La figura del vampiro attraverso i secoli. Dall’antico folklore alla cultura di oggi

La figura del vampiro attraverso i secoli. Dall’antico folklore alla cultura di oggi

Abstract: Come forse nessun'altra figura nata nell'immaginario popolare, il vampiro ha attraversato i secoli senza perdere il proprio fascino, dimostrando una straordinaria capacità di adattamento ai diversi contesti culturali. Ne è prova la ricchissima produzione narrativa, filmica, fumettistica maturata negli anni, così come i numerosi saggi che continuano ad essere dedicati alla storia di questa immortale creatura.
Il pezzo che qui presento ricostruisce, senza alcuna pretesa di esaustività, alcuni momenti di questa lunga storia. Alla base c’è un mio personale percorso di approfondimento che ho voluto qui condividere con la speranza di offrire qualche utile suggerimento a chi voglia avvicinarsi al tema. L’articolo ne ripercorre le tappe, a partire dall’opera che nel collettivo immaginario si identifica con il vampiro, il Dracula di Stoker, punto focale intorno al quale ho ricostruito il prima e il dopo: dalle antiche superstizioni popolari, all’ “epidemia vampiresca” del 1700, alla rielaborazione letteraria romantica, fino alla metamorfosi che il vampiro ha subito nella cultura contemporanea. Una fitta trama di innovazioni e ritorni che, come ho cercato di mettere in luce, hanno fatto del vampiro quasi lo specchio dei mutamenti sociali e culturali in atto.
Ringrazio la mia insegnante di Italiano, prof.ssa Paola Locatin, che mi ha sempre supportato e incoraggiato nel mio lavoro di scrittura; la redazione del «Giornale di Storia» per i preziosi suggerimenti bibliografici che hanno arricchito la mia conoscenza sul tema; e infine la mia cara amica Ruby per il disegno che accompagna e impreziosisce il testo.

Come forse nessun’altra figura nata nell’immaginario popolare, il vampiro ha attraversato i secoli senza perdere il proprio fascino, dimostrando una straordinaria capacità di adattamento ai diversi contesti culturali. In queste pagine ho voluto ricostruire, senza alcuna pretesa di esaustività, alcuni momenti di questa particolare e lunga storia, offrendo al contempo qualche suggerimento a chi voglia avvicinarsi al mondo vampiresco.

L’archetipo della figura del vampiro viene comunemente attribuito al celebre romanzo Dracula scritto da Bram Stoker nel 1897. Ma in realtà lo scrittore irlandese non può essere propriamente considerato l’inventore del popolarissimo mito di Dracula.

La storia dei vampiri affonda le sue radici in un passato molto remoto. Nella cultura popolare europea ed extraeuropea è presente un ricco e antichissimo patrimonio di credenze, un comune sostrato culturale arcaico, fatto di superstizioni e prime forme di leggende che ha come protagonisti delle creature che si avvicinano moltissimo alla figura del vampiro. Sono ancora creature multiformi che mescolano le caratteristiche di diversi esseri maligni – streghe, licantropi, lupi mannari, lamie (una specie di streghe dei boschi che escono di notte alla ricerca di carne umana e sangue di fanciulli di cui parlano già molti autori greci e latini), vârcolacs e broucolacs (di cui ci parla con ironia Voltaire, secondo il quale i vampiri sarebbero nati nella Grecia cristiana scismatica), nachzeher tedeschi e polacchi (figure molto simili al vampiro, che mangiano il proprio sudario e le proprie carni) strigoi romeni – e che nella cultura popolare dell’Est Europa vanno presto assumendo un’identità più autonoma e definita: il morto non morto (il cui corpo non presenta segni di putrefazione) che esce dalla sepoltura per succhiare il sangue dei vivi uccidendoli e rendendoli anch’essi dei vampiri.

Fu in particolare tra fine Seicento e seconda metà del Settecento che la figura del vampiro assunse una fisionomia più vicina a quella che conosciamo noi oggi, nel momento in cui in Europa e nel Nord America si diffuse una vera e propria “epidemia vampirica”, fenomeno sociale prima ancora che letterario, definito anche con il termine di vampirismo o “magia postuma”.

I primi casi documentati risalgono in realtà già al 1400-1500. Il fatto è discusso, ma pare che già durante la terribile epidemia di peste che colpì Venezia negli anni 1575-1577 (nella quale si dice morirono 47.000 persone) si siano verificati casi di caccia al vampiro (la “vampira veneziana” ne sarebbe l’emblema).

È certo interessante il fatto che il vampirismo si diffonda in particolare durante le epidemie (di peste, colera, tubercolosi) che causarono veri e propri fenomeni di isteria di massa. Il confine tra vita e morte era d’altra parte molto labile a quel tempo e la medicina non dava risposte razionali a molti fenomeni che oggi sono ampiamente spiegati scientificamente. In alcuni casi non era facile riconoscere con precisione un decesso, e ciò poteva portare alla sepoltura di persone ancora in vita, in particolare quando le morti erano particolarmente numerose e le sepolture più sbrigative. Non mancano testimonianze di realtà drammatiche: segni di disperati tentativi di fuga, volti contorti dal dolore, e addirittura messaggi incisi dai sepolti prima di morire. La mancanza di spazio portava poi a riaprire le fosse per sistemarci nuovi cadaveri. E allora si ritrovavano corpi non ancora decomposti con segni che davano l’impressione che fossero ancora in vita. Si aggiunsero quindi le testimonianze di chi diceva aver visto cadaveri muovere braccia e gambe, subire trasformazioni corporee come la crescita di unghie e capelli, il rigonfiamento del ventre e, cosa più inquietante, la fuoriuscita di sangue dalla bocca (specie nei morti di peste polmonare o tubercolosi). Fenomeni che oggi sappiamo essere del tutto normali nei cadaveri, ma che a quel tempo erano considerati sovrannaturali, tanto da immaginare che quei defunti potessero diventare delle creature quasi demoniache, dei vampiri appunto, ai quali veniva anche attribuita la colpa di diffondere le epidemie. Una paura che portò persino ad ideare diversi stratagemmi, come posizionare delle grate attorno alla bara, per impedire al presunto morto vivente di uscire dalla propria sepoltura e tormentare i vivi.

Si definì presto anche il rimedio, avvallato dalle autorità civili e religiose del tempo, il rituale raccapricciante per uccidere il vampiro: non solo posizionare una pietra nella bocca del presunto vampiro per evitare che masticasse il sudario o le carni dei vicini defunti (come presumibilmente è avvenuto alla vampira del camposanto veneziano), ma pugnalarlo al cuore con un palo, decapitarlo e bruciarlo.

Nei primi decenni del 1700 ci fu un vero e proprio “contagio vampiro” (Voltaire con la sua consueta ironia dirà che «tra il 1730 e il 1735, non si sentì parlare che di vampiri»), tanto che se ne occuparono le autorità e gli studiosi. Le testimonianze sono numerosissime: relazioni, dissertazioni, riflessioni su un fenomeno che interessava in particolare le regioni periferiche dell’Europa dell’est ai confini dell’Impero austroungarico (Moravia, Valacchia, Moldavia, Serbia), ma anche la Germania orientale (Polonia) e poi anche altre zone dell’Europa, compresa l’Italia, fino ad arrivare nelle regioni settentrionali del Nord America (New England) in cui le pratiche contro i vampiri si diffusero insieme al drammatico dilagare della tubercolosi (famoso il caso della ragazza/vampira Mercy Brown a fine ‘800).

Disegno di Ruby

Nei primi decenni del 1700 (1725 e 1732) due casi provenienti dalla Serbia diventano famosi in tutt’Europa, vere e proprie storie modello di vampirismo: il caso di Peter Plogojowitz e di Arnold Paul. Ne parlavano le riviste del tempo (come il «Mercurio Istorico e Politico» stampato in Olanda e a Venezia, nel paragrafo relativo all’Ungheria), il Lessico universale di Zedler (la più importante enciclopedia dell’epoca), e i numerosi  trattati e relazioni sui vampiri che si scrivono in quegli anni, che saranno poi fonti per i racconti ottocenteschi. La quantità di scritti sul tema, affrontato secondo diversi giudizi, è davvero impressionante.

1725-28: il luterano tedesco Michael Ranf scrive in latino il De masticatione mortuorum in tumulis liber, in cui si sofferma a parlare dei morti che nelle loro sepolture continuano a masticare; 1732: il medico tedesco dell’Accademia medica di Lipsia, Christophorus Pholius, scrive una Dissertanionem de Hominibus post mortem vulgo dictis “Vampiren”; 1738: nelle Lettres juives, una specie di romanzo epistolare scritto in Olanda, il francese J.B. de Boyer (marchese d’Argens) riporta, nella lettera 137, alcuni casi di vampirismo, tra cui quello notissimo di Pietro Plogojowits; 1739: Giuseppe Davanzati, arcivescovo di Trani, sostenitore che «la vera cagione de’ vampiri è la nostra fantasia corrotta e depravata», compone la Dissertazione sopra i vampiri, nata da un colloquio dell’autore con il vescovo di Olmutz (Moravia) allarmato dall’esplosione della guerra ai vampiri nella sua diocesi; 1746: l’abate benedettino Augustine Calmet, credendo nel fenomeno vampiresco, pubblica a Parigi una Dissertazione, considerata all’epoca il fondamentale trattato sul tema, un eccezionale documento storico/antropologico, a cui attingeranno gli autori ottocenteschi, in cui sono raccolte moltissime testimonianze di fenomeni di vampirismi diffusi nell’Europa dell’Est (Polonia, Ungheria, Serbia Moravia, Slesia e anche Grecia); 1749: il roveretano Girolamo Tartarotti (famoso per aver contrastato i processi contro le streghe) parla di vampiri nel suo saggio Del congresso notturno delle lammie; 1776: l’imperatrice Maria Teresa d’Austria, preoccupata per il dilagare nell’impero delle paure e superstizioni vampiriche che davano origine a violazioni di sepolture e fatti davvero raccapriccianti di cadaveri trafitti, decapitati e bruciati, fa redigere al suo medico personale, l’olandese Gerard van Swieten, una relazione, nota con il titolo di Vampyrismus, che sarà presto tradotta anche in italiano da un altro roveretano, Giuseppe Valeriano Vanetti nelle Considerazioni intorno alla magia postuma per servire alla storia dei vampiri (1756), pubblicata a Napoli nel 1781.


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