La democrazia bolognese di fronte alla crisi: 1860-1868
Il presente articolo intende offrire un minimo contributo alla storia del movimento democratico bolognese quale premessa per una pubblicazione più ampia sul contesto cittadino. Per la ricerca sono stati consultati i documenti dell’Archivio di Stato e del Museo Civico del Risorgimento della città petroniana nel tentativo di offrire un quadro storico più articolato del periodo in esame; il loro utilizzo ha consentito infatti, di ricostruire alcuni aspetti ed eventi del periodo 1867-1868, impossibili da rintracciare presso gli archivi della Società di Mutuo Soccorso (SMS) di Bologna per la mancanza di documentazione.
Il movimento democratico bolognese affermatosi con più forza dopo l’unificazione aveva dato vita ad alcune organizzazioni di lavoratori tra cui la Società Operaia e l’Unione Democratica. La prima rappresentava il perno di un sistema democratico cittadino affermatosi durante la crisi economico-sociale del paese aggravata dai costi della guerra antiaustriaca e dalla eclissi della politica cittadina. Insieme costituirono un costante riferimento per la sinistra democratica e per il variegato mondo del lavoro caratterizzato da una forte presenza di attività semi-artigianali e dalle prime forme di capitalismo industriale. In questo ambito prendeva forma una particolare coscienza sociale e politica derivata dalle influenze sansimoniane, mazziniane, garibaldine ed internazionaliste tipiche del socialismo europeo. Nel primo decennio unitario infatti, le organizzazioni democratiche e del lavoro nostrane si ispiravano ai partiti repubblicani e radicali ed avevano in Mazzini e Garibaldi i loro rappresentanti. Le due associazioni bolognesi rappresentavano un esempio illuminante del primo socialismo italiano, ancora estraneo alle influenze marxiste e collettiviste già affermate in seno all’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL); i primi contatti con questa organizzazione, si stabilirono soltanto nel settembre 1867, in occasione del Congresso operaio di Losanna e di quello pacifista di Ginevra, eventi significativi dell’internazionalismo socialista e democratico.
La difficile situazione sociale e politica dell’area padana aveva favorito l’incremento delle organizzazioni operaie, tra cui molte società mutualistiche espressione delle correnti democratico-radicali. La Società Operaia di Bologna nasceva nell’aprile 1860 sul modello di un’altra SMS “sorella” del Piemonte; il suo scopo era il miglioramento delle condizioni di vita e lavoro dell’operaio, come si poteva leggere nel manifesto che annunciava la prima riunione:
L’operaio e il colono che formano la classe più numerosa della Nazione e costituiscono con la produzione delle loro fatiche la principale sorgente della comune prosperità e la base della nazionale ricchezza, sono nei governi dispotici ed assoluti le più invilite e neglette classi, non così può avvenire negli Stati retti a Libertà, ove come le altre, devono essere chiamate a sviluppare col progresso le latenti loro forze ed a migliorarle […]. Lo scopo dell’Associazione degli operai è dunque di incoraggiare fra essi la Fratellanza e il Mutuo Soccorso; tende a promuoverne l’istruzione, la moralità, il benessere affinché possano felicemente cooperare al pubblico bene.
La direzione era composta dai marchesi Livio Zambeccari e Gioacchino Pepoli più un terzo. Lo statuto della società si richiamava ai principi evangelici di comunione e solidarietà fra gli uomini: “onora il tuo prossimo come te stesso” come si può leggere nel suo primo articolo.
Il programma dell’Operaia, come veniva più spesso nominata, era quello di una comune SMS con scopi di assistenza economica ed istruzione per lavoratori ed artigiani. In caso di malattia e vecchiaia erano previsti dei sussidi per i soci mentre era esclusa qualsiasi attività di carattere politico, come si rileva dai verbali di quella prima seduta: «l’Unione o società d’operai sarà attuata colle debite intelligenze col Governo e soprattutto dichiara una tale associazione non aver scopo o viste politiche».
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