La frontiera veneto-ottomana nel XVII secolo: aspetti di una coesistenza singolare


Abstract: Nell'attuale riflessione storiografica sempre maggiore attenzione è rivolta al rapporto fra cristianità e Islam nel bacino del Mediterraneo in età moderna, un crocevia commerciale e culturale dove le esperienze di convivenza furono complesse, caratterizzate da conflittualità, ma anche da relazioni profonde. Si inserisce in questo contesto lo Stato da Mar della Repubblica di Venezia, tradizionale luogo di confini e proprio per questo, di rapporti e di incroci, specchio del complesso ponte che univa cristianità e Islam. Sulla base della documentazione prodotta dai rettori statali di diverse aree del Dominio da Mar, il saggio mette in luce una situazione particolarissima di coesistenza fra turchi e sudditi veneziani. Fra gli aspetti più rilevanti, emergono la labilità dei confini territoriali, con continui attraversamenti delle frontiere geografiche e religiose, e una vitale complementarietà economica fra i due Paesi.

 

Il recente dibattito storiografico ha ormai messo ampiamente in discussione l’immagine di un’alterità irriducibile di mondo cristiano e musulmano, visti come civiltà inconciliabili e ostili. Riferendosi in particolare alla contrapposizione Repubblica di Venezia – Impero ottomano, gli studi più attuali hanno evidenziato come fra i due stati nemici esistessero in realtà aperture, interessi comuni, contaminazioni profonde. Le carte lasciano intravedere i rapporti che intercorsero tra la gente cristiana e quella musulmana, riconsegnandoci un mondo mobile, uno scenario d’intrecci al di là delle barriere politiche e religiose, dove la frontiera, più che confine, si fece luogo di contaminazione e di scambio.

Come è noto, lo Stato da Mar della Serenissima, territorio che si estendeva lungo la costa dalla Dalmazia all’Albania e comprendeva una serie di isole in Adriatico, in Ionio e in Egeo, costituiva un insieme eterogeneo e composito, disseminato senza continuità geografica nel Mediterraneo orientale. In particolare, il Levante balcanico, ossia la doppia provincia della Dalmazia e Albania Veneta, si limitava a una lunga fascia costiera senza profondità territoriale: una serie di fondachi, di porti e di presidi chiusi tra il mare e le terre turche, una stretta striscia di terra da contendere palmo a palmo a un nemico sempre più minaccioso e di grande superiorità militare. L’8 marzo 1573, con la pace stipulata a Costantinopoli dal bailo Marc’Antonio Barbaro alla fine della guerra di Cipro, Venezia si era trovata infatti costretta a subire gravi mutilazioni territoriali, riducendo i possedimenti in Dalmazia alle sole isole e alle più grandi città costiere, i cui contadi penetravano all’interno non più di una decina di chilometri, tanto che un detto popolare recitava: «Si sentiva cantare il gallo turco nelle città del mare».

Il 30 ottobre 1671 era stata quindi fissata la “Linea Nani”, dal nome del commissario Gian Battista Nani, cavaliere e procuratore di San Marco, che la sottoscrisse: tracciato che riportava il confine al minimo storico territoriale, ossia all’«Acquisto vecchio» definito dalla pace del 1573, vanificando tutte le conquiste apportate sul fronte terrestre dalla guerra di Candia e ponendo i rettori veneziani di fronte alle continue ribellioni degli abitanti della zona, pronti a ricorrere alle armi per i contenziosi sorti sul possesso di saline e di pascoli, contesi da entrambe le parti in seguito alla definizione del nuovo tracciato confinario.

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