Hallyu Effect. Riding the Wave: Parasite come coronamento della politica culturale transnazionale coreana (1999-2019)


Abstract: Il premio Oscar 2019 come miglior film dell’anno in USA al coreano Parasite di Bong Joon-ho è stato una grande sorpresa, per alcuni rappresentando un terremoto culturale all’interno dell’egemonia culturale anglo-americana. La tesi di questo scritto è che, ad una più attenta analisi storica ed economica delle politiche culturali della Corea del sud degli ultimi venti anni (1999-2019) e della conseguente diffusione e successo della cultura popolare coreana su scala globale, l’Oscar a Parasite, pur rimanendo una sorpresa, non è – paradossalmente solo in apparenza – considerabile come sorprendente. Appare, anzi, come il coronamento degli sforzi di una Cultural Economy, il cui successo sempre crescente e transnazionale – attraverso l’invenzione del fenomeno culturale Hallyu (Korean Wave), e che è possibile definire come l’industria dell’esportabilità della korean-ness nel mondo – l’ha portata non solo a poter rivaleggiare – in termini sia qualitativi sia commerciali – con quella statunitense, ma ha anche trasformato la stessa industria culturale in uno strumento, sempre più raffinato, efficiente ed impetuoso, di Soft Power Diplomacy e la Corea in un vero e proprio Brand internazionale. È per questo che il successo di Parasite agli Oscar non sembra mostrarsi come un autentico terremoto; perché Parasite, nella strada verso l’Oscar, da una parte ha potuto cavalcare l’ondata, lo tsunami, dell’Hallyu nel mondo e la sua penetrazione nell’immaginario quotidiano, popolare, USA; dall’altro perché il gigantesco successo dell’industria creativa coreana e dell’Hallyu, di cui Parasite è pur sempre espressione, è a sua volta frutto di una policy industriale e culturale che è figlia delle medesime pratiche governamentali “occidentali” e/o “globaliste”, cioè quelle neoliberiste, e che in Corea a partire proprio dal 1999 sono state messe in pratica in maniera decisa ed aggressiva. In questo senso, tutto sembra suggerire che, nonostante l’assoluta ed indiscutibile qualità artistica di Parasite, in un mondo globalizzato e ubiquitariamente pervaso dall’invisibile rationale neoliberista, a dettare le regole del gioco e “scegliere” coloro che possono parteciparvi, finanche vincere, rimane pur sempre il capitale.

Il premio Oscar come miglior film del 2019 assegnato al film della Corea del sud (d’ora in avanti, Corea) Parasite di Bong Joon-ho ha rappresentato una sorpresa per l’intera industria cinematografica non solo statunitense ma anche mondiale; per la prima volta un film non parlato e/o distribuito in lingua inglese è riuscito ad ottenere il premio come miglior film dell’anno, facendo così la storia. Nonostante in passato ci siano stati altri film non in lingua inglese candidati come miglior film dell’anno – Crouching Tiger, Hidden Dragon (Cina, 2000), Babel (USA, Messico, Giappone, 2006), Amour (Francia, 2012) Roma (Messico, 2018) –, nessuno era però mai riuscito a conquistare la roccaforte dell’egemonia culturale e popolare anglo-americana.

Il successo di Parasite ha portato ad una serie di analisi sull’importanza e le ripercussioni per tutta la cinematografia mondiale, per alcuni manifestando una storica apertura di Hollywood e degli USA al multiculturalismo cinematografico, e a tutta una serie d’interrogativi sul perché e sul come un film non parlato in inglese fosse riuscito in questa impresa. E se alcune di queste analisi erano interessanti, mentre altre meno, nessuna, però, ha – almeno a nostra conoscenza – cercato di contestualizzare la vittoria di Parasite, all’interno della storia economica, culturale e popolare coreana degli ultimi venti anni.

Parasite, locandina
Parasite, locandina

La tesi che vorremmo sottoporre in questo scritto è, da una parte che il successo di Parasite nonostante sia stato una sorpresa, non è per questo definibile – paradossalmente solo in apparenza – come sorprendente; dall’altra, di conseguenza, che la storia, i dati e la posizione della Corea all’interno del sistema-mondo capitalista suggeriscono tutt’altra idea che quella di un terremoto culturale, una crepa del sistema culturale americano ed occidentale che permetterebbe a chiunque – dotato unicamente di un grande talento e buona volontà – non solo di partecipare al gioco, ma addirittura di vincere; come anche, suggerisce ben altro che per far accettare al grande pubblico, non soltanto alle elite culturali, il prodotto di una cultura lontana e spesso incomprensibile sia sufficiente superare lo scoglio della lingua e/o quello della lettura dei sottotitoli.

Infatti, ad una più attenta analisi delle vicende – storiche, sociali, politiche ed economiche – della cultura popolare coreana, l’Oscar a Parasite sempre di più appare come il coronamento degli sforzi di una ben precisa politica governamentale coreana, e che – a partire dal 1999 ed attraverso un equilibrio sempre instabile, delicato e problematico in una economia di mercato neoliberale, tra dirigismo e libero mercato – è stata con tenacia e non pochi sacrifici – politici, sociali ed economici – perseguita e sostenuta (con investimenti diretti, incentivi fiscali etc. etc.) per un ventennio, per così permettere all’industria culturale coreana di svilupparsi (artisticamente e produttivamente, soprattutto tecnologicamente) ad un livello non solo locale e regionale, ma anche globale.

In questo senso, gli effetti di una tale politica hanno giovato al film di Bong Joon-ho, creandogli quel contesto economico e culturale transnazionale che gli ha permesso, appunto in soli vent’anni, di arrivare dove nessuno era mai riuscito. Senza un contesto popolare di accettazione culturale, a prescindere da quanto artisticamente Parasite sia considerabile valido qualitativamente ed esteticamente, non avrebbe mai potuto, così crediamo, convincere l’Academy statunitense ad assegnargli l’Oscar.

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