La pena delle mamme. Detenzione e maternità. Intervista a Rosanna Mancinelli (Istituto Superiore di sanità)

La pena delle mamme. Detenzione e maternità. Intervista a Rosanna Mancinelli (Istituto Superiore di sanità)

Abstract: ll tema della maternità in regime di detenzione è particolarmente delicato e complesso. La Legge n. 40/2001 – pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale proprio l’8 marzo, una data fortemente simbolica – e più nota come legge Finocchiaro, permette alle madri condannate anche a pene elevate, di provvedere alla cura e all’assistenza della prole. Anche se non possiamo definirlo un fenomeno di ampie dimensioni statistiche è certamente un tema di grande importanza. In Italia gli Istituti penitenziari esclusivamente femminili sono: Trani, Pozzuoli, Roma-Rebibbia, Venezia-Giudecca. E, ancora, circa 67 sezioni femminili – sparse – in altri Istituti penitenziari maschili. La realizzazione del progetto M.A.M.A. – Modulo per l’affettività e la maternità – Rebibbia – rappresenta una pietra miliare nell’evoluzione del concetto di carcere. Soprattutto per l’attenzione che porta sulla necessità di ripensare anche in un’ottica di genere gli interventi strutturali all’interno degli spazi di detenzione. Questo come il progetto BIL – l’indagine sul Benessere Interno Lordo promosso da Made in Carcere – pongono l’attenzione sulla necessità di sviluppare sinergie anche all’ “esterno” degli istituti penitenziari in un confronto sempre più interdisciplinare volto alla promozione di un maggiore benessere.

L’esperienza di detenzione femminile si differenzia da quella maschile poiché presenta delle problematiche specifiche – al pari di quella minorile – e, dunque, necessita inevitabilmente di essere affrontata e gestita in maniera specifica. In tal senso un tema di grande importanza è rappresentato dalle madri detenute. Se è vero che la convenzione ONU nei diritti dell’infanzia con l’art. 9 di pronuncia favorevole al mantenimento del rapporto tra genitori e bambini – oltre il regime di detenzione – trasposta nella legge Finocchiaro in Italia (n. 40/2001), cosa accade realmente nella pratica quotidiana delle carceri italiane?

La legge n. 40/2001 per le “Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto detenute e figli” fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale proprio l’8 marzo una data fortemente simbolica. Tale legge, conosciuta come legge Finocchiaro, permette alle madri condannate anche a pene elevate, di provvedere alla cura e all’assistenza della prole, consentendo loro di espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza. In Italia gli Icam, gli Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri, dove la detenzione è più leggera, l’architettura a misura di bambino e il personale non è in divisa, sono cinque: Cagliari-Senorbì, Lauro, Milano San Vittore, Venezia Giudecca e Roma-Rebibbia. Le detenute madri con figli al seguito presenti negli istituti penitenziari italiani non sono molte e sono prevalentemente straniere. Dai dati del Ministero della giustizia aggiornati al 31 maggio 2021 risultano presenti nelle strutture detentive italiane 17 detenute madri, con un totale di 20 figli minorenni al seguito. Anche se non può definirsi un fenomeno di ampie dimensioni statistiche ed epidemiologiche in rapporto al totale delle carceri italiane, la presenza di bambini in carcere rappresenta un problema particolarmente rilevante in quanto coinvolge l’unità sociale fondamentale, madre-figlio-padre, disgregandola o trasformandola negativamente. La realtà dei bambini minori di 3 anni, in carcere con le proprie madri, non è cambiata di molto negli anni. Secondo i dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) negli ultimi cinque anni (2016-2020) le presenze si sono attestate intorno ai 50 minori e il dato è sostanzialmente stabile negli ultimi 25 anni, con picchi di presenze superiori nel 1999 e 2000, con 70 e 78 bambini ristretti, e quello più basso nel 2015 con 28 bambini. Molto resta ancora da fare. Significativa in questo senso l’azione dell’AGIA (Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza) che nel giugno 2021 ha sollecitato l’approvazione del provvedimento necessario a finanziare la predisposizione di case famiglia protette per «evitare l’ingresso in strutture penitenziarie a bambini piccoli, che hanno diritto a non essere vittime dello stato di detenzione dei loro genitori». Si tratta a volte di bambini piccolissimi e, quindi, in condizione di estrema vulnerabilità che vivono in istituti di detenzione. Il 16 dicembre 2021 è stata firmata la “Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti” sottoscritta dalla Ministra della Giustizia, dalla presidente di AGIA e dalla Presidente di “Bambinisenzasbarre”. La “Carta”, prima nel suo genere in Italia e in Europa, riconosce il diritto dei minorenni alla continuità del legame affettivo con i genitori detenuti e mira a sostenerne il diritto alla genitorialità. Con questo documento si intendono promuovere iniziative in materiadi custodia cautelare, di luoghi di detenzione, di spazi bambini nelle sale d’attesa e di colloquio, di visite in giorni compatibili con la frequenza scolastica, di videochiamate, di formazione del personale carcerario che entra in contatto con i bambini, di informazioni,assistenza e supporto alla genitorialità. È prevista anche una raccoltadati e il follow updell’attuazione del protocollo.

Prestando attenzione alla detenzione femminile è evidente che la reclusione ha un forte impatto non solo sulla loro vita ma anche su quella dei figli. Preziosi in questo senso risultano gli studi di John Bowlby rispetto al bisogno primario di attaccamento piuttosto che la “depressione anaclitica” sottolineata da René Spitz. Come incide l’esperienza di separazione e allontanamento sulle madri e sui loro bambini. E come si può leggere, in questo senso, la recente inaugurazione del M.A.M.A di Rebibbia rispetto alla cura dell’affettività materna? Può essere un modello da duplicare?

Anche se, come abbiamo detto, ancora c’è molto da fare in tema di detenzione femminile, c’è attenzione dedicata alla tutela della donna detenuta e della diade madre-bambino già a partire dalla gravidanza. Di questo è esempio emblematico la casa-rifugio “M.A.M.A. Modulo per l’affettività e la maternità” inaugurata all’interno della Casa circondariale femminile di Roma-Rebibbia il 20 Ottobre 2021. La piccola struttura, di soli 28 m2 è stata progettata e realizzata dal gruppo di architetti coordinato dall’Archistar Renzo Piano in collaborazione con la facoltà di architettura dell’Università Sapienza di Roma. L’Università Sapienza nel 2018 ha finanziato la ricerca “Riabilitare spazi e persone. Le carceri romane”, dedicata ai luoghi in cui vivono le detenute nella Capitale, ricerca che è stata recentemente pubblicata. L’architetto Renzo Piano definisce M.A.M.A. «uno spazio per vivere i sentimenti» che ha l’aspetto un po’ fiabesco di una casetta rossa e accogliente immersa in un giardino dove alle donne detenute a Rebibbia e alle loro famiglie, viene offerta qualche ora di serenità e normalità. Nello stesso istituto è stato realizzato l’allestimento degli interni con arredi e attrezzature nella nuova sezione Orchidea, ristrutturata nel 2019 anche con la tinteggiatura di corridoi, stanze e spazi comuni. La realizzazione di M.A.M.A rappresenta una pietra miliare nell’evoluzione del concetto di carcere per più di un motivo. Prima di tutto dimostra quanto sia significativa l’attenzione alla detenzione femminile a cui anche il mondo accademico sta dedicando risorse per trovare soluzioni per migliorare le condizioni di vita di chi è detenuto e quindi migliorare la società tutta. Emerge inoltre con evidenza il ruolo che la qualità del luogo di vita può avere sulla persona detenuta e in particolare sulle donne. Uno spazio di qualità può generare comportamenti virtuosistimolando le donne a prendersi cura del “proprio” spazio personalizzandolo, valorizzandolo e migliorando così non solo il proprio modo di vivere ma anche la consapevolezza di sé. A questo scopo, sempre della Casa circondariale femminile di Rebibbia, nelle aree verdi è stato allestito anche un nido per animali curato dalle detenute per contribuire in maniera significativa al miglioramento delle condizioni psico-fisiche dell’individuo e a creare le basi per un successo in termini di recupero sociale e riabilitazione personale. Comunque, riconsiderare la struttura carceraria in un’ottica olistica che includa anche fattori estetici e strutturali rappresenta sicuramente un passo in avanti per implementare un nuovo concetto di carcere inteso non più come “Città dell’attesa” ma “Città della ricostruzione”.

In Italia gli istituti penitenziari esclusivamente femminili sono: Trani, Pozzuoli, Roma-Rebibbia, Venezia-Giudecca. E, ancora, circa 67 sezioni femminili – sparse – in altri istituti penitenziari maschili. Dai dati statistici emerge che molte delle donne detenute sono tossicodipendenti spesso giovani e di diversa composizione sociale, etnia, livello culturale, ecc. L’esistenza di poche carceri penali femminili provoca spesso dei trasferimenti ai quali si aggiungono ovviamente ulteriori problematiche. Come è possibile pianificare interventi di successo in queste circostanze?

La detenzione femminile in Italia, come probabilmente anche nel resto del mondo, risulta essere un fenomeno ancora poco noto e poco studiato nella sua peculiarità forse anche a causa del ridotto numero di persone che coinvolge. Le donne rappresentano infatti solo il 4-5% della popolazione carceraria, e rispetto alle loro condizioni di reclusione persiste una scarsa informazione. Meno di un quarto delle donne detenute scontano la pena in uno dei quattro istituti esclusivamente femminili attualmente operativi in Italia (Trani, Pozzuoli, Roma-Rebibbia e Venezia-Giudecca), mentre la maggior parte di loro è distribuita tra le sezioni femminili ricavate all’interno di carceri maschili. Ad oggi in Italia il carcere ha mantenuto una struttura maschile non sempre adattabile alla differenziazione dei bisogni di genere in particolare per quanto riguarda le problematiche legate alla maternità. Questa realtà porta ad un’effettiva condizione di vulnerabilità delle detenute, che si trovano in un’istituzione pensata per gli uomini e governata in base a regole modulate su una visione che lo stesso rapporto DAP 2019 testualmente definisce “maschio-centrica”. Inoltre le donne, in quanto minoranza demografica, hanno difficoltà ad accedere alla già scarsa offerta lavorativa e trattamentale, che viene più facilmente proposta alla più numerosa popolazione carceraria maschile. La necessità di ripensare anche in un’ottica di genere gli interventi strutturali all’interno nella popolazione detenuta si sta faticosamente affermando ma per svilupparsi deve necessariamente avvalersi della sinergia di azioni e competenze diverse che vengono anche dall’ “esterno” come accaduto per M.A.M.A. Molto importante è anche il ruolo di associazioni del privato sociale in quanto parte attiva sia nel proporre modelli di intervento etico di valorizzazione delle risorse delle persone detenute, sia nel tenere vivo il dibattito istituzionale in tema di recupero sociale e riabilitazione personale

Lei è membro del Comitato Scientifico – anche detto Gruppo dei Saggi – del progetto BIL di Made in Carcere. Parlare di benessere e detenzione può apparire un ossimoro. Quali sono i progetti che ha avuto occasione di seguire anche per l’Istituto Superiore di sanità che operano in questo senso? E con quali risultati? Soprattutto come pensa che si possa concretamente migliorare la situazione delle carceri italiane in modo non congiunturale ma strutturale?

Il concetto di benessere è un concetto molto ampio che include visioni diverse dello “star bene”. Ad esempio, può riferirsi all’ambito economico e si definisce infatti “benestante” chi gode di soddisfacenti risorse finanziarie. Il benessere è associato al concetto di salute che è componente fondamentale della nostra vita definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS): «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia». È chiaro che tale concetto è difficilmente compatibile con lo stato di limitazione della libertà. Tutti noi abbiamo provato quanto la pandemia COVID in questi due anni abbia limitato significativamente la nostra libertà e quindi anche il nostro “benessere”. Il concetto di salute inteso come “stato di benessere” dell’individuo, è essenziale nella vita di un Paese e denota il livello culturale e sociale del Paese stesso in quanto coinvolge la persona nella sua dimensione individuale, politica ed economica. In caso di detenzione al concetto di salute per l’individuo si aggiunge anche quello di giustizia riguardo al quale all’articolo 27, comma 3, la Costituzione dice: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». L’incrocio dei due dettati costituzionali rende il tema del benessere in carcere ancora più complesso e da affrontare con una visione olistica dell’individuo che vive la condizione di restrizione della libertà. Queste considerazioni hanno portato un gruppo di esperti a stipulare nel luglio 2017 un Accordo di collaborazione tra l’Istituto Superiore di sanità (responsabile Scientifico Rosanna Mancinelli), le Università “Sapienza”, “Tor Vergata” e “Cattolica del Sacro Cuore” di Roma e l’Associazione onlus CoNOSCI (Coordinamento Nazionale Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane –www.conosci.org). L’Accordo si basa su una visione olistica del tema salute e giustizia e si vale sia di esperti nelle scienze mediche penitenziarie dirette quali psichiatria/psicologia, gestione delle emergenze, tossicologia, salute pubblica; sia di esperti di aree scientifiche correlate quali l’economia, la criminologia, il lavoro, la comunicazione, l’architettura. Il 13 dicembre 2019 si è svolto a Roma, presso l’Aula Pocchiari dell’Istituto Superiore di sanità (ISS), il Primo Convegno Nazionale “Salute & Giustizia nella polis carceraria”, organizzato nell’ambito dell’Accordo. Il Convegno, che ha avuto ampia risonanza, è stato aperto dal presidente dell’ISS insieme con il presidente del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e il rappresentante del Ministro della Salute. Vi hanno partecipato numerosi esperti in discipline diverse ed è stata resa disponibile una sessione “Poster” in cui sono state presentati i risultati di attività realizzate dalle strutture pubbliche e private presenti sul territorio. Dal 2020 con lo sviluppo della pandemia, l’ISS ha collaborato alla stesura di pubblicazioni dedicate alla prevenzione e al controllo di COVID-19 negli istituti penitenziari. Inoltre l’ISS ha partecipato, tramite il suo rappresentante Rosanna Mancinelli; come membro designato al “Tavolo Interministeriale per il contenimento dell’emergenza COVID-19 nel settore penitenziario” istituito dal Ministero della Salute con D.M. 21/4/2020. Ad oggi le attività dell’ISS relative all’ambito penitenziario. sono in fase di ulteriore sviluppo. In particolare è alla firma un nuovo Accordo di collaborazione tra ISS e DAP ed è in fase di realizzazione un progetto di formazione a distanza per il personale della polizia penitenziaria per il concreto miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nell’intera polis carceraria.

Rosanna Mancinelli

Laureata con lode in Scienze Biologiche presso l’Università «Sapienza» di Roma, sono Primo Ricercatore presso l’Istituto Superiore di sanità (ISS). La mia attività professionale è dedicata alla realizzazione di progetti di ricerca collaborativi, nazionali ed internazionali, dedicati principalmente all’abuso alcolico e alle patologie alcol correlate, alla salute della donna, agli effetti teratogeni dell’alcol, ed alle diseguaglianze di salute in popolazioni vulnerabili quali quella carceraria. Parallelamente alle ricerche sperimentali, sono coinvolta nelle attività di formazione/divulgazione/comunicazione scientifica nell’ambito della Terza Missione dell’ISS. Sono autore di circa 200 pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali

Autore