Prostituzione, devianza e morale sessuale nell’Italia unita. Un processo di normalizzazione in seno alla comunità scientifica

Prostituzione, devianza e morale sessuale nell’Italia unita. Un processo di normalizzazione in seno alla comunità scientifica

Abstract: Il presente articolo, costruito su fonti medico-antropologiche di epoca positivista, si propone di fare luce su alcune fra le più eclatanti ambivalenze della morale sessuale italiana. A partire dal dibattito intorno alla regolamentazione della prostituzione che, nella seconda metà dell’Ottocento, vide coinvolte la classe politica e la comunità scientifica, il contributo intende mostrare in quale misura le posizioni assunte da alcuni insigni uomini di scienza, contaminate da pregiudizi extra-scientifici, fossero espressione di un sistema valoriale ipocrita e androcentrico, difficile da abbandonare. In questa prospettiva, lo studio del discorso di Paolo Mantegazza intorno al fenomeno prostituzionale tout court, può essere inteso come una spia che consente di fare luce sulla tensione esistente fra una tradizione culturale fortemente radicata e i prodromi di una nuova morale sessuale.

In una fase di consolidamento delle molteplici specificità disciplinari, le scienze umane, impegnate in un’opera di igienizzazione e regolamentazione totale della vita degli italiani, estesero le loro aree di competenza e la loro capacità di controllo alla vita sessuale delle donne e degli uomini della Nazione. Nello specifico, medicina e antropologia, assieme a psichiatria, psicologia e biologia, si fecero promotrici di prescrizioni igienico-sanitarie e pedagogiche che, sebbene prodotte dalla volontà di svecchiare e rinnovare il comune sentire in materia di sessualità, nei fatti, sembravano conformarsi al modello tradizionale della morale sessuale.
Il nuovo assetto territoriale del Paese, la cui unificazione legislativa venne sancita nel 1861, richiedeva un ripensamento complessivo delle mentalità e dei costumi e, quindi, l’affermazione di un nuovo modello di pensiero che consentisse agli italiani di far fronte a una realtà che, in particolare nel corso degli anni Ottanta dell’Ottocento, si apprestò a mutare sensibilmente con l’avvento della seconda rivoluzione industriale.
Mentre l’esistenza individuale e collettiva si modernizzava, facendosi espressione di un vero e proprio processo di mutamento e accelerazione delle abitudini degli italiani, la contestuale democratizzazione della cultura e dell’accesso al sapere contribuì a estendere e rafforzare la partecipazione dei più bassi strati sociali alla vita culturale della Nazione.
Due fenomeni paralleli, questi, che, comportando un maggior coinvolgimento delle classi povere, determinarono la formazione di una più solida e coesa coscienza nazionale, individuale e di classe.
Se da un lato, però, il processo di modernizzazione e la maggiore rappresentanza delle fasce più povere della popolazione consentì loro di rivendicare una maggiore autonomia e un nuovo status sociale, dall’altro, questo maggiore coinvolgimento dal basso venne percepito, dalle istituzioni così come dalla classe medico-scientifica, come pericoloso.
L’estensione della partecipazione alla vita politica, la democratizzazione dell’accesso al sapere, cui contribuì sensibilmente la divulgazione scientifica promossa con sempre maggiore tenacia dagli stessi scienziati positivisti, e l’esaltazione di valori quali l’uguaglianza e la libertà, cui la rivoluzione francese aveva dato concretezza, fecero individuare, nel popolo minuto, un potenziale elemento sovversivo dei valori su cui era stata edificata la vecchia morale, i costumi e le abitudini del popolo italiano.

Al contempo, i medici, spesso contemporaneamente impegnati con cariche politiche, sembrarono rafforzare la loro attitudine a confrontarsi con la malattia anzitutto da una prospettiva socio-economica oltre che prettamente fisio-biologica. In questo senso, le patologie erano lette non solo quali fattori di rischio per la società ma come effetti che, dovuti a una cattiva amministrazione della Nazione, potevano essere debellati attraverso interventi pubblici utili a rimuovere quelle cause sociali cui frequentemente venivano ascritte la degenerazione morale e le malattie a diffusione epidemica.

In particolare, la prima fra le cause esogene contemplate dalla classe medico-politica fu la miseria, in quanto era opinione largamente condivisa che laddove essa era maggiore le malattie, spesso riconducibili a condizioni di scarsa igiene, potessero avere un’incidenza più elevata.

L’intervento politico-istituzionale che, più di ogni altro, sembrò porsi come argine al dilagare di questo generalizzato stato di trascuratezza igienica, fu la Legge per la tutela dell’igiene e della sanità pubblica (n. 5849 del 22 dicembre 1888) che, presentata in Senato dall’allora ministro dell’Interno Francesco Crispi (22 novembre 1887), sancì, a seguito di un processo di durata ultraventennale, la medicalizzazione totale della vita degli italiani. All’interno di questo più ampio progetto di igienizzazione e irreggimentazione della vita sociale rientrò, necessariamente, anche la sfera della sessualità.

Un ambito del sapere e del comportamento umani che, soprattutto attraverso la popolarizzazione della scienza igienica e dei princìpi eugenetici, fu protagonista di molta della produzione scientifico-letteraria positivista, raggiungendo la sua acme grazie alla costante opera di propaganda condotta da Paolo Mantegazza. Medico, antropologo, psicologo, romanziere, deputato e senatore del Regno, Mantegazza promosse, per primo in Italia, l’educazione a una sessualità responsabile.

Prostituzione-Mantegazza-Sessuale
Paolo Mantegazza, Gli amori degli uomini

 

Come ha mostrato George Mosse, il proposito di organizzare e regolamentare la vita affettiva e sessuale di donne e uomini doveva contribuire, all’interno della neonata realtà nazionale, a garantire solidità e coesione nel Paese. Sebbene traendo ispirazione da una morale ambigua, plasmata su ideali patriarcali per ciò che concerne la normazione del rapporto fra i generi e ipocrita per ciò che attiene alla definizione dell’illegittimità e dell’illegalità sessuali, l’ideale a cui la morale degli italiani doveva conformarsi era quello della rispettabilità. Tale rispettabilità, che nei fatti si configurava quale valore privo di contenuti reali e fondato sulla sola apparenza, doveva servire alla Nazione quale vessillo da ostentare al fine di offrire un’immagine positiva di sé, improntata ai princìpi della compostezza e della morigeratezza sessuali.

Non è un caso, pertanto, che proprio nel corso della seconda metà dell’Ottocento, siano intervenuti, in Italia come pure in altre nazioni europee quali la Francia, profondi cambiamenti strutturali, relativi, oltre che alla disposizione architettonica dei luoghi della domesticità, all’organizzazione e alla gestione degli spazi urbani.

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