L’autunno del Pop e l’equivoco estetico. Britney Spears at the edge of time: 1999-2008. Parte I – Eclissi della distanza estetica. The rise of the Sixties

L’autunno del Pop e l’equivoco estetico. Britney Spears at the edge of time: 1999-2008. Parte I – Eclissi della distanza estetica. The rise of the Sixties

Abstract: Nei 1990s tutti aspettavano l’avvento di Britney Spears. Anche se non lo sapevano, anche se non volevano o non gli interessava tutti stavano aspettando l’arrivo di Britney Spears. Era nell’aria, si poteva avvertire che qualcosa stava chiamando. D’altronde ci era stata profetizzata da molti anni, la sleeping girl che, come uno spettro che vive nella traccia della propria assenza, attendeva il momento giusto per manifestarsi ed intercettare l’archetipo del proprio tempo storico. Tutti stavano aspettando Britney Spears. Purtroppo per lei, invece, Britney Spears non si aspettava «noi». La recente pubblicazione dell’autobiografia della cantante ed entertainer (B. Spears, The Woman in Me, Gallery Books, London-New York, 2023) permette di tornare a riflettere su di un decisivo arco temporale, quello dispiegatosi nella cesura storica del 1998-2008, e che ha visto definirsi il compiuto passaggio dal mondo analogico, industriale e materiale a quello digitale, immateriale, comunicativo ed partecipativo, cambiando radicalmente il mondo della vita e dell’esperienza quotidiana e, di conseguenza, la percezione del proprio essere nel mondo dell’uomo occidentale, ridefiniti da una digitalizzazione/informatizzazione di massa e da tecnologie della comunicazione sempre più ubiquitarie e pervasive (Ubiquitous Computing). Ecco, di questo passaggio storico, Britney Spears è considerabile espressione di una urgenza storica, la mediazione archetipale e/o l’iconica concrezione della fine del Pop (post)moderno e l’inizio, l’apertura di un nuovo immaginario storico ed estetico, di nuove forme della socializzazione e di un diverso canone dello sguardo, ed in cui il Pop si vede sempre di più rimodulato in guisa high-tech e digitale. Ma cosa s’intende con Pop? Che cosa è ciò che chiamiamo “Pop”? È a questa domanda, apparentemente banale, ed al suo reciproco – che cosa è l’estetica americana dei Sixties e cosa definisce la specificità dell’arte americana dopo il 1950? – che è necessario rispondere al momento di affrontare un qualsivoglia discorso critico sulla cultura popolare e la celebrity, la loro fenomenologia, i loro eroi e le loro star. Nella prima parte si cercherà di dare una risposta ad alcuni di questi interrogativi, mostrando, da una parte che il Pop più che una corrente artistica od espressione di un fenomeno di successo, appunto popolare, è definibile come una struttura del sentire ed una sensibilità estetica, un fenomeno nato e sviluppatosi in una precisa collocazione storica e geografica, e che non sempre, e necessariamente, coincide, tout court, con la cultura popolare e le sue manifestazioni di massa; d’altra parte, allo stesso tempo il Pop è stato la manifestazione di una nuova direzione dell’estetico, concisa con l’avvento dei Sixties e con la rivolta dell’estetica americana contro le gabbie estetiche e percettive moderne e/o moderniste, proponendosi l’obbiettivo di de-estetizzare l’arte moderna ed aprire tutte le espressioni estetiche all’inclusione dello spettatore del pubblico nella stessa definizione dell’opera e, così, reinterpretando il canone della bellezza nel senso di una qualità dell’esperienza estetica ed interattiva. Partita dalla sparizione della distanza estetica, e culminata nella smaterializzazione dell’arte, l’estetica americana dei Sixties ha aperto, così, a quelle contraddizioni che esploderanno nei 1980s e che, complici la fine del regime del New Deal Liberalism e l’avvento e la diffusione delle nuove tecnologie informatiche e comunicative, porteranno ad una nuova rimodulazione, ipermoderna, del Pop, sempre di più digitalizzato e dai 1990s alla ricerca di nuove figure mito-iconiche in grado di catalizzarne le nuove strutture del sentire.

Nei 1990s tutti aspettavano l’avvento di Britney Spears. Anche se non lo sapevano, non ne erano coscienti ed anche se non volevano o non gli interessava, tutti stavano aspettando l’arrivo di Britney Spears. Era nell’aria, si poteva avvertire che qualcosa stava chiamando. D’altronde ci era stata profetizzata da molti anni, la sleeping girl che, come uno spettro che vive nella traccia della propria assenza, attendeva il momento giusto per manifestarsi ed intercettare l’archetipo del proprio tempo storico. Tutti stavano aspettando Britney Spears. Purtroppo per lei, invece, Britney Spears non si aspettava «noi». 

Attraverso queste parole, riprese e parafrasate da Cristopher Smit,  è possibile sintetizzare icasticamente la figura ed il fenomeno di Britney, la sua fenomenologia storica e culturale, le quali vanno ben oltre la persona/personaggio (c’è forse una differenza in Britney?) e la sua musica in quanto tali.

La recente pubblicazione dell’autobiografia della cantante ed entertainer (B. Spears, The Woman in Me, Gallery Books, London-New York, 2023) permette di tornare a riflettere su di un decisivo arco temporale, quello dispiegatosi nella cesura storica del 1998-2008, e che ha visto definirsi il compiuto passaggio dal mondo analogico, industriale e materiale a quello digitale, immateriale, comunicativo ed partecipativo, cambiando radicalmente il mondo della vita e dell’esperienza quotidiana e, di conseguenza, la percezione del proprio essere nel mondo dell’uomo occidentale, ridefiniti da una digitalizzazione/informatizzazione di massa e da tecnologie della comunicazione sempre più ubiquitarie e pervasive (Ubiquitous Computing). Ecco, di questo passaggio storico, in cui una fase si chiude e nello stesso tempo se ne apre un’altra, Britney Spears è considerabile espressione di una urgenza storica, la mediazione archetipale e/o l’iconica concrezione ontica della fine del Pop (post)moderno e l’inizio, l’apertura di un nuovo immaginario storico ed estetico, di nuove forme della socializzazione e di un diverso canone dello sguardo, ed in cui il Pop si vede sempre di più rimodulato in guisa high tech e digitale. Perfetta concrezione “Pop”, ma appunto: cosa s’intende con Pop? Che cosa è ciò che chiamiamo “Pop”? È a questa domanda, apparentemente banale, ed al suo reciproco – che cosa è l’estetica americana dei Sixties e cosa definisce la specificità dell’arte americana dopo il 1950? – che è necessario rispondere al momento di affrontare un qualsivoglia discorso critico sulla cultura popolare e la celebrity, la loro fenomenologia, i loro eroi e le loro star. Soprattutto questo è quanto mai vero in riferimento a Britney che, come accennato, del Pop sembra aver manifestato il suo “fine” e la sua “fine”, il suo superamento e la sua ricapitolazione; il suo, cioè, «esempio (non)essenziale». Perché senza una previa revisione della categoria del “Pop” ed una, seppur schematica, ricostruzione storica e semantica, dell’estetica propriamente americana (quella per l’appunto databile a partire dai 1950s) sarebbe impossibile inquadrare il fenomeno Britney ed il processo estetico/sociale di cui nei 2000s è (stata) il paradigma e la (ri)mediazione forse più importante, di certo quello più celebre ed ubiquitariamente ed immediatamente riconoscibile.

L.-Marras-Lautunno-del-Pop-2023-Parte-I-Eclissi-della-distanza-estetica_25_02-B