Le tipologie dei sistemi di scrittura: un approccio antropologico

Le tipologie dei sistemi di scrittura: un approccio antropologico

Abstract: Questo articolo sostiene che tutte le teorie della scrittura dell’ultimo mezzo secolo si siano fondate su definizioni “ideologiche” e, in particolare, su tipologie dei sistemi di scrittura storici articolate in base a un rigido criterio glotto-grafico di corrispondenza fra testo scritto e lingua verbale.
Dal mio punto di vista, tuttavia, è necessario adottare un approccio alternativo allo studio della scrittura ispirato a criteri antropologici e semiotici, per poter riformulare le basi stesse su cui fondare ogni classificazione di prodotti testuali in ambito grafico-visivo. Nell’articolo, così, gli esempi tratti da testi aztechi e mixtechi illustrano chiaramente come una griglia tassonomica più flessibile possa evitare i vincoli di uno studio della scrittura astratto e meramente formale; al contrario, solo integrando alla dimensione statica del testo visivo le molteplici abilità sociali e i contesti di interazione pertinenti sarà possibile assegnare un valore linguistico a qualunque configurazione grafico-notazionale sia intesa come scrittura entro una particolare cultura.

In this paper it is argued that all theories of writing emerged in the last fifty years are grounded on “ideological” definitions – and, mostly, on glottic-oriented typologies of historical writing systems.
However, in my view, an anthropological and semiotically informed approach to writing is needed, in order to rethink the basis for any viable assessment of textual products in visual and graphic domains: the cases of Aztec and Mixtec picture writing analyzed in the paper, indeed, show that a more flexible taxonomic grid can bypass formal and abstract constraints in the study of writing, while integrating the relevant social skills and contexts which give a linguistic value to any graphic configuration.

Definire con esattezza l’oggetto di studio di una disciplina costituisce un presupposto fondamentale di qualunque programma di ricerca coerente possa esser condotto nel suo ambito – o almeno così si ritiene; eppure molto spesso, nell’ambito delle scienze umane e sociali, simili definizioni sono esito di proposizioni deduttive destinate a valere come postulati di significato senza che sia possibile (o ritenuto utile) provarne la validità empirica.

Chiaro esempio di questa situazione lo troviamo affrontando una fra le questioni più discusse in oltre un secolo di approcci scientifici allo studio della scrittura (si chiami la disciplina in questione, come di volta in volta è stato fatto privilegiando alcuni aspetti del fenomeno, grammatologia, grafolinguistica, grafematica, antropologia della scrittura ma anche, in virtù di approcci definibili come pars pro toto, paleografia, epigrafia, diplomatica…): si tratta del problema che consiste nel definire l’essenza dell’oggetto di studio di tale disciplina, tracciando un confine a priori chiaro e indiscutibile fra scrittura e non-scrittura – quantunque alcuni studiosi abbiano da subito preferito parlare di pre-scrittura, sfumando così ex hypotesi l’ipotetica discontinuità tra i due domini. In questo modo, allora, ci si muove nel campo della teoria della scrittura esattamente come la linguistica, nello studio della comunicazione orale-vocale, ha scelto di fare quando si è posta il compito precipuo di distinguere sulla base di caratteristiche discrete fra lingua (umana, storico-naturale) e non-lingua – Hjelmslev avrebbe detto fra linguaggi linguistici e non linguistici.

Ciononostante, una definizione generale (ma non generica) dell’objet-scrittura – ovvero dell’oggetto di studio in senso saussuriano, astrazione costruita in funzione della legittimazione della disciplina stessa – sembrerebbe quanto mai necessaria per poter classificare i fenomeni scrittori entro raggruppamenti o tipi di natura diversa, a loro volta definiti in base ad affinità o differenze empirico-semiotiche più o meno costanti: vale a dire, per costruire una tipologia. Preliminarmente, però, bisognerebbe meglio chiarire da subito quali aspetti debbano (o dovrebbero) diventare pertinenti ai fini di tale classificazione: separando a priori, ad esempio, le dimensioni strutturali e sistematiche (quelle che potremmo definire notazionali, definite grafemiche da alcuni) dalle caratteristiche visuali di manifestazioni testuali specifiche che ciascuna cultura produce facendo uso di una notazione-sistema.

Ora, il solo fatto che siano state formulate negli anni decine di definizioni di (cosa sia) scrittura e altrettante tipologie dimostra incontrovertibilmente come – ben più di quanto sia accaduto nella riflessione sul linguaggio verbale – simili categorizzazioni/classificazioni appaiano davvero imperfette, al punto che attorno a questioni di natura terminologica continuano a ruotare molte fra le più recenti dispute circa la natura di specifici sistemi grafici (si pensi al botta e risposta sulla definizione di scrittura svoltosi nel biennio 2013-2015 fra sinologi del calibro di Handel e Unger).

A dispetto dei caveat di chi riconosce «that categories have fuzzy edges and that some entities have uncertain categorical identities», nonché delle riflessioni formulate dai padri fondatori dello studio della scrittura quali Ignace Gelb – chi non ricorda il famoso e citatissimo adagio «non esistono sistemi di scrittura puri, così come non esistono razze pure in antropologia o lingue pure in linguistica»? – in generale gli studiosi non hanno tratto le dovute conseguenze circa l’inevitabile dose di approssimazione insita in qualunque tipologia che semplifichi la complessa e multiforme manifestazione fenomenologica dei prodotti scritti realizzati dalle culture umane. Appena qualche pagina prima di esprimere la considerazione anti-essenzialista appena citata, così, Gelb proponeva di fatto la propria tipologia evoluzionista dei sistemi di scrittura e, così facendo, andava decisamente in senso contrario a quel che le classificazioni tipologiche novecentesche delle lingue avrebbero sancito: l’abbandono di un qualsivoglia criterio evolutivo alla base della classificazione di lingue storico-naturali. È chiaro, perciò, che nel caso di una “tecnologia” esteriorizzata, appresa e convenzionale come la scrittura un approccio evoluzionista – con tutto ciò che comporta ai fini di una “valutazione” spesso etnocentrica dei sistemi di scrittura – può evidentemente essere ancora (legittimamente, per Gelb e molti suoi epigoni sino a tempi recenti) sostenuto e giustificato.

Chiediamoci tuttavia se tutto ciò abbia ancora senso ove si adotti un approccio antropologico non essenzialista alle problematiche definitoria e classificatoria.

Cosa intendo sostenere con queste parole? Che in realtà spesso la ricerca nel campo dei sistemi grafico-scrittori può accontentarsi di far ricorso a semplici e provvisorie “definizioni operative” per alcune nozioni di base – tipicamente scrittura, grafema o unità minima, nonché quelle dei termini denotanti il criterio operativo in gioco nel rapporto fra unità grafica e unità linguistica (logogramma, alfabeto, sillabario, alfabeto consonantico) …

A_Perri_Le-tipologie-dei-sistemi-di-scrittura_13_01