L’autunno del Pop e l’equivoco estetico. Britney Spears at the edge of time: 1999-2008. Parte II – Learning from Britney

L’autunno del Pop e l’equivoco estetico. Britney Spears at the edge of time: 1999-2008. Parte II – Learning from Britney

Abstract: Dalla metà dei 1980s si è andata sempre di più evidenziando la necessità di nuove figure iconiche ed archetipali in grado di incarnare la forma assoluta dell’estetica americana, cioè il dionisiaco nella sua configurazione più compiutamente ipermoderna e digitale. A questo proposito non è un caso che siano dovuti passare quasi quindici anni – dal 6 novembre 1984 al 30 settembre 1998 – affinché emergesse una figura iconica adatta al nuovo Zeitgeist: Britney Spears. Ed è attraverso il fenomeno Britney Spears che il Pop moderno e postmoderno sembra aver manifestato il suo “fine” e la sua “fine”, la sua ricapitolazione ed il suo superamento in qualcosa d’altro. Figura di una complessità estetica difficilmente esagerabile, e dalla potenza iconica devastante, Britney Spears è considerabile, nei 2000s, come la «mediazione» paradigmatica di molti dei processi storici, estetici e culturali che hanno definito il passaggio dall’epoca analogica a quella digitale, aprendola ad una sua configurazione ludica e partecipativa. Archetipo del “divismo” nell'era digitale, Britney ha indicato in maniera “esemplare” il passaggio dal consumo passivo ad una interazione attiva e partecipativa dei media, portando il Pop verso quella dimensione dell’immagine e della celebrity sempre di più soggetta a continue riscritture partecipative e, così, determinando uno sfasamento ed uno smarcamento dell’idea Pop per come si è andata storicamente categorizzando nei Sixties. Nei 2000s, ed in particolare con l’avvento dei social media partecipativi, si porta alle sue estreme conseguenze quella eclissi della distanza estetica cominciata nei Sixties, al punto (com’è stato evidente anche nel caso della controversia sulla tutela legale conclusasi solo nel 2021) che l’audience nelle sue sempre più raffinate possibilità tecnologiche e «social» di riscrittura e co-creazione artistica, ha compreso di poter bypassare lo stesso oggetto artistico, per mettersi direttamente a ridefinire o ricreare l’artista in quanto tale, la sua vita e la sua persona. In questo modo, attraverso Britney, si riflette un cambiamento nelle dinamiche di potere e controllo dell’immagine e dell’identità nell'era digitale. Britney, come è stato per molte delle celebrity del passato, non si è limitata ad utilizzare un medium ed esservi veicolata, ma è diventa essa stessa un media partecipativo, arrivando al punto di esistere solo in quanto immagine, in una iperbole fenomenologica, perché dietro alle immagini di Britney non sembrava esserci niente (altro), non una persona “diversa” rispetto all’immagine, non una persona diversa dall’artista/entertainer, una donna rispetto al fenomeno, con una sua vita “propria”, ed a noi sconosciuta, rispetto a quella del personaggio pubblico. È possibile sostenere, allora, come – in quanto fenomeno culturale – Britney sia stata la propria immagine, totalmente “persona”, poiché il suo percorso di crescita in quanto essere umano è coinciso con la costruzione della sua immagine pubblica condivisa e consumabile, della sua «maschera» mediatica e digitale. È in questo senso, allora, che si può sostenere come Britney sia stata la sacerdotessa della de-estetizzazione del Pop in chiave high-tech e la profetessa del Web 2.0. Ed è così che Britney può ben incarnare quel ruolo di mediatore che, dopo aver “annunciato” l’avvento ed il compimento di un nuovo paradigma culturale e di nuove dinamiche sociali ed estetiche, sparisce nel tessuto della storia. Un «medium» che, appunto, agisce come un agente del cambiamento storico e culturale, plasmando paradigmi artistici e comunicativi prima di sfumare nell'obsolescenza e/o evolversi in qualcos’altro.

Dalla metà dei 1980s si è andata sempre di più evidenziando la necessità di nuove figure iconiche ed archetipali in grado di incarnare la forma assoluta dell’estetica americana, cioè il dionisiaco nella sua configurazione più compiutamente ipermoderna ed high–tech; figure, cioè, in grado di rappresentare, nella sua forma sempre più socialmente pervasiva, ludica e digitale, l’evoluzione delle interazioni sociali, i modi d’essere e le strutture del sentire del capitalismo neoliberale, il capitalismo dell’informazione e della conoscenza; evoluzione derivante, infatti, anche, se non soprattutto, dall’avvento dell’informatizzazione di massa e dalla digitalizzazione ubiquitaria e pervasiva. A questo proposito non è un caso che siano dovuti passare quasi quindici anni – dal 6 novembre 1984 al 30 settembre 1998 – affinché emergesse una figura iconica adatta al nuovo Zeitgeist: Britney Spears.

E si faccia attenzione a non sottovalutare l’arco temporale, cioè quindici anni, poiché rappresentano un’eternità nel mondo dei mass media; infatti è in questi anni che si compie il passaggio completo ed irreversibile dall’analogico al digitale e dal digitale al partecipativo e «social», con tutto il riflesso che se ne ha sulla relativa ontologia delle immagini; passaggio, questo, “fotografato” in maniera epocale dalla repentina scomparsa della Kodak e della “pellicola” fotografica. Archetipo sociale dell’analogico e fattore identitario di diverse generazioni – che ha «contribuito a definire come l’uomo del novecento vedeva e percepiva la realtà», ridefinendo l’autoconsapevolezza, attraverso le immagini, della propria collocazione nel mondo –, la Kodak, che in principio dei 2000s si posizionava ai primi posti nella classifica delle maggiori corporation globali (peraltro una ventina di posizioni sopra alla Apple), in pochi anni è letteralmente sparita dalla faccia della terra, spazzata via dallo tsunami del digitale. Ed è così che il passaggio dall’analogico al digitale ha finalmente permesso allo spettatore di essere davvero interattivo, poiché dai 2000s il pubblico non si accontenta più di consumare e/o contemplare l’oggetto estetico, ma vuole vivere in questa interazione un’esperienza nella quale si scopre realmente partecipe, financo co–creatore; un’esperienza fenomenica nella quale percepisce di essere (anche)lui l’evento. Ed ecco, allora, uno dei retaggi di molte delle concettualizzazioni artistiche americane dei 1960s, non solo quelle minimaliste; retaggi ancora oggi necessari al fine di permettere di comprendere meglio le rimodulazioni estetiche dei 2000s: essere partecipe e co-creatore, dell’opera, dell’evento. Lo spettatore, così, si trasforma sempre di più da user a costumer, da consumer a prosumer. Se nei Sixties lo spettatore e la sua esperienza erano in grado di mettere in opera l’opera (la cui essenza, così, sempre di più esisteva solo nel rapporto partecipativo con l’audience), il pubblico, spettatore, consumatore dei 2000s hanno la possibilità di influenzarla, addirittura modificarla.

L.-Marras-Lautunno-del-Pop-2023-Parte-II-Learning-From-Britney_DEF