Francesco Paolo De Ceglia, Pierroberto Scaramella, I demoni di Napoli. Naturale, preternaturale, sovrannaturale a Napoli e nell’Europa di età moderna (Edizioni di storia e letteratura, 2022)

Francesco Paolo De Ceglia, Pierroberto Scaramella, I demoni di Napoli. Naturale, preternaturale, sovrannaturale a Napoli e nell’Europa di età moderna (Edizioni di storia e letteratura, 2022)


Abstract:

Mostrare al lettore gli «ambigui confini della natura» è il più evidente risultato raggiunto dal volume I demoni di Napoli, felice esito di un convegno tenutosi a Bari nell’ottobre del 2019. Un’esplorazione vasta e suggestiva di numerosi ambiti di ricerca, che spaziano dal folklore alla teologia, dalle cronache medievali allo spiritismo del XIX secolo, considerando un arco cronologico altrettanto vasto, ma collocando geograficamente la maggior parte degli interventi nella città di Napoli, salvo alcuni contrappunti in altre zone d’Italia e d’Europa, che restituiscono la dimensione internazionale dei temi affrontati. L’esplorazione della natura attraverso la scienza o la rivelazione divina, l’incontro con i morti e con l’aldilà, l’illusione del demonio o il suo reale potere sulle cose terrene; ogni saggio ci pone di fronte a una nuova sottile linea di confine, dove si misurano cultura dotta e cultura popolare, credenze folkloriche e censure teologiche, in un intricato crocevia in cui agiscono le tensioni sociali, il disciplinamento religioso, e la volontà della Chiesa di affermare il suo ruolo di guida, anche quando costretta a scendere a patti con i progressi della scienza.

Il volume è organizzato in cinque sezioni, che presentano ciascuna una loro organicità; e tuttavia, per il dinamismo dei temi affrontati e per la qualità scientifica dei contributi appare più suggestivo in questa sede attraversarle, ricercando i nessi che uniscono i diversi saggi tra loro. Un’operazione pienamente lecita anche perché già realizzata da Ottavia Niccoli, che in conclusione del volume tratteggia i contorni dei molti temi affrontati, evidenziando legami, cesure e ambiti di intervento.

Una prima chiave interpretativa per introdurre la disamina è relativa al ruolo delle immagini, che a vario titolo compaiono in diversi contributi. Massimo Cattaneo affronta il tema dell’imago virginis, considerando l’uso disciplinante e politico della stessa in divere epoche. Icone potenti e in grado di intercettare diversi strati della popolazione, come la Maria lactans frequentemente ritratta nel basso medioevo, capace di attrarre la devozione delle masse popolari (pregevole e rinomata in tal senso la Madonna del Latte della cattedrale di Baceno, meta di pellegrinaggio dei pastori dell’alta valle del Rodano), salvo poi essere abbandonata per la sessualità implicita del seno nudo. Usata in funzione anti islamica o anti comunista, l’immagine della Madonna si presta nei secoli, secondo Cattaneo, a un uso più politico che devozionale, e cita in proposito l’esempio del culto della Madonna di Fatima, la cui diffusione risponde all’esigenza della Chiesa di combattere l’ateismo.

Giulio Sodano esplora invece l’immagine del demonio nella Napoli del Settecento, ritratto come un nobiluomo che incede lentamente per le vie della città, non più munito di corna e coda, care all’iconografia medievale. Ma il mutamento dell’immagine accompagna anche un mutamento di ruolo, poiché l’azione del demonio si depotenzia sempre di più; se nel medioevo era ritenuto diretto responsabile dell’assalto ai viandanti, dalla prima età moderna la sua presenza si concretizza sempre di più attraverso il corpo dei posseduti, per poi limitarsi nel Settecento a tentare il peccatore, per il quale il vero problema non sono più le creature infernali, ma la propria coscienza. Il saggio di Sodano richiama inevitabilmente un’evoluzione teologica che prese corpo nell’Europa meridionale della seconda metà del Cinquecento, che privava il demonio della sua capacità di azione concreta per assegnargli piuttosto la capacità di ingannare, di illudere. Le conseguenze di tale riconsiderazione dei poteri demoniaci furono rilevanti soprattutto nei processi contro le streghe, poiché dall’adesione consapevole e penalmente rilevante sul piano eresiologico si passava alla mera illusione. Bartolomé Bennassar si soffermava, già negli anni Ottanta, all’epoca dei suoi contributi sull’Inquisizione spagnola, sulla differenza in tal senso tra le brujas e le ilusas, coloro che appunto avevano solo creduto di avere una qualche relazione col demonio. Appare interessante ricordare che l’inganno si esercitava soprattutto attraverso il senso della vista, e il potere del demonio di ingannare gli occhi è stato oggetto di un’attenta riflessione storico-antropologica, che ha visto in Norman Chon uno degli autori più prolifici.

Ma se la vista poteva essere ingannata, ben più difficile era ingannare l’olfatto. Stefano Daniele propone un saggio sull’osmogenesi, ovvero sull’odore di santità, citando in particolare il caso di Lorenzo Desa Da Cupertino, circondato secondo le cronache da una straordinaria, inafferrabile fragranza. Egli stesso era inoltre in possesso di un fiuto straordinario, che gli consentiva in modo infallibile lo «scoprimento da lungi degl’incantesimi, e delle fattucchierie». L’olezzo era stato sin dal medioevo associato al male, e sono numerosi gli esempi di zaffate associate alla presenza dei diavoli. Ne parla nella sua autobiografia anche Benvenuto Cellini, che con la sua consueta e sprezzante ironia racconta di un tentativo di evocazione demoniaca, durante il quale furono appunto investiti da un’indicibile cattivo odore, che lo stesso Cellini aveva da principio attribuito all’amico Agnolo, presente anch’esso all’evocazione, per poi invece imputarlo ai diavoli sopraggiunti.

Il confine eresiologico tra eresia, illusione e possessione è esplorato da Federico Barbierato, che illustra le pratiche esorcistiche nella Venezia del Seicento. Il mercato dell’esorcismo era assai diffuso, e praticato non solo in ambito cattolico, e nel saggio si descrive appunto il processo celebrato contro un ebreo di nome Abramo, accusato di aver praticato esorcismi e altri rituali. Nel processo è coinvolta anche una donna, di nome Seconda, che ritenne saggio presentarsi di fronte ai giudici come posseduta, per evitare il rischio di essere perseguita come strega. D’altronde la Venezia del XVII secolo non era nuova a episodi del genere, individuati dallo stesso Barbierato e da diversi altri studiosi, tra cui vorrei ricordare almeno Franca Romano, che nel volume Laura Malipiero strega aveva esplorato quel sottobosco di credenze in cui si incontravano il basso clero, i ceti popolari, gli ebrei.

Per riprendere e concludere con i contributi sull’uso delle immagini occorre menzionare quello di Riccardo Lattuada, che dedica la sua attenzione all’iconografia degli angeli custodi, della lotta tra angeli e demoni e alla ricerca della retta via della fede. Si sofferma in particolare su un autore contemporaneo, Giovanni Gasparro, la cui opera campeggia peraltro nella copertina del volume, ove sono ritratti Lucifero e l’arcangelo, nella lotta tra bene e male che pur vedendo la fede trionfante continua in qualche modo a perpetuarsi; lo sguardo compiaciuto e ammiccante dell’arcangelo è rivolto a Satana, che ricambia con sottomissione e una sorta di maliziosa complicità. Gasparro è giustamente ritenuto da Lattuada un autore di potente capacità espressiva, benché la sua opera non sia stata priva di feroci critiche. In particolare un dipinto dedicato al martirio di Simonino, fanciullo cristiano rapito e ucciso nel 1475, secondo il processo celebrato all’epoca, dagli ebrei di Trento. Nonostante l’abrogazione ufficiale del culto avvenuta nel 1965, Gasparro ha voluto riproporre l’immagine del martirio con una violenta iconografia antigiudaica, attirando su di sé moltissime critiche.

Un altro limes frequentemente attraversato nel volume è quello tra medicina e magia, tra scienza e occulto; un travalicamento che, mutatis mutandis, si rintraccia in diverse epoche. Un primo esempio è proposto da Andrea Maraschi che descrive la figura di Virgilio a Napoli, prima che venga sostituito nell’immaginario popolare da San Gennaro. Virgilio è mago, medico e santo, fonde in sé il naturale e il soprannaturale, e in tal senso la sua figura è un potente aiuto alla comunità che lo venera. La celebrazione agiografica di figure carismatiche è ripresa da Maria Conforti nel saggio dedicato a santi, medici e taumaturghi; figure di confine, di transito tra tradizione pagana e cristiana, le cui capacità di guarigione sono di incerta attribuzione, sospese tra la conoscenza scientifica e l’intervento divino. Impossibile non rintracciare le grandi lezioni di Bloch in queste pagine, soprattutto al bisogno di conforto e aiuto espresso dai ceti popolari, che rinforza la fiducia in queste figure in grado di superare la dicotomia tra magia e scienza. Una dialettica, quella tra scienza, magia e mondo soprannaturale che viene riproposta da Lorenzo Leporiere, che tratteggia la figura di Eusapia Palladino, la veggente che fu in grado di accrescere la propria fama grazie a personalità influenti della Napoli di fine Ottocento, tra le quali occorre ricordare il direttore della clinica per malattie mentali di Genova Enrico Morselli e il noto scienziato Cesare Lombroso, paladino di uno scetticismo scientifico che vacillò di fronte alle capacità divinatorie di Eusapia. Il saggio pone un tema rilevante rispetto all’atteggiamento che la Chiesa assunse di fronte ai fenomeni di spiritismo, affettata santità, venerazione popolare di figure ambigue, spesso ritenute delle millantatrici. È interessante notare come se da un lato la Chiesa rivendicò un monopolio sul sacro e sul rapporto con l’aldilà, spesso poi puntellò le proprie posizioni grazie all’intervento di medici chiamati a sconfessare i fenomeni soprannaturali. Tra gli anni Venti e trenta del Novecento il tribunale dell’Inquisizione intervenne con relativa frequenza per sondare la veridicità di fenomeni simili, e i visitatori apostolici fecero largo uso di perizie mediche e psichiatriche proprio per denunciare l’instabilità psichica delle presunte veggenti. Una figura di grande interesse in tal senso è quella del carmelitano scalzo Lorenzo da San Basilio, tra i più attivi membri del Sant’Uffizio nel campo dell’accertamento degli inganni e delle frodi, chiamato tra l’altro anche a occuparsi di padre Pio di Pietrelcina.

Accenna allo spiritismo anche David Armando, nel saggio dedicato al mesmerismo, ai fluidi e agli spiriti. Terreno d’incontro tra cultura dotta e cultura popolare, il magnetismo animale viene duramente osteggiato dalla Chiesa, assimilato nel napoletano alla jettatura, e ricondotto nell’ambito del demoniaco, della follia, della frode. Vagamente censurato dal Sant’Uffizio tra il 1838 e il 1841, viene poi più aspramente condannato da Pio IX, che ritiene le pratiche di sonnambulismo magnetico e chiaroveggenza illusorie, irreligiose e contrarie alla morale. Nei decenni finali dell’Ottocento si afferma sempre di più il fenomeno dello spiritismo, e nasce la prima rivista cattolica «La campana del mattino» dedicata a combatterlo. Ma la lettura di Armando non si limita a descrivere il fenomeno e le diverse sfumature interpretative, poiché ne coglie anche l’intenso significato politico, sostenendo in conclusione che «lo sforzo della Chiesa [fu quello] di riaffermare anche in chiave controrivoluzionaria il monopolio del meraviglioso e delle sue declinazioni taumaturgiche».

Il rapporto tra meraviglioso e verosimile, e il differente grado di accettazione del meraviglioso stesso, influenzò in modo determinante anche l’esito di diversi processi celebrati nella Napoli del Settecento. Pasquale Palmieri descrive l’intenso coinvolgimento emotivo del pubblico, sulla cui partecipazione talvolta confidavano rei e avvocati, che cercavano di influenzarne le reazioni per determinare l’esito dei dibattimenti. Attraverso alcuni casi esemplari Palmieri illustra l’attività dei tribunali di Ancien régime, le zone d’ombra che sovente si determinavano nell’iter processuale e la conseguente sfiducia che si generava nella società, peraltro sollecitata da un nuovo genere letterario che riscontrava non poca fortuna nel mercato editoriale, dedicato appunto ai processi celebri e al loro esito. Il saggio di Palmieri, oltre ad essere godibile nella lettura, torna su uno dei temi più rilevanti della storia, ovvero il rapporto tra vero, falso e verosimile, a cui non solo sono state dedicate molte intense pagine, ma si è dato vita anche a querelles spettacolari, come quella che pochi anni or sono sorse intorno al papiro di Artemidoro di Efeso, poi dimostratosi un falso grazie agli studi di Luciano Canfora.

Una domanda che pervade il volume è quella relativa a un possibile patto tra ragione e fede, tra mondo spirituale e razionalità. Un dibattito certamente non solo contemporaneo, anzi figlio di controversie teologiche di lungo periodo. Leen Spruit cita il caso del gesuita Giovanni Battista De Benedictis, che sul finire del XVII secolo diede vita ad un’intensa polemica sulla necessità di sostenere le verità di fede attraverso la filosofia peripatetica. Un incontro impossibile, prontamente rifiutato attraverso un’aspra contesa dottrinale, per ribadire che non si doveva ricercare alcuna giustificazione ai dogmi della Chiesa. Costantino Grimaldi, celebre giurista e filosofo napoletano, fu il più acerrimo detrattore di De Benedictis, e nelle risposte che pubblicò alle tesi del gesuita sostenne con ironia che «se Dio ci avesse voluto filosofi avremmo avuto la rivelazione dalla Grecia, non dalla Giudea».

Un’altra aspra contesa di cui si dà conto nel volume è collocata alcuni decenni prima di quella appena citata. Miguel Gotor dedica la sua attenzione alla controversia tra San Camillo De Lellis e il suo stesso ordine dei Ministri degli Infermi. Una vicenda di particolare rilevanza poiché in essi si scorgono problemi dottrinali di diversa natura; sorta intorno alla clericalizzazione dell’assistenza sanitaria, invisa alla curia romana e ad altri esponenti dell’ordine, che chiedevano maggior cura delle anime piuttosto che dei corpi, la controversia avrebbe presto sfiorato addirittura il terreno dell’eresia, poiché il principale denigratore di De Lellis, il prefetto della casa di Napoli Aniello Arciero, sarebbe stato a sua volta processato per la direzione di suor Giulia Di Marco, in ragione dei loro «baci, toccamenti, mollizzie e polluzioni». Si prefigurava per la Chiesa una stagione intensa di lotta contro un reato, quello della sollicitatio ad turpia, già severamente affrontato sul finire del Cinquecento, e che verso la fine del XVII secolo avrebbe assunto i contorni ben più preoccupanti dell’eresia, con gli insegnamenti di Miguel de Molinos e la sua Guía espiritual.

Un ultimo confine sondato è quello della vita dopo la morte. Guido Dall’Olio esplora l’usanza tardo medievale di citare qualcuno davanti al giudizio di Dio. Nei racconti in cui si narra tale usanza compaiono tre elementi ricorrenti: rimettere nelle mani di Dio una causa che non poteva essere risolta dalla giustizia terrena; la morte del condannato; la valle di Giosafat, luogo in cui si sarebbe svolto il giudizio universale, identificata con la valle del Cedron. Si affronta dunque il tema del tramite tra la vita e la morte, un compito che nel medioevo veniva affidato frequentemente ai bambini, specie quelli morti senza battesimo. Sui bambini nati morti esiste una vasta produzione scientifica, raccolta da Adriano Prosperi nel volume Dare l’anima, in cui si ricostruisce anche la vicenda dei pellegrinaggi verso particolari luoghi dove era possibile ottenere l’assoluzione per i bambini nati morti.

Ma i morti non sono solo un tramite con l’aldilà, e talvolta tornano per molestare i vivi. Francesco Paolo De Ceglia, che è anche curatore del volume insieme a Pierroberto Scaramella, dedica un saggio ai vampiri napoletani. Un testo acuto e brillante, che fa eco agli studi storici ed etno-antropologici sulla figura del vampiro, tra i quali occorre almeno ricordare quello fondamentale di Vito Teti, dedicandosi in particolare alle comunità greche e albanesi a Napoli. De Ceglia coglie un nesso importante tra le credenze popolari sui vampiri e la demonologia tradizionale, con cui esse si sommavano e confondevano, sottolineando come l’ematofagia divenne un tratto distintivo solo nel tempo, con l’assimilazione dei vampiri con le strigae dell’antichità. L’autore evidenzia anche l’aspetto etimologico dei vari termini con cui ci si riferiva ai vampiri, distinguendo tra la figura del timpanayos, il cadavere che non può decomporsi fino a quando non venga reintegrato nella comunità dei fedeli, e il vrykolakas, il vampiro vero e proprio, chiamato dagli albanesi “gatto”, proveniente dal termine lugat, colui che ritorna in corpo.

È opportuno concludere la disamina dei saggi con quello forse più denso, a cura di Pierroberto Scaramella, dedicato alla Chiesa e all’antispiritismo a Napoli dal Settecento agli anni Venti del Novecento. Scaramella descrive le élites europee affascinate dallo spiritismo, la cui ambizione era quella di incontrare l’aldilà, già sperimentabile in questa vita, tramite il medium dei defunti. L’attenzione alla vita dopo la morte e alle sofferenze di chi resta consente la nascita, verso la metà del Settecento, di un nuovo genere letterario destinato ad ampia fortuna, la letteratura di conforto. Ma per la Chiesa diviene sempre più arduo e urgente porre dei confini chiari al rapporto con l’aldilà; nell’Ottocento, infatti, si assiste a una inedita saldatura tra spiritismo e socialismo, che trovano un terreno comune nella difesa della libertà contro l’ingerenza della Chiesa.

Scaramella dedica attenzione in particolare alla città di Napoli, che non fu immune alla moda dello spiritismo, divenendo teatro di un aspro conflitto tra sperimentatori e acerrimi nemici, che deridevano coloro che dialogavano con i morti, inscenando false sedute spiritiche per smascherare le imposture.

L’atteggiamento della Chiesa fu tuttavia prudente; se da un lato occorreva frenare l’impeto di coloro che inneggiavano alla libertà contro l’ingerenza ecclesiastica, era altrettanto vero che la nuova attenzione verso l’aldilà e gli spiriti poteva divenire un inatteso alleato dell’apologetica cristiana, a patto che il monopolio del sacro fosse saldamente nelle mani della Chiesa. Non mancarono le prese di posizione nette, come quella della «Civiltà cattolica», che tra il 1856 e il 1857 pubblicò un saggio dedicato alla moderna necromanzia, sposando dunque la tesi dell’eresia insita in tali pratiche. Ma interventi così netti furono comunque piuttosto rari, e l’ultimo risale al 1917, quando il Sant’Uffizio si pronunciò contro le sedute spiritiche. Fu piuttosto la scienza a sbarazzarsi della superstizione, la Chiesa preferì per lo più il silenzio. Il volume si colloca dunque a pieno titolo in un filone di studi mai interrotti, che anzi negli ultimi anni stanno riscuotendo nuovo interesse da parte degli storici; complice certamente la rinnovata attenzione dedicata all’attività del Sant’Uffizio, in particolar modo per il XIX secolo, ma forse anche in ragione di un bisogno neanche troppo velato di contrastare la dilagante incapacità di lettura critica della società con le armi della conoscenza e della ricerca. Un sano uso della storia che, con un po’ di fortuna, potrà incontrare un interesse più vasto di quello degli specialisti del settore.