Hallyu Effect. Riding the Wave: Parasite come coronamento della politica culturale transnazionale coreana (1999-2019)
Il premio Oscar come miglior film del 2019 assegnato al film della Corea del sud (d’ora in avanti, Corea) Parasite di Bong Joon-ho ha rappresentato una sorpresa per l’intera industria cinematografica non solo statunitense ma anche mondiale; per la prima volta un film non parlato e/o distribuito in lingua inglese è riuscito ad ottenere il premio come miglior film dell’anno, facendo così la storia. Nonostante in passato ci siano stati altri film non in lingua inglese candidati come miglior film dell’anno – Crouching Tiger, Hidden Dragon (Cina, 2000), Babel (USA, Messico, Giappone, 2006), Amour (Francia, 2012) Roma (Messico, 2018) –, nessuno era però mai riuscito a conquistare la roccaforte dell’egemonia culturale e popolare anglo-americana.
Il successo di Parasite ha portato ad una serie di analisi sull’importanza e le ripercussioni per tutta la cinematografia mondiale, per alcuni manifestando una storica apertura di Hollywood e degli USA al multiculturalismo cinematografico, e a tutta una serie d’interrogativi sul perché e sul come un film non parlato in inglese fosse riuscito in questa impresa. E se alcune di queste analisi erano interessanti, mentre altre meno, nessuna, però, ha – almeno a nostra conoscenza – cercato di contestualizzare la vittoria di Parasite, all’interno della storia economica, culturale e popolare coreana degli ultimi venti anni.
La tesi che vorremmo sottoporre in questo scritto è, da una parte che il successo di Parasite nonostante sia stato una sorpresa, non è per questo definibile – paradossalmente solo in apparenza – come sorprendente; dall’altra, di conseguenza, che la storia, i dati e la posizione della Corea all’interno del sistema-mondo capitalista suggeriscono tutt’altra idea che quella di un terremoto culturale, una crepa del sistema culturale americano ed occidentale che permetterebbe a chiunque – dotato unicamente di un grande talento e buona volontà – non solo di partecipare al gioco, ma addirittura di vincere; come anche, suggerisce ben altro che per far accettare al grande pubblico, non soltanto alle elite culturali, il prodotto di una cultura lontana e spesso incomprensibile sia sufficiente superare lo scoglio della lingua e/o quello della lettura dei sottotitoli.
Infatti, ad una più attenta analisi delle vicende – storiche, sociali, politiche ed economiche – della cultura popolare coreana, l’Oscar a Parasite sempre di più appare come il coronamento degli sforzi di una ben precisa politica governamentale coreana, e che – a partire dal 1999 ed attraverso un equilibrio sempre instabile, delicato e problematico in una economia di mercato neoliberale, tra dirigismo e libero mercato – è stata con tenacia e non pochi sacrifici – politici, sociali ed economici – perseguita e sostenuta (con investimenti diretti, incentivi fiscali etc. etc.) per un ventennio, per così permettere all’industria culturale coreana di svilupparsi (artisticamente e produttivamente, soprattutto tecnologicamente) ad un livello non solo locale e regionale, ma anche globale.
In questo senso, gli effetti di una tale politica hanno giovato al film di Bong Joon-ho, creandogli quel contesto economico e culturale transnazionale che gli ha permesso, appunto in soli vent’anni, di arrivare dove nessuno era mai riuscito. Senza un contesto popolare di accettazione culturale, a prescindere da quanto artisticamente Parasite sia considerabile valido qualitativamente ed esteticamente, non avrebbe mai potuto, così crediamo, convincere l’Academy statunitense ad assegnargli l’Oscar.
GdS_MARRAS_Hallyu_Effect-1