La “macchina imperfetta” del consenso coloniale fascista

La “macchina imperfetta” del consenso coloniale fascista

Abstract: Il contributo esamina l’intreccio tra politica espansionistica e propaganda foto-cinematografica durante il ventennio fascista. Numerosi documenti conservati presso l’Archivio Centrale di Stato permetteranno di studiare le relazioni complesse – se non addirittura conflittuali – tra i vari enti coinvolti, in particolare tra Istituto Luce, ministero per la Stampa e Propaganda, ministero delle Colonie e la presidenza del Consiglio dei ministri. Ciò risulterà evidente durante la conquista dell’Etiopia, momento culminante in cui la fabbrica del consenso coloniale compì il suo massimo sforzo. La ricostruzione si soffermerà quindi sulla natura artificialmente indotta del consenso coloniale durante i mesi della guerra d’Etiopia, mostrando come in realtà le crepe in quel consenso rispecchiassero un meccanismo istituzionale deputato alla propaganda scarsamente efficace ed efficiente.

È ormai consolidata la produzione storiografica che ha indagato l’intreccio tra politica espansionistica italiana e pratiche culturali e sociali che la supportarono. Sin a partire dalla fine dell’Ottocento, le prime azioni coloniali nel Corno d’Africa iniziarono a catalizzare l’attenzione di una fetta di opinione pubblica sempre più vasta. Se è vero che il primissimo espansionismo nel Corno d’Africa, e soprattutto le sconfitte di Dogali e Adua, attirarono l’attenzione degli italiani su quelle tematiche, è altrettanto vero che l’interesse coloniale rimase fino ad allora altalenante, e di fatto limitato ai circoli sostenitori dell’espansionismo. Tuttavia, intorno alla metà della prima decade del Novecento si assistette a una ripresa e popolarizzazione del discorso espansionistico: nel 1906, a Roma, venne fondato l’Istituto Coloniale Italiano e il giornale dell’Istituto, la Rivista Coloniale, fu promotore di riflessioni sull’espansionismo. Le società geografiche, attive dalla fine dell’Ottocento e fiaccate dopo la sconfitta di Adua, iniziarono una lenta riorganizzazione che intersecherà l’ascesa del nazionalismo nella rivendicazione di una politica d’oltremare più aggressiva. Altre occasioni quali mostre ed esposizioni, conferenze, pubblicazioni apparse in riviste non specialistiche, unitamente alla virata dei programmi scolastici in termini più smaccatamente razzisti ed eurocentrici danno l’idea di come l’agenda coloniale stesse lentamente cercando di travalicare i confini degli addetti ai lavori direttamente interessati all’espansionismo. In questo processo, un ruolo fondamentale lo giocarono la popolarizzazione della radio, dello strumento fotografico e la prima diffusione del mezzo cinematografico. Dinamiche queste transnazionali, che certamente hanno influenzato la percezione del mondo extraeuropeo in quegli Stati occidentali direttamente impegnati nella gestione/conquista dell’oltremare. In particolare, il cinema permise una visione di eventi e luoghi lontani a uso e consumo degli spettatori metropolitani, avvalorando in maniera apparentemente “oggettiva” la visione di un’Europa come centro del mondo e l’interpretazione dell’espansionismo come conseguenza di tale primato. In questo senso, la nascita del cinema e l’apice dell’imperialismo si sono intrecciate in maniera peculiare.

In Italia, ciò troverà una prima realizzazione in occasione della guerra italo-turca, che fu uno spartiacque importante per la triangolazione del rapporto tra cultura di massa, colonialismo e identità nazionale. Da un lato, la radiotelegrafia fu implementata con successo quale strumento di comunicazione militare e informativa: Guglielmo Marconi si recò in Libia nel dicembre del 1911, volendo collaudare di persona i collegamenti radiofonici tra una stazione di Coltano (nei pressi di Pisa) e il fronte di guerra. Dall’altro, le elaborazioni sull’utilizzo del cinema e della fotografia quali produttori e riproduttori della realtà storica, capaci di educare all’appartenenza nazionale, trovarono occasione di essere messe in pratica. La produzione di numerose immagini sulla guerra coloniale porrà le basi per un primo inquadramento di tutta una serie di tecniche fotografiche, filmiche e di distribuzione all’interno dell’agenda governativa, processo questo che troverà piena realizzazione durante la Prima guerra mondiale e, soprattutto, durante il Ventennio: la riconquista libica prima e poi la guerra d’Etiopia videro realizzarsi l’irreggimentazione di una propaganda sistematica e quanto più possibile coordinata, grazie alla diffusione capillare e il consolidamento dell’azione dei mass media che sotto il regime mussoliniano acquisirono una preminenza mai sperimentata prima.

Alla luce di tali considerazioni, questo contributo vorrebbe indagare non tanto, o non semplicemente, la costruzione delle immagini foto-cinematografiche di Stato sulla presenza coloniale dell’Italia fascista in Africa; il focus sarà invece sulle vicende che porteranno alla nascita e messa in funzione di alcune delle strutture deputate alla propaganda coloniale fascista, con particolare riferimento a quella foto-cinematografica. In questo senso, i fondi documentali conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato (ACS) di Roma sono di fondamentale importanza. La loro analisi rivelerà l’intricato sistema di relazioni e strutture messe in piedi dal regime affinché la propaganda imperiale fosse in grado di pervadere il quotidiano. Questi documenti, spesso raccolti in gruppi archivistici tra essi molto disomogenei, offriranno materiale prezioso per una ricostruzione storica contestuale e paratestuale rispetto ai “testi” filmici e fotografici. Sarà quindi l’analisi delle dinamiche politiche, delle tensioni istituzionali e personali, dei meccanismi di produzione e dei contesti di fruizione – disciplinati in maniera sempre più stringente dal regime – che ci permetterà di analizzare le contraddizioni di una macchina “monoliticamente pluralista”nella gestione della propaganda coloniale, e in particolare di quella sul conflitto etiopico.

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