodi di repressione e di controllo si coniuga con la più ampia prospettiva sulla storia culturale in genere, sulla formazione delle biblioteche e sul mercato librario.

Naturalmente l’attenzione prima ricordata verso i tribunali, verso i giudici, non ha comportato mai l’abbandono della ricerca sugli inquisiti, sulla storia del dissenso religioso, meglio analizzati proprio alla luce delle esperienze che si andavano facendo nei settori già ricordati. Molto intenso, ad esempio, è stato lo studio sui processi legati ad accuse di magia e di stregoneria, su come vennero gestiti e interpretati, sulla politica romana nei confronti di quanti si impegnavano nella repressione, sull’interazione suggestiva tra giudice e imputato. Ma ancora si può e si deve aggiungere il vasto campo di indagine legato alla repressione antiebraica, che si lega altresì allo studio delle strategie di conversione, al controllo dei convertiti, potenziali sospetti di doppiezza nicodemitica. Un ottimo esempio di analisi sul tema delle conversioni, dall’Islam e dalla Riforma, è stato pubblicato di recente, unendo efficacemente i due approcci necessari, l’edizione delle fonti e un approfondito studio critico, ad opera di Giuseppina Minchella («Porre un soldato all’Inquisitione». L’intervento del Sant’Ufficio nella fortezza veneziana di Palmanova. 1595-1669, Trieste, EUT, 2009).

Per comprendere le diverse strategie pastorali messe in atto per la difesa della fede, per il contrasto al dissenso, gli archivi inquisitoriali hanno guidato gli studiosi ad analisi più attente ai sistemi di predicazione e di catechesi, alle direttive in materia sacramentale. Lo studio sulla confessione, e penso qui, ad esempio, al lavoro di Giovanni Romeo (Ricerche su confessione dei peccati e Inquisizione nell’Italia del Cinquecento, Napoli, La Città del Sole, 1997), vista nel suo collegamento con la prassi inquisitoriale, ha consentito di illuminare meglio le metodiche repressive e l’interazione voluta tra strumenti pastorali e giudiziari, i rischi connessi all’abuso di un sacramento tanto intimo e nascosto. E’ stata approfondita anche la storia delle devozioni e uno spazio tutto particolare è stato dedicato al problema delicato della cosiddetta simulazione di santità, in particolare grazie agli studi di Anne Jacobson Schutte (Aspiring saints: pretense of holiness, inquisition, and gender in the Republic of Venice, 1618-1750, Baltimore, London, The Johns Hopkins University Press, 2001).

Tutti questi percorsi di ricerca si sono dipanati all’interno di un quadro animato dal puntuale confronto tra le diverse Inquisizioni, viste anche nel più vasto contesto degli spazi coloniali. Come pure è interessante il confronto che va istituito tra il controllo del dissenso messo in atto nei luoghi dove l’Inquisizione poteva agire e le strategie adottate negli altri paesi: equilibri politici e storie degli ordini religiosi coinvolti in prima linea in questa battaglia per l’ortodossia cattolica. Dallo studio dell’Inquisizione si sono quindi dipanati molteplici filoni di ricerca, tuttora quanto mai attivi e vivaci, nonostante le costanti difficoltà organizzative e finanziarie, con una notevole ricchezza di stimoli, di nessi interpretativi, di approcci stimolanti, che significativamente sono ben testimoniati in questo corposo volume. Un testo che è ottimamente arricchito, come negli altri della stessa serie, dai rendiconti del dibattito, grazie al paziente lavoro del curatore, dando così ben conto delle ricerche in corso.

Ma in questa sede è giusto soffermarsi per un momento ancora su una figura particolare: padre Arturo Bernal Palacios. Con i suoi collaboratori egli ha saputo leggere con singolare disponibilità e serena apertura di spirito, la ricchezza di questa stagione di studi, dialogando con ognuno. Con saggia cautela ha guidato per anni l’Istituto Storico Domenicano ad un graduale processo di apertura nei confronti dei ricercatori. Da un primo passo fatto con un convegno dedicato ad una personalità del calibro di Raymond de Peñafort, i cui atti sono stati pubblicati nel 2002, padre Bernal ha saputo guidare con abile capacità di mediazione e con chiarezza di obiettivi il suo Istituto, ottenendo la collaborazione di tanti studiosi, di diversa impostazione, e la disponibilità dei suoi superiori. Questo va sottolineato con onestà, perché è stata una svolta importantissima per un ordine la cui storia è stata tutta segnata, profondamente, dalla missione di difesa della fede. Il lavoro del direttore dell’Istituto storico domenicano è stato quindi di non poco stimolo per tanti studiosi, ma altresì per una presa di coscienza del suo ordine, che ha guidato con saggia gradualità a confrontarsi senza troppo timore nello specchio critico della storia, sfida che i vertici domenicani hanno saputo affrontare, consentendo l’organizzazione di importanti convegni internazionali con cadenza biennale.

Queste note appaiono dovute quando si voglia presentare il volume dedicato a I Domenicani e l’Inquisizione romana (Praedicatores, Inquisitores. III. I Domenicani e l’Inquisizione romana, Atti del III seminario internazionale su “I Domenicani e l’Inquisizione” (Roma, 15-18 febbraio 2006), Roma, Istituto Storico Domenicano, 2008), che rappresenta quasi un primo bilancio del cammino intrapreso da tanti amici ed insieme un forte rilancio per un cammino futuro. C’è un innegabile imbarazzo in chi presenta in questa sede un testo cui ha collaborato, può essere un’occasione però per misurare anche la distanza rispetto al momento delle conclusioni, problema comune a tutti gli atti dei convegni degli ambiti umanisti.

Lungo il percorso disegnato fin dai primi convegni, dagli inizi dedicati ai primi giuristi medievali si è passati via via ad analisi sempre più ampie fino a questo volume, che si presenta quanto mai ricco e complesso, abbracciando tematiche e confronti anche al di fuori del tema conduttore. Il volume mostra quasi esemplarmente quanto ricordato sopra, ovvero la ricca complessità delle ricerche e sta a rimarcare come solo con uno sguardo allargato si possa affrontare l’analisi di un sistema solo apparentemente più delimitato come l’Inquisizione romana. È presente così il confronto con la storiografia iberica, che è ritornato anche in questa occasione grazie a due interventi come quello di J.A. Mourão e di A.C. Da Costa Gomes, che hanno analizzato la sentenza a carico della mistica portoghese suor Maria da Visitação (A verdade da mentira: o teatro do corpo. Acerca da sentença de soror Maria da Visitação), mentre il saggio di J.I. Pulido Serrano ha affrontato un tema quanto mai delicato (Inquisitión, dominicos y jesuitas en el siglo XVII), mettendo a fuoco il difficile equilibrio, i conflitti, che segnarono nel Seicento i rapporti tra Roma e Madrid, intersecandosi con la competizione tra i due potenti ordini religiosi, mentre le relazioni tra le due inquisizioni coinvolte si complicavano e la censura libraria offriva un terreno elettivo di confronto.

In questo volume ovviamente risalta in particolare il dibattito intorno al peso che la fatica inquisitoriale ha avuto nel condizionare lo sviluppo stesso dell’ordine domenicano, fino a determinarne l’immagine. Una compagine ricca di forti personalità religiose, di intellettuali preparati e influenti, fu vista unicamente come un gruppo di duri difensori dell’ortodossia, sordi ad ogni proposta diversa, ad ogni slancio delle anime, come bene appare dallo studio di p. C. Longo (Vulpes et canes. Pubblicistica domenicana tra Riforma e Rivoluzione). Apparvero solo come caparbi oppositori di gesuiti e francescani, diffidenti verso le ragioni della mistica e della devozione mariana più audace. Non si evidenzia facilmente la loro più complessa realtà storica, che, senza negare il ruolo di controllo della fede, può far conoscere un ordine attraversato da interessanti dibattiti interni, da tensioni anche forti, che nel suo distendersi sul territorio in piccoli e grandi conventi poteva costituire un interessante elemento di promozione culturale, oltre che religiosa.

Il contributo di H.H. Schwedt (Fra giansenisti e filonapoleonici. I domenicani al S. Offizio romano e alla congregazione dell’Indice nel Settecento) mostra infatti un contesto quanto mai ricco di contraddizioni e sfumature, mettendo in luce la molteplicità di questioni anche drammatiche che segnarono quanti si trovarono ad affrontarle, in un periodo storico testimone di cruciali evoluzioni. Similarmente si muove l’intervento di mons A. Cifres (Il p. maestro Maurizio Benedetto Olivieri OP, commissario del Sant’Uffizio (1820-1845). Un “uomo dotto e molto liberale” in un periodo di crisi), che illumina una figura capace di problematizzare il compito affidatogli, allontanandosi dal tradizionale schema di pedissequa obbedienza alle direttive ecclesiastiche, mediando tra la curiosità di una mente colta e aperta e il dovere di censore. Come pure si collega quello di G. Ernst (Tommaso Campanella tra censura e autocensura. Il caso dell’Atheismus triumphatus) che indaga acutamente la tormentata vicenda del pensatore calabrese. Un caso ancora che sta nel cuore stesso della storia dell’Inquisizione, dell’ordine domenicano, ma ancor più della storia politica e culturale italiana è quello di Giordano Bruno, accanto a quello di Galilei, che non a caso ha ancora scatenato un caldo dibattito nel corso del convegno. D. Quaglioni (Il san Tommaso di Bruno) si sofferma sulla lettura di Bruno del pensiero di Tommaso sottolineando il lungo peso della tradizione tomistica, «a quella scolastica esasperata» che aveva segnato a tutto il Cinquecento sia la teologia sia la tradizione giuridica.

Intorno al cruciale compito di controllo sulla stampa si dispiegò largamente l’impegno dei padri predicatori, per cui il dibattito congressuale si è soffermato anche su questo tema, come appare del resto dai rendiconti meritoriamente inseriti dal curatore e come è stato evidenziato nel convegno durante la presentazione dell’opera realizzata da Hubert Wolf e dei suoi collaboratori. Centrale è quindi, come sempre, la relazione di J.M. De Bujanda (Los dominicos en la organización y en el ejercicio de la censura. Los dominicos en el İndice romano), che inquadra con estrema chiarezza il ruolo dell’ordine in questa impresa, come è interessante il puntuale lavoro di C. Arnold (Die Indexkongregation in der Frühphase ihres Bestehens: das Beispiel der Cajetan-Expurgation) sulle illuminanti vicende legate alla censura espurgatoria che vide coinvolta l’opera di Tommaso de Vio, detto il Caietano. Anche J.E. Franco (Una utopia católica sob suspeita: censura romana à Clavis prophetarum de António Vieira SJ) si sofferma su un caso legato all’azione di censura, problema che viene alla luce in un interessante intreccio con i problemi legati ai rapporti con l’imbarazzante ordine ignaziano e con il controllo di nuove devozioni e di spinte mistiche e profetiche, guardate tutte con profondo sospetto.

Il discorso intorno ad un ordine impegnato su fronti tanto delicati per la più generale politica religiosa di Roma riporta gli studiosi ad un tema aperto già da tempo, ovvero l’analisi delle biografie degli inquisitori, per comprendere meglio i percorsi di formazione e come si evolvessero le singole carriere. Lo studio del processo di professionalizzazione di queste figure e dell’evoluzione delle procedure è ancora una necessità vitale per comprendere sempre meglio una realtà così profondamente inserita nelle diocesi interessate e così capace di interrogare le coscienze e di modificare i comportamenti, sia dei semplici fedeli sia dello stesso clero.

Una lettura forte del ruolo dei domenicani e dei condizionamenti interni all’ordine è quella proposta da Francesco Beretta con la sua analisi incentrata sul nodo cruciale costituito dal caso Galilei (Les dominicains et le procès del Galilée ou de l’inquisition comme isntrument de promotion sociale e d’hégémonie intellectuel). Una professionalità e delle carriere costruite con accurata strategia politica implicavano il contrasto attento nei confronti di ordini concorrenti, o direttamente come nel caso dei francescani conventuali, o indirettamente come poteva avvenire nei confronti delle proposte di impostazioni suggerite spesso dai gesuiti o da altri, più orientati a favorire la via riservata del confessionale. Un confronto questo che si legava ovviamente ad un più ampio problema posto dall’imporsi a livello globale di famiglie religiose, come appunto i gesuiti o i cappuccini, capaci di conquistare uno spazio importante nella pastorale, nella direzione spirituale, nella cultura, sottraendo spazi all’antica famiglia domenicana e provocando dibattiti ideologici estremamente delicati. Proprio l’analisi vasta e puntuale intorno alla crescita professionale degli inquisitori ed ai loro percorsi di studio e di progresso nella carriera è terreno ancora di confronti anche vivaci, aprendo interessanti prospettive di studio sul più generale peso di queste famiglie religiose nei diversi territori in cui si trovavano ad agire, come agenti pastorali e culturali nello stesso tempo. In questo settore si colloca quindi la relazione di A. Errera (Le diverse tipologie di sinossi per inquisitori in età moderna, con particolare riferimento alla disciplina della difesa professionale dell’inquisito), che, proseguendo nel suo percorso di ricerca intorno alla formazione dei manuali per i giudici dell’Inquisizione, mette in luce le problematiche sollevate dalla necessità di garantire un’adeguata difesa agli imputati, questione che costrinse ad affinare le procedure ed a porsi nuovi quesiti giuridici.

In molteplici situazioni la congregazione o i vertici degli ordini potevano utilizzare diverse figure con incarichi variamente delimitati nel tempo e nell’ampiezza della delega. Il titolo di commissario permetteva infatti nella sua indeterminatezza formale di affrontare situazioni anche difficili e imbarazzanti offrendo una buona copertura giuridica a chi si trovava nella delicata necessità di intervenire o controllare al di fuori della normale giurisdizione. Mi sono così soffermata (Una coabitazione difficile. Alcune note sui rapporti tra commissari domenicani e inquisitori veneti nelle diocesi venete) sulla presenza di domenicani con il titolo di commissari, o con deleghe di simile peso, posti accanto ad inquisitori francescani, questione ancora da approfondire con ricerche a più ampio raggio. Nell’analisi sul difficile rapporto tra i due ordini cui era elettivamente affidata la missione inquisitoriale si può trovare infatti testimoniata qualcosa che sembra rimandare ad una diffidente prassi di controllo da parte dei frati predicatori nei confronti dei giudici dell’altro ordine.

Pur mancando nella stampa la relazione di Gigliola Fragnito, e solo i resoconti ci danno lo spessore del dibattito che si accese allora su questo tema, il problema degli archivi, del loro stato, dell’accessibilità e della necessità di ricostruirne la storia è ben presente grazie al puntuale quadro ad opera di Andrea Del Col (Gli archivi dispersi delle sedi inquisitoriali domenicane. I casi di Piacenza e di Parma), e all’utile intervento di padre L. Sastre Varas (Los dominicos y la inquisición romana en el AGOP).

Il saggio di M. Caffiero (Domenicani, ebrei, inquisizione. Tra predicazione forzata e censura libraria), come si vede fin dal titolo, affronta con ampiezza sia il tema della predicazione forzata che quello della paura del testo ebraico. Sono così messi in evidenza i modi retorici, gli stilemi, ma anche il ruolo avuto dai convertiti divenuti neofiti domenicani, predicatori scelti non a caso per le prediche indirizzate agli ebrei, ma anche ai già convertiti. Costume questo largamente presente a Roma, sulla cui documentazione è basata questa ricerca, ma che si poté ritrovare anche altrove, con differenze non da poco. Mentre infatti queste prediche obbligatorie non venivano svolte a Padova, non so se per il suo particolare statuto di città universitaria aperta agli studenti stranieri, si possono trovare testimoniate a Venezia nella seconda metà del Cinquecento (cfr. p. es. il mio, “Estu christian?”- “Così non ge foss’io”. A proposito di due convertiti veneziani, «Metodi e ricerche», n.s., XIII, n. 1-2, 1994, pp. 133-160). Se l’ebreo è necessario al cristianesimo, e alla società più in generale del tempo, il ruolo dei convertiti era sempre strategico per la Chiesa, come bene osserva la Caffiero. Convertiti che negli ordini mendicanti, anche in quello domenicano, potevano trovare rifugio e carriera, utili esempi della forza della fede e capaci di contrastare gli antichi compagni. L’autrice addensa molteplici stimoli nel suo intervento, rendendolo quanti mai stimolante, tesa anche a mostrare come la storia delle minoranze sia utilissima per comprendere il più ampio quadro storico, non sia un settore separato e ininfluente per chi guardi alla sola maggioranza cristiana. Interessante la notazione finale dove appare come agli inizi del Settecento potesse nascere una diversa sensibilità, come la conversione potesse essere vista da qualcuno piuttosto come un cammino di persuasione e non di imposizione. Odiato restava, ovviamente, il controllo sulla stampa, il compito di revisore dei libri ebraici, che i domenicani si trovavano a svolgere, insieme a quello di predicatore.

Con il saggio di G. Romeo (Inquisitori domenicani e streghe in Italia tra la metà del Cinquecento e i primi decenni del Seicento) viene all’attenzione un altro filone quanto mai frequentato dagli studiosi. Il fine lavoro che da anni conduce l’autore in questo particolare ambito di studio gli consente di ampliare il suo sguardo ad un’ampia e sistematica verifica di alcuni nodi problematici, primo tra tutti l’ipotetico graduale passaggio ad un costume di moderazione, di distacco dall’antica pratica persecutoria. Dalla strage avvenuta alla fine del Cinquecento nella Valtellina, quasi ignorata dalla Congregazione, pur informata, ad altri più tardi casi di persecuzione, in molti casi appare la scarsa capacità, o volontà, del centro di imporre un limite agli eccessi di alcuni inquisitori locali e di far passare in periferia le scelte più caute e moderate, inducendo a guardare con attenta cautela alla supposta progressiva vittoria delle strategie moderate della Congregazione romana. Grazie alle nuove fonti disponibili, appare, secondo lo studioso, come vada osservata di volta in volta il comportamento del singolo giudice, come gli inquisitori domenicani mostrassero approcci culturali diversi e compiessero scelte personali nella gestione dei casi, rendendo quanto mai complesso e variegato un panorama che poteva sembrare univoco e determinato.

In parte richiama questa stessa problematica la relazione di V. Lavenia (L’inquisizione del duca. I domenicani e il Sant’Uffizio in Piemonte nella prima età moderna), che osserva acutamente l’intrecciarsi della persecuzione antistregonica con gli sviluppi della situazione politica piemontese. In questo saggio l’autore costruisce un disegno ricco e complesso della situazione politica del Piemonte sabaudo e sottolinea i passaggi cruciali nei quali si veniva via via evolvendo l’atteggiamento nei confronti dell’Inquisizione. Un tribunale legato intimamente ai domenicani, mai scalzati dagli altri ordini nel loro più generale predominio su quei territori, anche grazie, come ben sottolinea l’autore, al loro radicamento locale e al fatto che accoglievano facilmente i figli delle famiglie più in vista, anche se, come altrove, molti frati erano ben lungi dal condurre una vita ispirata al rigore regolare. L’influenza gallicana e le tensioni legate ai tanti che potevano nutrire simpatie eterodosse spingevano a prospettare soluzioni che Roma ben poco poteva gradire. A questo proposito è molto ben evidenziata l’ambiguità della politica di Pio IV, con il suo consigliere Borromeo, a fronte di una personalità senz’altro difficile come quella del Ghislieri, che venne inviato come vescovo e con una larga delega proprio in Piemonte, per allontanarlo dalla Curia. Anche negli anni successivi fu difficile mantenere l’equilibrio tra il potere politico e le direttive inquisitoriali, anche a fronte della scarsità di giudici all’altezza, dovendo così Roma appoggiarsi soprattutto sull’opera dei nunzi, mentre Pio V premeva per una repressione più larga. Si trattava sul piano politico naturalmente, mentre non mancarono fino al Settecento dei casi di sanguinose persecuzioni di eretici e streghe. Grazie alla diffusa certezza che, solo riconquistando, anche con la forza, le classi dominanti si sarebbe riportato il popolo al cattolicesimo, per cui non si doveva badare ad alcun privilegio di nobiltà, non mancarono le tensioni con la corte piemontese. Inquisizione domenica e missioni di gesuiti e cappuccini furono in seguito i cardini della lotta antiereticale, con un particolare rilievo per queste ultime, che potevano accompagnarsi alla problematica delega a riconciliare anche i relapsi. La delicatissima posizione di quei confini poteva spingere a deroghe quanto mai discusse e instaurare un abito di collaborazione fra i tre ordini religiosi, molto importante a fronte dei difficili rapporti tra il potere secolare e l’istituto inquisitoriale, tensione complicata ulteriormente dai problemi causati dai persistenti legami tra i domenicani e le famiglie dominanti. Queste concessioni non cancellarono però il ricorso alla più crudele violenza, le dure condanne contro tante donne accusate di stregoneria, mettendo in luce anche in questo caso quanto fosse ambigua la politica di moderazione che sarebbe stata decisa dalla congregazione romana.

Guido Dall’Olio (Predicatori o inquisitori? Il rapporto tra domenicani e inquisizione nelle fonti bolognesi del Cinquecento) mette al centro del suo intervento alcuni quesiti nodali relativamente al rapporto tra l’Inquisizione e l’ordine domenicano, ma la questione si può allargare ad altre famiglie religiose. Se padre Longo si era interrogato sulla deformazione culturale, spirituale, prodotta sull’ordine dall’essere stato investito primariamente dalla missione di far funzionare i tribunali, l’autore si appunta su altri aspetti, tutt’altro che marginali, che attendono ancora di essere maggiormente investigati. Si chiede infatti quale fosse il contesto quotidiano, i condizionamenti, che accompagnavano il lavoro dell’inquisitore e che potevano pesare sulla sua condotta, sui padri predicatori in generale. Nell’ordine correva un’istanza profonda di rinnovamento, ma gravava un’ombra cupa su tutti, tanto da rendere difficile far convivere l’agire pastorale con la gestione della repressione antiereticale. Se molti frati riprendevano l’aspirazione alla povertà delle origini regolari, nonostante le difficoltà economiche dei tribunali, il denaro delle confische poteva sia sollevare dei malevoli sospetti sia piegare molte coscienze. Il sospetto di avidità era facilmente rivolto agli ecclesiastici in genere e ancor più poteva colpire chi ordinava gli odiosi sequestri dei beni dei condannati, ma il gusto del denaro e del potere poteva attaccare la vita dei conventi e gli spiriti più deboli. Come poteva avvenire per i predicatori, così anche per i giudici di fede si prospettava la possibilità di considerarsi esonerati dalla disciplina regolare, come pure era possibile che il convento sede del tribunale potesse trovare una compensazione economica a fronte della necessità di offrire degli spazi e di accettare alcuni inconvenienti organizzativi. Un’ulteriore questione molto interessante è rappresentata dai meccanismi che presiedevano alla scelta degli inquisitori, che era spesso frutto di decisioni dei superiori dell’ordine, fatte proprie in seguito dalla congregazione e supportate magari da pressioni e raccomandazioni da parte di personaggi in vista. Ed ancora l’autore sottolinea come i casi di eterodossia che coinvolsero dei domenicani, che avrebbero potuto gettare un pericoloso discredito, come era avvenuto per altre famiglie regolari, mettano in luce la difficoltà, ben presente, di far convivere il doppio ruolo di giudice e di confratello. L’intervento della congregazione centrale per sottrarre dei giudizi ai commissari locali finiva del resto per risolversi facilmente in una scelta di difesa dell’ordine, stante il peso di quest’ultimo proprio in quella sede.

Simona Feci nel suo studio (“Su le estreme sponde del christianesimo”. L’isola di Chio, la Repubblica di Genova e l’inquisizione romana alla metà del Cinquecento) mette in luce sia le differenze che correvano tra il centro ligure e l’isola di Chio nella gestione del tribunale, nei rapporti tra poteri e famiglie, nella diversa distanza negli stessi scambi con Roma. Risalta la complessità del contesto insulare, in un Mediterraneo pulsante di vitali diversità, di scambi mercantili e intellettuali. Viene analizzato in particolare il nucleo insulare dei domenicani con la intrigante figura di Giacomo da Chio, o Paleologo, con i suoi compagni e sostenitori, genovesi e maonesi. Tutta la vicenda mostra qui un esempio di dissenso interno all’ordine di particolare interesse, una testimonianza che può anche far indovinare quanto altrove non ci è stato tramandato nelle fonti e venne sepolto a protezione dell’onore regolare.

In conclusione, l’ampio materiale offerto da questo complesso volume mostra la profondità e la vastità del lavoro fatto e in corso, un lavoro ricco di passione e di severa disciplina. Ci ricorda anche come la ricerca in questo particolare settore spinge anche a chiedersi quanto questa lunga storia abbia inciso sui nostri modi di pensare, di porci nei confronti dello spazio pubblico, di confrontarci con le scelte di responsabilità, di rifugiarsi in un individualismo diffidente, esaltato dalla Chiesa, ma allo stesso tempo purtroppo declinato spesso nell’ottica dell’obbedienza. D’altro canto lo studio di una simile struttura di controllo delle coscienze non può facilmente restare una fredda materia di ricerca erudita e, al di là delle possibili letture personali, è stata fondamentale la forte proposta interpretativa di Adriano Prosperi, che ha stimolato un’ampia discussione e la voglia rinnovata di affrontare con un puntuale approfondimento documentario l’ampio tema dell’Inquisizione.

In questo contesto, la lunga stagione di studi inaugurata dai domenicani, anche con un valore di acquisizione di consapevolezza all’interno stesso dell’ordine, è un esempio davvero interessante e mostra come il “non aver paura” possa essere un’opzione che può ancora dare frutti preziosi, sotto molti riguardi.