Chierici “romani” come padri adottivi: qualche spunto dalla documentazione dell’ospedale Santo Spirito in Sassia (secc. XV-XVI)

Chierici “romani” come padri adottivi: qualche spunto dalla documentazione dell’ospedale Santo Spirito in Sassia (secc. XV-XVI)

Abstract: L’accoglienza e l’allevamento dell’infanzia abbandonata era sempre stata per il famoso ospedale Santo Spirito in Sassia di Roma una tra le sue principali finalità assistenziali. Nel mio contributo, dopo aver dato sinteticamente notizia delle strategie messe in atto dal pio istituto per assolvere fino in fondo alle sue finalità caritative e in particolare quelle per l’infanzia abbandonata, cercherò di indagare sul fenomeno dell’affido/adozione, che – come è stato recentemente sottolineato – non significava necessariamente per il bambino trovare “una famiglia”, ossia la presenza di un padre e di una madre, concentrando l’attenzione su una particolare categoria di genitori affidatari e adottivi: gli ecclesiastici (preti, canonici e vescovi).

Sebbene l’ospedale Santo Spirito in Sassia risulti istituito alla fine del XII secolo solo per pauperes et infirmi, non di meno la cura dei proietti compare – tra le altre operae pietatis – nella regola dell’Ordine omonimo, che recenti studi fanno risalire alla prima metà del Duecento.  Infatti, nel cap. XXXVI si dispone che «secondo le possibilità della casa vengano nutriti orphani infantes proiecti e che le donne povere gravide siano accolte gratuitamente e trattate con carità». L’assistenza all’infanzia abbandonata, sebbene poco documentata in questo secolo, se non per alcune bolle pontificie, nel corso del ‘300 diviene più consistente e i riferimenti all’istituzione di un brefotrofio nel S. Spirito si fanno più frequenti. Nei secoli seguenti la cura degli esposti diverrà l’opera che assorbirà la maggior parte delle entrate del pio istituto, anche per il dilatarsi del fenomeno dell’abbandono dei minori, che – come è noto – assume dimensioni notevoli soprattutto «laddove furono istituiti ospizi esplicitamente destinati all’accoglienza e alla cura dei bambini abbandonati», in gran parte figli legittimi di famiglie estremamente povere e non solo illegittimi figli di prostitute o di ragazze madri indigenti.

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La storiografia si è ampiamente soffermata sull’organizzazione dell’allevamento dell’infanzia abbandonata da parte del S. Spirito e dunque basta ricordare come le prime informazioni siano già contenute nella regola dell’Ordine: gli infanti dovevano essere posti in culle «affinchè giacciano separati e non abbiano a soffrire danno» (rub. 55); per l’allattamento, vi è il riferimento a balie “della Casa”, che si potevano assumere o licenziare a volontà del precettore e del Capitolo (rub. 95). L’ospedale tuttavia preferiva affidare i neonati a balie esterne, molto spesso donne che vivevano in campagna soprattutto nelle località dove il S. Spirito aveva delle proprietà fondiarie. I bambini rimanevano presso le nutrici –  che potevano appartenere a due distinte categorie: balie che allattavano e balie che svezzavano – al massimo fino all’età di sette anni, quindi tornavano nell’ospedale dove restavano fino a che non trovavano una collocazione esterna: i maschi, che risiedevano in un’ala della Casa chiamata scola proiectorum, venivano avviati all’apprendimento di un mestiere e affidati per lo più a famiglie di artigiani; per le femmine, per le quali era riservata un’apposita residenza nell’ospedale, l’inserimento nella società avveniva attraverso il matrimonio o il servizio domestico, altrimenti restavano nell’ospedale sia allo stato laico sia – in numero molto contenuto – come suore dell’ordine (di queste ultime peraltro si sa pochissimo anche per l’Età moderna).

 

Immagine di copertina, foto di Bohdan Chreptak da Pixabay

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