Da Antinori a Pigorini: le collezioni coloniali di età liberale nelle fonti dell’Archivio Centrale dello Stato

Da Antinori a Pigorini: le collezioni coloniali di età liberale nelle fonti dell’Archivio Centrale dello Stato

Abstract: Il presente articolo intende ricostruire, attraverso la documentazione conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato e non solo, le vicende delle collezioni provenienti dalle colonie africane acquisite dalla Società Geografica Italiana e conservate presso il Museo Preistorico-Etnografico di Roma durante i primi decenni dell’espansione coloniale. Si analizzeranno dunque le acquisizioni a seguito dei viaggi di esplorazione, i prestiti e gli scambi, le pratiche espositive legati ai primi materiali provenienti dalle zone d'influenza italiana in Africa giunti a Roma, riflettendo sull'intreccio peculiare tra scienza, colonialismo e costruzione dell’identità nazionale. Si evidenzierà come in tale occasione si creò (anche attraverso tali collezioni) il mito dei “grandi esploratori africani”. Infine, si considererà la rilevanza di questo tipo di riflessioni all'interno del dibattito attuale riguardo i riallestimenti di collezioni coloniali

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento un numero crescente di militari, uomini d’affari, esploratori, naturalisti, e missionari italiani si mosse fuori dall’Europa; una percentuale, per altro, almeno inizialmente, non preponderante di essi, si avvicendò sul continente africano. La maggior parte di coloro che partirono per quello che al tempo era considerato il “Continente Nero” non possedeva alcuna preparazione specifica né gli strumenti necessari a raccogliere informazioni circa il territorio e le popolazioni africane. Ciò non impedì loro, interpretando il più classico spirito positivista, di raccogliere comunque i più vari materiali, disegnare schizzi di quello che avevano visto e successivamente scattare fotografie, redigere e pubblicare memorie di viaggio, scegliere oggetti ritenuti “curiosi” da portare in Italia. I manufatti, come le fotografie, venivano infatti considerati dati scientifici inconfutabili e non oggetti mediati dalle opinioni e dalla formazione di chi li raccoglieva. L’“alterità coloniale” era così presentata da una prospettiva apparentemente scientifica e realistica. Come sottolineato da Timothy Mitchell, ciò che rendeva accattivante e vincente la formula di esposizioni e musei era proprio la loro capacità di presunta oggettività, quella che Heidegger chiamava “la certezza della rappresentazione”. È questo, infatti, il momento che vide l’inizio dell’affluenza di reperti e manufatti africani nei musei italiani, in un processo che si protrasse nel secolo successivo, assumendo caratteristiche specifiche in relazione alle condizioni politiche, economiche ed intellettuali nelle quali gli esploratori, militari e missionari si troveranno ad operare. Con l’acquisizione dei primi territori italiani d’oltremare (l’acquisto della Baia di Assab da parte dello Stato italiano alla compagnia di navigazione Rubattino, nel 1882) le energie di esploratori e uomini d’affari si concentrarono maggiormente (anche se mai esclusivamente) su di essi, e di conseguenza aumentarono le pubblicazioni, le donazioni ai musei italiani, le missioni scientifiche appositamente organizzate dalle società geografiche per incrementare la conoscenza di quei luoghi e di quelle popolazione lontane. Il processo di acquisizione di oggetti e reperti si intensificò progressivamente con l’ampliarsi della Colonia Eritrea (1890, 1894, 1895), la nascita della Somalia Italiana (che, da protettorato istituito nel 1889 sul Sultanato di Obbia, nel 1908 divenne Colonia), l’invasione e la violenta “pacificazione” della Libia (1911-1931) e infine l’aggressione e occupazione dell’Etiopia (1935) e la proclamazione dell’impero (9 maggio 1936).

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