Giovanni Sedita, Gli intellettuali di Mussolini. La cultura finanziata dal fascismo, Le Lettere, 2010



Giovanni Sedita, Gli intellettuali di Mussolini. La cultura finanziata dal fascismo, Le Lettere, 2010
Abstract: Il tema del rapporto tra intellettuali e fascismo è certamente uno dei più controversi per una lunga serie di ragioni. Tra queste, la difficoltà di comprendere a pieno la natura più o meno "organica" di tale relazione nel contesto di un sistema totalitario dove, come noto, il rapporto con il potere non appare mai limpido. Tale considerazione vale naturalmente anche per l'Italia, pur rappresentando un caso molto diverso da quello tedesco o sovietico. E ancora, non pochi scrittori, giornalisti, pittori hanno vissuto una "seconda vita" nel dopoguerra, trovando spazio nelle fila del partito comunista e acquisendo così una "patente antifascista" dopo essere stati delatori della polizia politica negli anni del regime. Si tratta dunque "argomenti sensibili", capaci di scatenare vivaci polemiche come dimostra, tra gli altri, il "caso Silone", esempio paradigmatico di quanto sia difficile un sereno confronto su simili temi. Pochi, infatti, sono gli storici che ne hanno affrontato lo studio (tra gli altri Mauro Canali, Giovanni Belardelli, Ruth Ben-Ghiat), spesso a causa degli ostacoli di natura meta storica che ne costituiscono il corollario.

Il tema del rapporto tra intellettuali e fascismo è certamente uno dei più controversi per una lunga serie di ragioni. Tra queste, la difficoltà di comprendere a pieno la natura più o meno “organica” di tale relazione nel contesto di un sistema totalitario dove, come noto, il rapporto con il potere non appare mai limpido. Tale considerazione vale naturalmente anche per l’Italia, pur rappresentando un caso molto diverso da quello tedesco o sovietico. E ancora, non pochi scrittori, giornalisti, pittori hanno vissuto una “seconda vita” nel dopoguerra, trovando spazio nelle fila del partito comunista e acquisendo così una “patente antifascista” dopo essere stati delatori della polizia politica negli anni del regime. Si tratta dunque “argomenti sensibili”, capaci di scatenare vivaci polemiche come dimostra, tra gli altri, il “caso Silone”, esempio paradigmatico di quanto sia difficile un sereno confronto su simili temi. Pochi, infatti, sono gli storici che ne hanno affrontato lo studio (tra gli altri Mauro Canali, Giovanni Belardelli, Ruth Ben-Ghiat), spesso a causa degli ostacoli di natura meta storica che ne costituiscono il corollario.

Giovanni Sedita in questa ricerca dedicata a Gli intellettuali di Mussolini affronta lo spinoso tema, evitando di addentrarsi in considerazioni di natura teorica e usando documenti inediti, selezionati attraverso un lungo e sistematico lavoro di ricerca in archivio. L’autore documenta in particolare l’intensa pratica di sovvenzioni personali costruita lungo l’arco di un decennio dal regime di Mussolini. Il meccanismo della sovvenzione si innescava con un atto volontario, ovvero la richiesta esplicita da parte dell’intellettuale che finiva con il coinvolgere una “triade” rappresentata dal duce, dal ministro della Cultura Popolare e dal capo della polizia. Lungo gli anni Trenta e oltre il fascismo sovvenzionò segretamente, attraverso fondi amministrati da Arturo Bocchini, Galeazzo Ciano, Dino Alfieri e infine Alessandro Pavolini, novecento intellettuali e quattrocento giornalisti, costruendo in tal modo un’intricata rete di rapporti clientelari, un vero e proprio “rito del consenso” fondato sulle lettere personali di richiesta che i singoli intellettuali indirizzavano ai gerarchi della cultura. Con “sovvenzioni saltuarie” e “sovvenzioni fisse” furono sostenuti, tra gli altri, intellettuali come Sibilla Aleramo, Sem Benelli, Alessandro Blasetti, Vitaliano Brancati, Vincenzo Cardarelli, Alfredo Casella, Raffaello Franchi, Filippo Tommaso Marinetti, Pietro Mascagni, Ada Negri, Vasco Pratolini, Salvatore Quasimodo, Giuseppe Ungaretti, Ruggero Zangrandi.

Esemplare, tra i tanti, il caso di Rina Faccio, in arte Sibilla Aleramo. Scrittrice, femminista con simpatie socialiste, fu nel 1925 tra i firmatari del manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Caduto il regime, nel secondo dopoguerra si iscrisse al partito comunista italiano dopo una intensa militanza durante il ventennio in qualità di “intellettuale organica”. La Aleramo infatti, come risulta chiaramente dalle carte d’archivio, intrattenne una relazione lunga quindici anni – dal 1928 al 1943 – con le istituzioni e gli uomini del fascismo. Il suo contatto con l’Ufficio Stampa del duce prima e con il Ministero della Stampa e la Propaganda, poi Ministero della Cultura Popolare, risulta significativo perché, scrive Sedita, «rappresenta lo svolgersi di quel rapporto consuetudinario tra intellettuale e regime che andrà istituzionalizzandosi nel giro di un decennio». In tempi in cui gli italiani sognavano di guadagnare “mille lire al mese” Sibilla Aleramo ricevette complessivamente la ragguardevole somma di 230mila lire. Ma non basta. Nel suo caso il fascismo, oltre a sovvenzionarla con contributi sia fissi che straordinari, ne sponsorizzò l’opera e ne protesse gli interessi ottenendo la «dovuta esibizione di consenso». Il sostanziale appoggio del regime fu contraccambiato, infatti, dalla scrittrice con gesti puntualmente registrati dalla polizia politica e con pubbliche ammissioni spesso riportate ed amplificate dalla stampa, come quando alla domanda di una intervistatrice rispondeva «dalla soffitta di via Margutta» che «il Capo mi ha ripetutamente e generosamente aiutata». In continuo contatto epistolare con Gaetano Polverelli, Galeazzo Ciano e in generale con i vertici dell’ufficio stampa e del Ministero della Cultura Popolare, «l’intellettuale poteva chiedere spesso senza remore perché impegnativa era la contropartita pretesa dal regime in termini di consenso» e in questo Sibilla Aleramo «fu consapevolmente organica al fascismo ricevendo sovvenzioni sino al 1943».

Al di là di questo caso specifico, è attraverso i diversi ambiti dell’universo culturale italiano e seguendo i singoli casi di finanziamento (si veda l’interessantissimo e inedito elenco con nomi e cifre nella appendice documentale) che il libro di Sedita ricostruisce così la pratica delle sovvenzioni, divenuta una delle prerogative principali del gabinetto del Ministero della Cultura Popolare.