Not even wrong: Villeneuve’s Dune flawed and disjointed journey. Dune parte 2 (Villeneuve, 2024), or The Curse of «Auteur flicks» in the Age of «Rule of Cool»

Not even wrong: Villeneuve’s Dune flawed and disjointed journey. Dune parte 2 (Villeneuve, 2024), or The Curse of «Auteur flicks» in the Age of «Rule of Cool»

Abstract: Dopo più di due anni esce al cinema la seconda parte della trasposizione di Dune di Frank Herbert ad opera di Denis Villeneuve. In una lunga analisi del settembre 2021 – Mitologie del futuro – abbiamo cercato di mostrare il perché non eravamo d’accordo con i giudizi, spesso entusiastici, della versione di Villeneuve, ed al contrario ritenemmo che il film non solo non riusciva a risolvere i problemi che attanagliavano l’adattamento compresso e convoluto di Lynch, ma addirittura li amplificava, finendo, paradossalmente, in un adattamento ancor più inintelligibile. Il rischio era che lo spettatore, non avvezzo con i romanzi, con tutta probabilità sarebbe uscito dalla sala senza aver capito la gran parte degli aspetti essenziali dell’opera originale. L’analisi del 2021 era molto lunga e dettagliata, come quella che proponiamo ora, perché l’essenza di Dune non è tanto nel plot o nella caratterizzazione dei personaggi, ma nei suoi dettagli. Senza quei dettagli, Dune non è Dune. Dune del 2021, infatti, presentava numerosi tagli, spesso incomprensibili, semplificazioni, condensazioni, indebite attualizzazioni, una corte di non personaggi etc., e così, della mitologia di Dune di Herbert, offrendo una versione banalmente manichea ed edulcorata, quasi «disney-ficata»; al punto, concludevamo amaramente, che non si realizzò una trasposizione del libro, quanto l’adattamento della sua quarta di copertina. Ma, ci si diceva, per giudicare si sarebbe dovuto attendere l’uscita della seconda parte, la quale probabilmente avrebbe risposto di tutte le criticità riscontrate nella precedente. Ora che la seconda parte è finalmente nelle sale, il risultato, però, è stato quello di rivelarci che di Dune di Herbert, in realtà, non è stata trasposta neanche la quarta di copertina. Dune 2024, infatti, ha provato a risolvere le criticità del precedente adattamento non risolvendole, ma abbracciandole e cavalcandole. Perché se apparentemente Dune Parte 2 appare meno problematico della precedente parte, ad uno sguardo perspicuo, quello in grado di guardare attraverso la coltre della coolness tecnica e visiva di cui il film fa continuamente sfoggio, si evidenzia che nel finale la sua sostanza si discosta ancor più radicalmente non solo dalla fonte originaria, al punto da contraddirla in maniera decisiva, ma anche da se stesso, poiché in molte occasioni, troppe, il film si contraddice in se stesso. Di qui, allora, anche la scelta d’intitolare questo saggio con «Not Even Wrong», per indicare una trasposizione talmente mal riuscita, da non poter neanche considerarsi come non riuscita. Sia in Mitologie del futuro sia in Not Even Wrong, insomma, abbiamo cercato di mostrare come l’adattamento di Dune 2021/2024 ad opera di Denis Villeneuve per noi sia un fallimento così grande, da non essere neanche considerabile come un fallimento. Villeneuve ed i suoi collaboratori hanno scelto di adattare Dune non solo spogliandolo di tutte le sue caratteristiche essenziali, e così rendendolo un surrogato praticamente incomprensibile a chi non conosce l’opera originale o il film di Lynch, ma sembra abbiano avuto anche la presunzione (tipica di molti “autori” dei 2010s/2020s) di migliorarlo, apportandone alcuni cambiamenti e tagli che ne hanno contraddetto in toto le intenzioni e la sostanza. Dune 2024 apre, però, alla possibilità di una riflessione più ampia sulle tendenze del cinema contemporaneo, dominato dall’idea che la coolness delle singole scene e delle immagini (Rule of Cool) possa essere considerata, in quanto tale, come la qualità estetica ed autoriale di un film inteso come arte del visibile. Perché il problema, la condanna diremmo, del cinema contemporaneo è proprio questa nebulosità estetica e critica che fa sì che film che fino ai 1980s, e quando andava bene, sarebbero al massimo stati considerati degli ottimi film di cassetta per un pubblico generalista vengono ora proposti – ad un pubblico sempre più anestetizzato da un’estetica della coolness tanto invasiva quanto fine a se stessa – come opere adulte ed “artistiche”, se non come capolavori degni di essere messi al fianco dei grandi classici della storia del cinema. «Auteur Flicks» che appaiono sempre di più come una sorta di esperimento di manipolazione percettiva e critica, abilmente orchestrata dall’industria culturale al fine di far credere al grande pubblico appunto che film che fino ai 1980s erano classificabili come «flicks» – B-movies leggeri, action blockbuster d’intrattenimento, etc. - ora sono da considerarsi come autentici film d’autore, opere di grande valore artistico o critico. Cos’è che ha fatto sì che un flick d’azione che nei 1980s ha ricevuto lo sdegno critico universale possa essere nel 2024 riverniciato con una coolness fuori parametro e così essere “riproposto” come cinema d’autore? Di certo il fatto che il periodo tra 1990s ed i 2010s ha visto compiersi quel passaggio storico dove l’ascesa della «nerd culture», la diffusione ubiqua e pervasiva dei Social Network partecipativi e l’adozione della «Rule of Cool» come principale criterio di produzione estetica del cinema contemporaneo. Ed è così che possiamo concludere per come nel 2021 cominciammo, perché dopo la visione di questo «Dune Parte 2», l’amara conclusione sulla possibilità di trasporre Dune di Frank Herbert per il cinema non può che essere la stessa che fu anche di Alejandro Jodorowsky: “Dune” … nobody can do it. It’s a legend».

After over two years, the cinema finally sees the release of the second part of Denis Villeneuve's adaptation of Frank Herbert's Dune. In a comprehensive analysis from September 2021 – "Future Mythologies" –, we aimed to showcase why we disagreed with the often-enthusiastic reviews of Villeneuve's version, arguing instead that the film not only failed to address the issues plaguing Lynch's condensed and convoluted adaptation but actually exacerbated them. This led, paradoxically, to an even more unintelligible adaptation, where viewers unfamiliar with the novels would likely leave the theater without grasping most of the essential aspects of the original work.
The 2021 analysis was long and detailed, similar to what we present now, because the essence of Dune lies not so much in the plot or character development but in its details. Without those details, Dune isn't Dune. Indeed, Dune 2021 featured numerous cuts, often incomprehensible, simplifications, condensations, undue modernizations, underdeveloped characters, etc., resulting in a version of Herbert's Dune mythology that was simplistically dualistic and sweetened, almost "Disney-fied," to the point, we concluded bitterly, that it didn't adapt the book so much as its back cover blurb.
However, we thought, final judgment should be reserved for the release of the second part, which would likely address the criticisms of the first. Now that the second part is finally out, it has shown that, in reality, not even the back cover blurb of Herbert's Dune was adapted. Dune 2024 attempted to address the previous adaptation's issues not by solving them, but by embracing and riding them. For while Dune 2024 may seem less problematic than its predecessor at a cursory glance, a discerning eye, capable of looking beyond the film's technical and visual coolness it flaunts, will see that its substance diverges even more radically from the original source, ultimately contradicting it decisively.
Thus, we also titled this essay "Not Even Wrong," to indicate an adaptation so poorly executed it can't even be considered a failure. In both "Future Mythologies" and "Not Even Wrong," we've attempted to show how Denis Villeneuve's adaptation of Dune 2021/2024 is such a massive failure, it can't even be regarded as a failure. Villeneuve and his team chose to adapt Dune by stripping it of all its essential characteristics, thus rendering it virtually incomprehensible to those unfamiliar with the original work or Lynch's film, and seemed to also presume (typical of many "authors" of the 2010s/2020s) to improve it, making changes and cuts that contradicted its intentions and essence outright.
Yet, Dune 2024 opens up broader reflections on contemporary cinema trends, dominated by the notion that the coolness of individual scenes (Rule of Cool) can be considered, as such, the aesthetic and authorial quality of a film as an art of the visible. The problem, the curse of contemporary cinema is precisely this aesthetic and critical nebulousness that allows films that, until the 1980s, would at best have been considered excellent Flicks movies for a general audience, are now presented – to an audience increasingly numbed by a pervasive yet ultimately self-serving aesthetic of coolness – as mature and "artistic" works, even masterpieces worthy of standing alongside the great classics of cinema history.
"Auteur Flicks" increasingly appear as a sort of perceptual and critical manipulation experiment, skillfully orchestrated by the cultural industry to convince the public that films that until the 1980s were classified as "flicks" – light B-movies, action blockbusters for entertainment, etc. - are now to be considered genuine auteur films, works of significant artistic or critical value. What has allowed an action flick, which in 1980s was universally derided by critics, to be “repackaged” in 2024 with an unprecedented level of coolness and “relaunched” in such a way that it is considered auteur cinema? Certainly, the period between the 1990s and the 2010s witnessed that historic transition where the rise of "nerd culture", the ubiquitous and pervasive spread of participatory Social Networks, and the adoption of the "Rule of Cool" as the primary criterion for aesthetic production in contemporary cinema took place.
Thus, we conclude as we began in 2021, because after watching "Dune Part 2," the bitter conclusion on the possibility of adapting Frank Herbert's Dune for cinema, can only be the same as Alejandro Jodorowsky's: "Dune"… nobody can do it. It’s a legend.

Nel 2021 è uscita la prima parte della nuova versione cinematografica di Dune di Frank Herbert ad opera di Denis Villeneuve, da molti salutata come eccellente sia come trasposizione sia come film in sé; in questo, così si è ritenuto, Villeneuve – che ha dichiarato di essere un fan di Dune di Herbert e di volerne realizzare la trasposizione più fedele possibile – sarebbe riuscito in quello che invece aveva fatto fallire l’adattamento del 1984 ad opera di David Lynch. 

In una lunga analisi del settembre 2021 – Mitologie del futuro –  abbiamo cercato di mostrare il perché non eravamo d’accordo con i giudizi, spesso entusiastici, della versione di Villeneuve, ed al contrario ritenemmo che il film – nonostante il minutaggio quasi triplicato rispetto a quello della versione del 1984 – non solo non riusciva a risolvere i problemi che attanagliavano l’adattamento compresso e convoluto di Lynch, ma addirittura li amplificava, finendo, paradossalmente, in un adattamento ancor più inintelligibile. Il risultato fu che lo spettatore non avvezzo con i romanzi (o con la versione del 1984) con tutta probabilità sarebbe uscito dalla sala senza aver realmente compreso la gran parte degli aspetti essenziali dell’opera originale; quegli stessi aspetti, però, che ne avevano decretato il successo e definito il suo posto tra i classici della letteratura del novecento. L’analisi del 2021 era molto lunga e dettagliata, come quella che proponiamo ora, perché l’essenza di Dune non è tanto da ricercarsi nel plot o nella caratterizzazione dei personaggi, ma nei suoi dettagli. Senza quei dettagli, quello che si ottiene è tutto, ma di certo non Dune di Herbert.  Dune del 2021, infatti, presentava numerosi tagli, spesso incomprensibili, semplificazioni, condensazioni, indebite attualizzazioni, personaggi non caratterizzati etc.  e così offrendo, della mitologia di Dune di Herbert, una versione banalmente manichea ed edulcorata, quasi «disney-ficata»; al punto, concludevamo amaramente, che non si realizzò una trasposizione del libro, quanto l’adattamento della sua quarta di copertina. Ma, ci si diceva, per giudicare si sarebbe dovuto attendere l’uscita della seconda parte, la quale probabilmente avrebbe risposto di tutte le criticità riscontrate nella precedente. Dopo due anni e mezzo, la seconda parte è finalmente nelle sale, con il risultato, però, di mostrare che di Dune di Herbert, in realtà, non è stata trasposta neanche la quarta di copertina. Perché se la produzione di Dune Parte 2 (d’ora in avanti Dune 2024) può affermare che al centro di Dune ci sarebbe un «conflitto senza tempo tra le forze del bene e del male», e di conseguenza ha realizzato questi film secondo una cosiffatta bussola ermeneutica, allora ciò non può significare nient’altro che, se l’intenzione era davvero quella di realizzare una versione fedele alle logiche del Romanzo di Herbert, dei Dune si è davvero capito poco, se non nulla (temi come l’amore romantico e materno e l’eterno conflitto tra bene e male come principali in Dune di Herbert?). E difatti, il complesso immaginario di Herbert, seguendo questa logica non poteva che risultare violentato, per trasformarlo in una versione terribilmente noiosa ed infantile (seppur Rated PG-13) di alcuni episodi di Star Wars.

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