Duel of The Fates

Duel of The Fates

Abstract: Le Olimpiadi Invernali di Pechino 2022 hanno offerto l’occasione per ritornare su di una delle più memorabili sfide del pattinaggio artistico, quella tra i due pattinatori russi Alexei Yagudin e Evgenij Plushenko, e svoltasi esattamente venti anni fa alle Olimpiadi di «Salt Lake City 2002». A differenza della rivalità tra Brian Orser e Brian Boitano nei 1980s, ed entrata nell’immaginario popolare come la quintessenza della competitività sportiva tra due individui nel pattinaggio sul ghiaccio, quella tra Yagudin e Plushenko aveva però un qualcosa di diverso e forse di più dell’essere “solo” una rivalità agonistica: era anche una “storia”. Perché la sfida Yagudin-Plushenko, non solo ha spinto il pattinaggio di figura verso altri livelli agonistici ed artistici, ma può essere anche letta come una lotta per l’identità, non solo sportiva e non solo degli atleti, ma anche quella dell’anima di un’intera nazione, la Russia, che nei primi 2000s – da poco uscita dall’esperienza sovietica – ancora si muoveva incerta su quale strada prendere, quale destino gli appartenesse: chiusa nella propria specificità e tradizione culturale, oppure aperta alle influenze di altre culture, oltre a quelle slave, ed in particolare quella occidentale. La rivalità Yagudin-Plushenko, insomma, concretizzò qualcosa che era più di se stessa: alcune di quelle particolari strutture del sentire proprie di una cultura e di un popolo, e che vedono nella compresenza di stati divisivi e fortemente oppositivi non un qualcosa che si vuole risolvere, sanare, ma che si cerca, invece, di vivere. È in questo senso, allora, che, come ogni evento iconico della cultura popolare, anche la sfida Yagudin-Plushenko portava dietro di sè una “storia”, trascendendo l’evento in quanto tale e trasformandolo in qualcosa di quasi archetipico. Qualcosa, in fondo, di propriamente storico.

Ogni evento iconico della cultura popolare nasconde sempre una “storia”, quel qualcosa che trascende l’evento in quanto tale e lo trasforma in qualcos’altro, in un momento di rilevanza storica e più universale, quasi archetipico; espressione, cioè, di un preciso Zeitgeist. Talvolta, momenti come questi annunciano un punto di svolta, rappresentano un cambiamento in atto, la fine di un’epoca e l’ingresso in un’altra.

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Nella storia dello sport molti possono essere considerati momenti così fatti, e che da soli riescono a racchiudere in sé un’epoca, un personaggio, una squadra, un intero sport.

Le Olimpiadi Invernali di Pechino (4-20 Febbraio 2022) offrono la possibilità di ritornare su di un altro momento storico, forse meno ricordato «to the mainstream», ma non per questo meno iconico, e che accadde venti anni fa alle Olimpiadi Invernali di Salt Lake del 2002 tra il 12 e 14 febbraio. Ci riferiamo alla gara maschile di Pattinaggio Artistico, che fu il teatro di una memorabile “battaglia” per la conquista della medaglia d’oro tra i due più talentuosi e celebri pattinatori russi al mondo: Evgeny Plushenko e Alexei Yagudin.

A differenza della rivalità tra Brian Orser e Brian Boitano, entrata nell’immaginario popolare come la quintessenza della competitività sportiva tra due individui nel pattinaggio sul ghiaccio, quella tra Yagudin e Plushenko aveva qualcosa di diverso e di più dell’essere una rivalità agonistica: era anche una “storia”. Con il risultato, che da una parte la rivalità Plushenko-Yagudin ha spinto la disciplina verso i suoi limiti, costringendo i pattinatori a nuove e sempre più complesse difficoltà atletiche ed artistiche; dall’altra può essere anche letta come una lotta per l’identità, non solo sportiva e non solo dei protagonisti, ma anche quella per l’anima di un’intera nazione, la Russia, che a dieci anni dal dissolvimento dell’Unione Sovietica ancora era in stato di transizione, peraltro una transizione appena all’inizio, incerta su quale strada prendere, quale destino gli appartenesse: chiusa nella propria specificità e tradizione culturale (quella definita genericamente, e spesso equivocamente, come «panrussa») o aperta alle influenze di altre culture, oltre a quelle slave, ed in particolare quella occidentale e/o statunitense.

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Se nel 1995 la vittoria degli Springboks nella World Cup di Rugby per il Sudafrica ha rappresentato il simbolo della ritrovata unità di un paese lacerato da una divisione dolorosa e che durava da quasi cinquant’anni, la rivalità Yagudin-Plushenko “materializzava” un modo d’essere che vedeva nella compresenza di stati divisivi e fortemente oppositivi, nella stessa «contraddizione», un qualcosa che appartiene alle strutture del sentire di una cultura e di un popolo, quello russo, e che non sempre si cerca necessariamente di risolvere, sanare, ma di vivere. D’altronde talvolta cos’è la vita stessa, per un russo, se non un abitare il delicato equilibrio degli opposti, la loro armonia.

Ed è così che la sfida Yagudin-Plushenko a Salt Lake 2002 ha quasi assunto la forma di un’epica, quella dove una pista di pattinaggio si è trasformata nel campo di battaglia per il cuore (sportivo, ma non solo) di una nazione: la Russia.

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Anche per questo, allora, Yagudin e Plushenko, con le loro vicende personali e sportive, in con qualche modo hanno concretizzato, involontariamente e declinandolo in una sfida sportiva, il cosiddetto dilemma della «russità» (Russkost’/Russianness), di ciò che definisce i valori e l’essere russi.

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