Il Reclusorio pei Discoli, poi Stabilimento correzionale di Bologna, tra tradizione detentiva papale e influenze europee (1822-1859)
L’Ozio sorgente d’ogni vizio, spingendo purtroppo a mano a mano coloro, che vi si abbandonano, ai più gravi delitti, esigeva in questa popolosa città e provincia un pronto riparo, che allontanasse dalla società i traviati, e rinchiusi in un apposito Stabilimento venissero sottoposti ad un regolato tenor di vita […]. Convinti noi di una tale verità immaginammo un Reclusorio pei Discoli, nel quale siffatti individui per determinato tempo fossero stati rinchiusi […] e fattane quindi la proposizione al Superiore Governo ne ottenemmo la sanzione, per cui successivamente predisposto il locale e quanto altro era necessario, ci facciamo colla presente a render noto al pubblico, che va il medesimo ad aprirsi e porsi in piena attività.
Con queste parole, poste in cima a un editto pubblicato il 29 luglio del 1822, il legato apostolico di Bologna Giuseppe Spina ufficializzava l’apertura di un nuovo luogo detentivo in città, una struttura preposta al trattamento di soggetti passibili di tempestivi provvedimenti perché «viziosi e riprovevoli».
L’erezione dell’istituto aveva avuto una tormentata gestazione. I primi progetti di impianto risalivano al 1817, anno in cui circa centocinquanta persone – tra rognosi, inabili e “pericolosi” – erano state condotte nei locali di via Centotrecento, già dimora delle suore terziarie scalze. Nel 1818, il cardinale Alessandro Lante Della Rovere aveva dotato il luogo di regole autonome, assegnando a esso l’onere di sottoporre a castighi corporali e lavoro forzato soggetti non punibili dai tribunali ordinari. Ma l’iniziativa aveva suscitato a Roma diverse perplessità.
Dichiarata intollerabile sia la marcata impronta punitiva dell’ente, sia la procedura di internamento, perché «spogliata da qualsiasi formalità», Ercole Consalvi aveva presto ordinato un adattamento dei decreti legatizi alle «massime generali e fondamentali del governo» e, solo dopo un fitto scambio epistolare, fu inaugurato il Reclusorio pei Discoli noto anche come Discolato.
Lo stabilimento accolse, in via definitiva, precise categorie: i «figli inobbedienti», gli «avvezzi al gioco e alla frequentazione di bettole», le «donne di cattiva vita», i «corruttori del costume», i «fomentatori del libertinaggio» e gli «oziosi» segnalati dalle famiglie alla polizia o direttamente da quest’ultima, e reclusi dietro ordine di un consesso composto da legato apostolico, assessore criminale della legazione, direttore della Polizia provinciale e avvocato dei rei.
La fondazione colpì a tal punto l’interesse di Pio VII che il papa espresse non solo il massimo apprezzamento verso un’opera destinata a «li migliori successi», ma anche la volontà di creare, sull’esempio bolognese, una rete di spazi da installare in tutti i territori dello Stato. La morte del pontefice, avvenuta nell’agosto del 1823, impedì tuttavia la realizzazione su larga scala di questo importante progetto.
Quale significato attribuire a questa iniziativa? Gli studi sinora esistenti si sono concentrati sull’analisi di singoli aspetti del funzionamento dell’istituto, ma il ruolo giocato dal Discolato nel panorama reclusivo bolognese è ad oggi ancora poco noto.
Basato sull’interrogazione di un’ampia documentazione, il presente contributo mira a colmare questa lacuna ricostruendo la parabola del correzionale alla luce delle più recenti acquisizioni storiografiche. Indagato in una prospettiva diacronica e comparativa, il caso del Reclusorio si configura non solo come un interessante esperimento carcerario ma anche come un prisma attraverso il quale esaminare la politica detentiva papale della Restaurazione e i suoi sviluppi in relazione ai modelli penitenziari nel frattempo messi a punto altrove.
Sorto in un contesto di fragilità politica ed economica, l’istituto si collocò infatti nel solco di un consolidato stile detentivo pontificio incentrato su istanze di carità ed emenda, per poi subire, in poco meno di vent’anni, una completa riforma, grazie alla progressiva intercettazione di soluzioni realizzate in diversi Paesi europei sulla scorta di un rafforzamento degli obiettivi rieducativi della prigione.
Un affondo sulle vicende che interessarono lo stabilimento tra gli anni Venti e Cinquanta dell’Ottocento permette di individuare diversi nodi problematici legati all’evoluzione degli strumenti di correzione detentiva e di comprendere come, in alcuni territori papali, lungo il XIX secolo non ci si limitò a una mera ricezione passiva di schemi di gestione carceraria già circolanti su vaste aree geografiche. Nella legazione bolognese, infatti, le autoctone pratiche d’internamento furono del tutto rinnovate in un contesto sociopolitico aperto a scambi e contatti con l’estero.
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